ATTO TERZO
CAPITOLO PRIMO
– 1 –
Un silenzio allucinante stagnava su Sabra e Chatila, un’immobilità greve come un sudario di piombo. Dai cortili e dai pollai non si levava nemmeno un chicchirichì disperato e nelle strade vuote, nei vicoli deserti, non scorgevi nemmeno una talpa in cerca di cibo. All’improvviso perfino i galli che a qualsiasi ora cantavano la loro follia s’erano chetati, perfino le talpe che banchettavano dentro la spazzatura s’erano dileguate, e con le talpe le capre che brucavan l’erbaccia sopra la fossa dei mille ammazzati. Con le capre, le persone. Superfluo domandarsi perché. Al sorger dell’alba anche i ciechi avevano visto la bandiera governativa che sventolava in cima alla Torre e gli Amal che a dozzine invadevano la Ventidue per rizzarvi la barricata, poi Bilal che li riconduceva a Gobeyre e la bandiera italiana che saliva sul pennone dell’ex deposito d’acqua per sostituire la bandiera governativa. Prima che incominciasse a calare il tramonto anche i sordi avevano udito il grido alle-cinque-del-pomeriggio-gli-italiani-lasciano-la-Torre, alle-cinque-del-pomeriggio-la-Torre-resta-incustodita, e chiunque aveva capito quel che sarebbe successo. Sprangando le porte, tappando le finestre, abbassando le saracinesche, gli abitanti dei due quartieri s’erano chiusi nelle case. E fuori non erano rimasti che i bersaglieri coi marò, fermi e zitti dietro i sacchetti di sabbia.
Guardali mentre zitti e fermi dietro i sacchetti di sabbia contano i minuti che li separano dalle cinque del pomeriggio, dal diluvio delle raffiche e delle cannonate e dei razzi. Le loro campane di Natale. Alcuni non li conosci, non li hai ancora incontrati sul palcoscenico della tragicommedia, altri invece li conosci bene: sono personaggi del romanzo che il Professore chiama la-mia-piccola-Iliade. All’ultimo piano della Torre c’è Rambo che tasta angosciato la medaglietta con l’immagine della Madonna e fissa una casupola gialla. La casupola dove abita Leyda, la piccola palestinese che lo segue in pattuglia e che gli ha rubato il cuore perché assomiglia a Mariuccia: la sorellina morta a cinque anni. Sta in un punto pericoloso, la casupola gialla: sul lato ovest della piazzetta presidiata dalla Ventidue. E se accadesse qualcosa a Leyda, mioddio, se Mariuccia morisse di nuovo… Alla Ventitré c’è Cipolla che ci tiene tanto a diventare un uomo e per diventarlo ha vinto la paura dei morti, ha capito che il male lo fanno i vivi e basta, però intuisce che presto se la dovrà vedere coi vivi e trema più di sempre. Alla Ventuno c’è Chiodo che a Beirut vorrebbe dare gli esami di maturità, la maturità dell’adulto, però pensa solo alla sua fame e al cenone di Natale che finito il turno si divorerà. L’avranno cotto ad arte, stasera, il solito pollo? Ce l’avranno messo il pepe nelle patatine? Ah, poter cucinare con le proprie mani un’aragosta all’armoricaine o un’anatra à l’orange! Alla Ventisette Civetta c’è Nazareno che nel suo anarchico pacifismo non tollera questo puzzo di sangue in arrivo, per dimenticarlo pensa d’essere in India dove senti odore di salvia e di gelsomino anche se stai in una stalla, e ogni tanto punta i visori su Tayoune: tenta di inquadrare la cavalla bianca che vive al centro dell’aiola. Alla Ventotto ci sono Fabio e Matteo, e Matteo pensa a Dalilah che ieri lo ha baciato infliggendogli mille complessi di colpa nei riguardi di Rosaria: Matteo-io-non-ti-chiedo-di-restarmi-fedele-perché-sono-una-gran-bella-ragazza-eccetera, te-lo-chiedo-perché-la-lealtà-è-lealtà-e-la-coerenza-è-coerenza. Nel medesimo tempo però pensa al diluvio che scoppierà, e già spaventato si domanda che cosa sia una battaglia: la cosa orrenda di cui parlava il nonno che in battaglia perse una gamba oppure un’esperienza esaltante da raccontare nei caffè di Palermo? Fabio, no. Pensa solo a Jasmine di cui s’è ormai innamorato, al soprannome Mister Coraggio grazie al quale ha superato la vergogna d’aver tradito la memoria di John, e sorride senza rendersi conto che tra poco piangerà. Alla Venticinque c’è Ferruccio che viceversa se ne rende ben conto, e con occhi inquieti fruga tra le ombre proiettate dal fico. Stamani Maometto ha promesso di portargli l’hummus con lo sciauarma cioè la crema di ceci col montone al forno, una-pentola-piena-vedrai, e se gliela portasse davvero… Bisognerebbe fermarlo, proibirgli di mettere il naso fuori della sua baracca, ma in che modo? Cristo, in che modo?!? Alla Venticinque Alfa ci sono Luca e Nicola che ascoltando la radio hanno colto una frase allarmante, i-due-sull’altana-dinanzi-alla-Torre-rischiano-di-brutto, e