Le nostre paure, le loro passioni: il panico morale che si diffonde attorno alle tecnologie
6.1
Prologo. Davide, le mamme tecnofobiche, le maestre, i videogiochi a scuola e la «congiura della pizzeria»
Davide in terza elementare possiede come la maggior parte dei suoi compagni una consolle per videogiochi portatile, un Nintendo 3DS o una Play Station Portable (PSP), se non tutte e due. Io ho sposato la tesi del «vaccino» tecnologico. Gli ho cioè regalato tutti gli strumenti di gioco digitali che il mio reddito mi permetteva. E forse ho un po’ esagerato. L’aneddoto che voglio raccontarvi capita all’inizio della primavera. Il 2 marzo Davide ha ricevuto per il suo compleanno la seconda consolle portatile, la PSP. Era il periodo in cui giocava a Ratchet & Clank, un videogame di ambiente fantascientifico.1
Mio figlio, che è un «innovatore», vuole mostrare la sua nuova consolle ai compagni di classe, decide di portare la PSP con Ratchet & Clank a scuola. Il successo è immediato, anche tre o quattro altri suoi compagni osano. Ci giocano durante l’intervallo e, inopinatamente, ma con giudizio, le maestre sono contente. La PSP risolve, infatti, il grosso problema di tenere tranquilli i maschi della 3D senza che dopo pochi minuti la classe si trasformi in un incrocio tra un campo da calcio e un ring, con il rischio che, in barba alla legge 626, i bambini si facciano davvero male. Già, perché a causa della legge sulla sicurezza – o forse è una scusa del dirigente – d’inverno e quando piove è proibito l’intervallo nei corridoi e meno che meno in cortile: i bambini devono restare in aula. Anna e Maria, le maestre di mio figlio sono sagge e contente, i dieci maschi della classe stanno insieme attorno alla consolle e parlottano, non litigano e non giocano alla lotta. Le sagge maestre lasciano che tutto passi sotto silenzio, anche perché, se esiste, ancora, una sciagurata circolare/editto che proibisce il cellulare a scuola, le consolle portatili non sono previste dalla medesima – e nel vuoto legislativo le insegnanti hanno risolto un problema concreto. Per l’intero mese di marzo la soluzione funziona e tutto fila liscio, poi l’«incidente». Una mamma tecnofobica solleva la questione delle consolle a scuola e con altre sue simili organizza una riunione segreta in pizzeria per porre fine a questo «sconcio». «I videogiochi sono diseducativi e poi così non socializzano»… «le maestre imparino a tenere la disciplina»… «i videogiochi li rendono autistici». La «congiura della pizzeria» produce effetti una settimana dopo, quando la questione viene affrontata con un documento che proclama la contrarietà di tutte le famiglie della 3D all’uso dei videogiochi durante l’intervallo e alle maestre viene intimato di rispettare il parere dei genitori. Anna e Maria tengono duro, rispondono che la lettera è firmata solo da dieci mamme e sostengono la bontà delle loro scelte, suggerendo inoltre, e anche in questo caso con grande buon senso, che la proibizione avrebbe potuto scatenare tra i bambini comportamenti trasgressivi del tipo «se me lo proibisci è ancora più divertente farlo», «nascondo la consolle nella cartella e ci gioco in bagno con i compagni», «durante l’intervallo faccio un tale baccano da convincere le maestre a ridarmi la consolle», con conseguenti note disciplinari forzate da parte delle maestre e malcontento diffuso. E tuttavia le mamme, a tre settimane dalla «denuncia» luddista, non demordono nella loro furia antitecnologica e antivideoludica, anzi, emergono anche posizioni più radicali. Io vengo a conoscenza della questione solo quando Anna e Maria a malincuore si vedono costrette a proibire l’uso della PSP per una settimana. Davide chiede il mio parere, io do ragione alle insegnanti e gli spiego che le mamme a mio avviso