Luca non fa che intercalare gli insulti a Hemingway col Salve Regina: «Salve Regina, madre misericordiosa, vita, dolcessa, speransa nostra… Va a remengo, Hemingway, bruto porseo, rasa de recia!». Quanto a Nicola, non fa che smaniare e lamentarsi: «T’ed razòn, avevi ragione, zi’ Liliana! T’ed razòn!». Alla Ventidue c’è Nibbio. Aspetta Aquila Uno che è andato a riprendere Rambo e i nove marò, e scrutando la Torre borbotta a sé stesso: «Mo’ ammaina ’a bandiera der pennone… Mo’ la stà a piegà… Mo’ va a scenne le scale… Mo’ le scenne… O l’ha scese in anticipo pe’ nun sgomberà a le diciassette precise? Li napoletani temeno er diciassette peggio de li gatti neri e de li specchi rotti! L’ha già scese, sì, mo’ ariva…». E ovunque c’è un cielo livido, scalognatore, che di minuto in minuto si fa più livido e scalognatore. Guarda anche quello, guardalo.
Guardalo e poi guarda Aquila Uno che per non favorire la iella, non lasciare la Torre alle diciassette precise, è sceso davvero in anticipo e sta arrivando tallonato dalla campagnola di Rambo. È molto bianco, Aquila Uno, così bianco che sulle sue guance i baffi a ricciolo spiccano come neri punti interrogativi, e respira a fatica. «Nibbio, trasferisciti alla Venticinque. Alla Ventidue ci sto io» dice respirando a fatica. Quindi si rivolge a Rambo che anche qui fissa angosciato la casupola gialla: «Sistemati coi tuoi ragazzi ai piedi del muro sud, Rambo, ché nel carro purtroppo non c’è posto». Subito dopo chiama la Sala operativa e trasmette un breve rapporto: «La bandiera è ammainata, la Torre evacuata, Nibbio si trasferisce alla Venticinque e i dieci marò restano con me alla Ventidue. Ricevuto?». «Ricevuto» rispondono in Sala operativa. Sono le cinque e cinque, il silenzio allucinante continua, e nel suo ufficio il Condor spiega al gran cappellano perché non potrà celebrare la Messa di mezzanotte. «Ritengo che lo sforzo di evitare lo scontro non sia servito a nulla, Eccellenza: la battaglia scoppierà presto e ci coinvolgerà da Chatila a Bourji el Barajni. Ci troveremo nella situazione di un arbitro stretto fra due pugili che si massacrano alla cieca, Eccellenza, e parecchi pugni toccheranno a noi. Devo tener la truppa al riparo.» Accarezzando i minuscoli e scintillanti crocifissi che gli santificano il bavero dell’uniforme, il gran cappellano ascolta con l’aria di chi non ci crede e replica sdegnato: «Una battaglia la notte di Natale?!?». Lisciandosi le ingiustificate medaglie d’oro e d’argento invece il generalone di Roma ascolta con l’aria di chi ci crede fin troppo, e suda. Non è mai stato in una guerra, lui, le sue imprese belliche si esauriscono nelle esercitazioni fatte coi colpi a salve e negli ordini sparati dalle poltrone del Ministero della Difesa, ma sa che il Condor non sbaglia. Lo sanno tutti. Lo sa il Professore che lo ha spiegato nel Post-scriptum della sua lettera e che ora darebbe molto perché realtà e fantasia non fossero la medesima cosa. Lo sa Charlie che oppresso dal dispiacere d’aver dovuto imbrogliare Bilal cerca giustificazioni nella frase capitàn, l’amicizia-è-un-lusso-alla-guerra, e-c’è-un-proverbio-che-dice-o-me-o-te. Lo sa Cavallo Pazzo che ansioso di imitare Desaix e Collinet, per l’esattezza Louis-Charles-Antoine Desaix anzi Des Aix cavaliere di Veygoux e Antoine-Charles-Louis Collinet conte di Lasalle tormenta Gallo Cedrone con le sue massime in latino: «Bellum nec provocandum nec timendum, la guerra non si deve né provocare né temere, ci insegna Plinio!». Lo sa il Pistoia che perduta la sua allegria e il suo rendez-vous con Joséphine e Geraldine e Caroline brontola fra i denti: «Stanotte si balla, figlioli, si balla!». Lo sa Zucchero che è sceso nel Museo per fasciare coi sacchi di sabbia la sua bomba d’aereo mai disinnescata e allarmato mugugna a sé stesso: «Speriamo bene, speriamo bene!». Lo sa Sandokan che a Sierra Mike gongola felice di godersi la-linfa-della-vita negatagli dalle mancate guerricciole con la Jugoslavia o con l’Albania o almeno con Malta, almeno col Principato di Monaco, almeno con la Repubblica di San Marino ma in fondo al cuore avverte un inspiegabile rimpianto per gli edelweiss e le trote delle Prealpi. Lo sa Falco che al Rubino ringrazia Iddio d’esserne fuori cioè di poter rinviare la Grande Prova per la quale, suor Espérance a parte, è tornato a Beirut. Lo sa Gigi il Candido che invece di studiare il Mot à mot di suor George si preoccupa per Rocco, grazie a lui traslocato da Ost Ten al Comando. Lo sa il Lieutenant Joe Balducci che a Ost Ten si domanda in quale