sbagliano. Ma cerco di mantenere un profilo molto distaccato perché non voglio che la mia posizione di docente universitario che insegna alle maestre entri in questa «piccola guerra dei bottoni». Il fatto è che pochi giorni dopo la maestra Maria mi telefona per avere conforto e perché le mamme hanno trasmesso la lettera anche alla dirigente e ora loro sono chiamate a prendere una decisione definitiva, nel rispetto dei desideri delle mamme. Maria è preoccupata: «Cosa ne pensa professore… io non capisco nulla di tecnologie; ho sessant’anni, ma mi pare che i bambini con le consolle stiano più tranquilli, giocano insieme, collaborano, non litigano più». La conforto dicendole che è stata giudiziosa e che anche le ricerche più recenti sostengono che i videogiochi non fanno male alla socialità, ma anzi ne favoriscono una mediata da un oggetto tecnologico che è molto simile, in effetti, a quella che si sviluppa attorno a un gioco da tavolo, ma mentre questo è accettato universalmente, quello elettronico suscita ogni obiezione. Rassicurata dalle mie parole, insieme alla sua collega prova a trovare una mediazione, ma le mamme sono irremovibili. A questo punto a sostegno delle maestre interviene la dirigente: i bambini potranno portare le consolle un giorno sì e un giorno no. Ovviamente il risultato è controfattuale, il giorno «sì» non più solo pochi pionieri portano le consolle, ma tutti i maschi e anche qualche bambina, e sono orgogliosi della loro vittoria parziale, ma spesso giocano da soli vista l’abbondanza di consolle. Proprio quello che le mamme della «congiura della pizzeria» volevano evitare. Sarebbe stato meglio lasciar lavorare le maestre.
6.2
Tanti tipi di tecnofobia: internet ci rende studipi, dementi, poco intelligenti
La tecnofobia di una mamma confortata da altre tecnofobiche ha rovinato la mediazione ragionevole proposta dalle insegnanti. A nessuno è venuto in mente che la tecnologia, come abbiamo visto, può aumentare molto le possibilità di apprendimento dei bambini e alleviare il lavoro, soprattutto «burocratico-gestionale», delle maestre. Il tutto a patto che i nativi non pensino che i device tecnologici servano solo a giocare. E forse utilizzare le consolle per i videogiochi, i tablet e i computer durante la lezione e non solo all’intervallo è la strategia migliore per educare i nativi, molto fluenti nell’uso dei device digitali, ma tecnicamente «ignoranti» nel campo dell’apprendimento come lo siamo stati tutti da piccoli.
Figura 1. Di che cosa si preoccupano i genitori (www.lse.ac.uk/media@lse/research/EUKidsOnline/Presentations/Parental-controls-EU-Kids-Online-and-NCGM.pdf).
Esistono tanti tipi di tecnofobia: quella conservatrice stile o tempora o mores; quella bibliofila, variante «lo schermo non potrà mai sostituire la carta»; quella oftalmologica secondo la quale gli schermi affaticano gli occhi, quella paranoide-anticapitalista – «le multinazionali fanno profitti e i nostri figli diventano stupidi» – quella new age/bio-corporea – «le tecnologie non permettono un corretto rapporto con il corpo e con i sensi» – e quella sessuofobica con la minaccia che in internet ci sono pedofili e pornografia.
La tecnofobia è molto diffusa in Italia e nel mondo, e negli ultimi due anni i media generalisti hanno incoraggiato più che in passato un diffuso «panico morale» rispetto all’uso delle tecnologie digitali e di internet soprattutto da parte dei bambini e dei preadolescenti. Così la dimensione digitale della vita dei piccoli diventa spesso oggetto di attacchi e demonizzazioni, mentre
reali elementi di criticità non vengono nemmeno presi in considerazione.
In questo contesto è ancor più necessario che genitori e insegnanti abbiano cognizione delle caratteristiche reali o fantasmatiche di questo tipo di paure.