misura la battaglia determinerà la sua sorte e quella dei suoi quattro Marines intrappolati nel fucking grattacielo. Lo sanno i medici e gli infermieri che all’ospedale da campo allestiscono i tavoli operatori e controllano le scorte di morfina. (Basterà?) Lo sanno i miliziani di Bilal che indispettiti per la ritirata e la barricata disfatta aspettano con impazienza di riattraversare avenue Nasser. E meglio di chiunque lo sa Bilal che dopo averli ricondotti a Gobeyre ha ordinato a Rashid di allestire le difese, mobilitare giovani e vecchi, equipaggiarli con qualsiasi tipo di arma a disposizione, nonché sistemare due camion al confine col quartiere di Chyah e montarvi i proiettili più preziosi di cui gli Amal del quartiere dispongono: trenta Katiusha da 80 mm, impiegabili a breve gittata. Intanto novanta governativi si apprestano a riprender la Torre. Guarda anche loro, guardali.
Guardali mentre con le uniformi stirate e gli elmetti mimetizzati e gli M16 e le mitragliatrici e i mortai d’ogni calibro si muovono nell’ombra, approfittando delle strade vuote e dei vicoli deserti si avvicinano all’obiettivo insieme a un M48 col cannone da 105 ancora incappucciato ma la Browning da 12,7 e la mitragliatrice coassiale pronte all’impiego. Stamani l’esercito di Gemayel ha accettato la proposta del Condor perché i suoi strateghi avevano compiuto l’errore di avviare un’operazione non ben coordinata, e perché la compagnia mandata durante la notte a occupare la Torre aveva commesso l’ingenuità di issare sul pennone dell’ex deposito d’acqua la bandiera col cedro del Libano. Cioè di aizzare Bilal. Tuttavia nel corso della giornata sono corsi ai ripari. Hanno chiamato due battaglioni dell’Ottava Brigata e due della Sesta, ciascun battaglione al comando di ufficiali esperti e spesso addestrati nelle accademie di West Point o Saint-Cyr, sul vialetto che dalla Pineta sfocia nella rotonda di Sabra hanno piazzato la colonna di M48 e autoblindo che Angelo ha visto mentre aspettava Ninette e mentre lasciava l’albergo, e sul litorale di Ramlet el Baida anzi all’altezza del Luna Park hanno schierato una colonna composta di M113, automezzi carichi di truppa, jeep coi cannoni da 106. (Cosa che al momento opportuno consentirà un attacco a tenaglia. La prima colonna irromperà infatti dal lato nord di Sabra e la seconda dal lato sud di Chatila). Inoltre hanno allertato i mortaisti della Sesta cioè quelli che alloggiano nella caserma dietro il Logistico, e messo agli ordini del capitano Gassàn una compagnia rinforzata di novanta uomini scelti. Sì, i novanta che con le uniformi stirate e gli elmetti mimetizzati e gli M16 e le mitragliatrici e i mortai d’ogni calibro si muovono nell’ombra, insieme all’M48 si stanno avvicinando alla Torre. Vi irromperanno fra poco, con una manovra rapidissima, militarmente perfetta, e senza issare bandiere Gassàn li installerà così: ventisei uomini al piano terreno con due mortai da 81 e due mitragliatrici da 12,7; dieci al primo piano che ha tre finestre a cui appostarsi, quelle sulla facciata; quattordici al secondo, al terzo, al quarto piano che oltre alle finestre sulla facciata hanno quelle sul retro e sui lati; dodici sul tetto a terrazza dove piazzerà quattro mitragliatrici da 7,62 e tre mortai da 60 nonché dieci casse di granate e diecimila pallottole in nastri. Però Bilal ne verrà informato dalle sue sentinelle e pazzo di furore darà fuoco alla miccia delegando Rashid a sparare il primo Katiusha e ordinando ai suoi miliziani di riattraversare avenue Nasser, lanciarsi con lui alla conquista del maledetto edificio. Sono le cinque e tredici minuti. Il silenzio allucinante continua, e l’immobilità greve come un sudario di piombo. Mollato il gran cappellano che stizzito cerca un rifugio nel quale celebrare la Messa, il Condor ha portato il generalone di Roma in Sala operativa e qui fissa il grande orologio che la mattina della duplice strage ossessionava col cupo tic-tac. In piedi accanto alla campagnola che ha parcheggiato tra il carro della Ventidue e il muro presso cui stanno accucciati i marò di Rambo, Aquila Uno trattiene il fiato e attende che l’inferno scoppi. Le diciassette e tredici… Le diciassette e quattordici… Le diciassette e quindici… Le diciassette e sedici… Le diciassette e diciassette che è un’ora doppiamente scalognata per via del duplice diciassette… E per esorcizzarlo fa il segno delle corna, mormora gli scongiuri del caso. Ma il Katiusha che Rashid ha lanciato dal camion al confine col quartiere di Chyah sta ormai solcando il cielo livido e scalognatore.