Da sempre internet è stata vista con grande sospetto a causa dell’accelerazione nella possibilità di scambi sociali e comunicativi che genera. Come si evidenzia dalla figura 1, la paura legata alle tecnologie e in particolare il timore che i bambini entrino in contatto con sconosciuti e che vedano immagini violente o sessuali è al quinto posto in Europa tra le preoccupazioni dei genitori – prima addirittura della minaccia della piaga dell’alcolismo giovanile. In particolare il panico morale legato a internet nei primi anni della sua diffusione si è focalizzato sui due rischi che sono messi in evidenza dalla ricerca EU Kids Online, che abbiamo già citato in questo volume:
A. i contatti inappropriati dei bambini tra gli 0 e i 10 anni con contenuti pornografici o violenti;
B. i contatti con malintenzionati: pedofili, sex addicted adulti o violenti.
Se guardiamo ai dati della ricerca EU Kids Online la percentuale di bambini tra i 9 e i 10 anni che hanno incontrato uno dei «potenziali rischi» della rete aumenta con il crescere della presenza online dei bambini, e ancora di più con l’alzarsi dell’età, come è ovvio, ed è del tutto analoga a quella dei comportamenti trasgressivi o devianti nel mondo reale. Ma niente panico morale. Le soluzioni ci sono e sono semplici, tecnologiche e non, e dipendono solo dai genitori.
Figura 2. Percentuale dei ragazzi europei che hanno incontrato online uno o più di questi rischi (www.lse.ac.uk/media@lse/research/EUKidsOnline/Presentations/Parental-controls-EU-Kids-Online-and-NCGM.pdf).
Il problema, dunque, è in primo luogo dei genitori e forse in secondo della scuola, e non della tecnologia. Credo che pochi genitori lascerebbero solo in casa il proprio figlio di 6-9 anni. Ma invece molto spesso i bambini sono lasciati tranquillamente da soli di fronte agli schermi perché ci fa comodo. Dargli il cellulare o il tablet per giocare, permette di chiacchierare al ristorante con il partner, di lavorare a casa senza doversi preoccupare del proprio figlio e senza dover sostenere una complessa spiegazione per il fatto di non stare con lui. Poi però ci si lamenta del troppo tempo che trascorrono davanti al computer e dei rischi che corrono. La tecnologia è una baby sitter efficace ma non sempre buona. Il tempo che i nostri figli passano davanti agli schermi interattivi è per fortuna nella stragrande maggioranza dei casi sottratto alla televisione, il che di per sé è un bene.
L’ipnosi televisiva è un male maggiore della «quasi-attività» sugli schermi dei device.
Ma se abbiamo per anni condannato la cattiva «maestra televisione» questo non vuole dire che dobbiamo «abbandonare» i nostri figli di fronte agli schermi interattivi. Lo dico io che non posso certo essere tacciato di tecnofobia. Dobbiamo imparare a nutrire i nostri figli con una dieta digitale equilibrata, proprio come ci preoccupiamo della loro dieta alimentare, senza allevare degli anoressici digitali!
In questo capitolo analizziamo alcune delle principali paure e dei pregiudizi sulla rete e i bambini. Il panorama, soprattutto in Italia, è molto variegato e articolato. Cominciamo dalle paure più viscerali e procediamo con i pregiudizi più diffusi.
6.3
Il panico morale legato alla tecnologia: il pedofilo online non colpisce i bambini (0-11), ma occorre conoscere la vita online del proprio figlio
Alcuni dei rischi che spaventano i genitori sono solo rischi presunti, primo tra tutti la minaccia del contatto online con il pedofilo prima dei 10 anni. Per i bambini tra gli 0 e i 10 anni il pericolo è praticamente assente, è molto più facile per i «mostri» l’incontro di persona mentre è quasi impossibile l’adescamento online ai fini di un «appuntamento», davvero troppo macchinoso, e di fatto i pedofili interessati ai più piccoli nella quasi totalità dei casi sono familiari o persone incontrate per strada e non su internet. Differente è il ragionamento sui contatti «consenzienti» o «presunti tali» con adulti durante la preadolescenza. Comunque
l’adescamento online da parte di pedofili può essere considerato una leggenda metropolitana
per i bambini e forse anche per i preadolescenti.
Un po’ diversa è la questione relativa al peso che le interazioni online hanno sulla vita sociale dei ...