* * *
Lo solcò da levante a ponente, come la cometa del sogno. La cometa dei re Magi. Lo solcò lasciandosi dietro una coda di fulgida luce arancione, come la cometa del sogno. La cometa dei re Magi. E tutti, fuorché Aquila Uno, spalancarono la bocca estasiati. Che bella cometa, pensò Rambo per un istante dimentico di Leyda e della sua sorellina morta. Che bella cometa, pensò Cipolla per un istante dimentico del suo sogno e della sua paura. Che bella cometa, pensò Chiodo per un istante dimentico del pollo arrosto e della sua fame. Che bella cometa, pensò Nazareno per un istante dimentico dell’India e della cavalla bianca. Che bella cometa, pensò Fabio per un istante dimentico della sua Jasmine. Che bella cometa, pensò Matteo per un istante dimentico di Dalilah e di Rosaria. Che bella cometa, pensò Ferruccio per un istante dimentico di Maometto e della sua pentola di hummus con lo sciauarma. Che bella cometa, pensarono Luca e Nicola dimentichi l’uno di Hemingway e l’altro della zia Liliana. Che bella cometa, pensarono tutti, che bella storia da raccontare al ritorno in Italia. «Ci credereste?!? La notte di Natale, a Beirut, vidi la cometa dei re Magi.» Poi con occhi lucidi ne seguirono la parabola, la ammirarono mentre scendeva, si posava quasi con dolcezza sull’ex deposito dell’acqua. Sull’ex deposito dell’acqua?!?
Un boato squarciò il silenzio. L’ex deposito d’acqua si disintegrò in un ventaglio di fiammate argentee, pagliuzze d’oro, fumo nero. Un fantoccio che stringeva in pugno l’M16 schizzò verso l’alto dove scomparve inghiottito dall’oscurità. Altri cinque si lacerarono in mille pezzi che piovvero sui tetti attigui. Aquila Uno si coprì gli occhi e l’inferno scoppiò seguito dalle grida degli abitanti poi dall’urlo di Bilal che con la sua giacca a toppe e il suo fucilone riattraversava avenue Nasser per lanciarsi alla conquista della Torre.
«Ila al Bourji, alla Torre, ila al Bourji!»
– 2 –
«Yahallah! Oddio, yahallah!»
«Ila al Bourji, alla Torre, ila al Bourji!»
«Nedsa lokum, che catastrofe, nedsa lokum!»
«Ila al Bourji, alla Torre, ila al Bourji!»
«Mama, ummi, mama! Mamma, mammina, mamma!»
«Ila al Bourji, alla Torre, ila al Bourji!»
«Pappa, pappi, pappa! Babbo, babbino, babbo!»
«Ila al Bourji, alla Torre, ila al Bourji!»
«Saedna, aiuto, saedna!»
«Ila al Bourji, alla Torre, ila al Bourji!»
Sparavano dalle finestre, dalle terrazze, dai marciapiedi, dalle trincee, da ogni buco che stesse sulla sponda opposta del fiume chiamato avenue Nasser. Gobeyre sembrava un vulcano che s’è svegliato di colpo per eruttare un magma di lava, lateriti, lapilli. Sparavano coi Kalashnikov, gli Rpg, le rivoltelle, i mortai da 81, e i due camion al confine col quartiere di Chyah sputavano gli altri Katiusha. Però la casuale esattezza della cometa non si ripeteva, tutti scavalcavano il bersaglio troppo vicino per cadere sulla Cité Sportive: dalla Torre Gassàn poteva reagire con furia, e il fuoco incrociato investiva Chatila. Straziava soprattutto la striscia parallela ad avenue Nasser e molte porte sprangate si aprivano, molte saracinesche abbassate si alzavano, come topi che fuggono da cov...