Restaurant Man
eBook - ePub

Restaurant Man

Vita, vino e cibo di un giudice di Masterchef

  1. 320 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Restaurant Man

Vita, vino e cibo di un giudice di Masterchef

Informazioni su questo libro

Una vita in equilibrio tra due continenti e due generazioni, in cui i valori antichi sono le indissolubili fondamenta dell'azzardo imprenditoriale di oggi: lirica e Led Zeppeling, Brunello d'annata e Gatorade, Friuli e New York. In questa autobiografia che sembra un romanzo, Joe Bastianich, amato e odiato giudice-star di Master- Chef Italia, racconta le strane dissonanze che da sempre sono il sale della sua vita. La sua storia è un susseguirsi di colpi di scena e indimenticabili personaggi: su tutti la madre Lidia, donna formidabile che ha saputo trasmettere al figlio l'amore per la cucina e l'indomabile carattere. Un libro eclettico, ironico e politicamente scorretto, come il suo autore.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2014
Print ISBN
9788817076166
eBook ISBN
9788858673348

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Restaurant Man

Ecco tutto quello che è necessario sapere se si vuole aprire un ristorante. Il margine di profitto è tre volte il costo di qualsiasi prodotto; su alcuni si guadagna di più, su altri meno. Nel menu ci sono piatti richiestissimi su cui ci rimetti: braciole di vitello e bistecche possono costarti il cinquanta per cento del prezzo indicato sul menu, mentre con paste e insalate puoi sfiorare il quindici per cento. L’importante è che complessivamente i costi non superino il trenta per cento.
Specchietti per le allodole come antipasti e dessert abbattono i costi. I dessert sono profitto quasi allo stato puro. Sul prezzo del vino al calice c’è in genere un ricarico quadruplo, anche se non sempre lo facciamo. Da Babbo guadagniamo circa il triplo su un quartino, talvolta il doppio, quindi il nostro vino ci costa tra il trenta e il cinquanta per cento del prezzo effettivo.
Il trenta per cento dell’incasso mensile se ne va per l’acquisto di prodotti alimentari e vino. Un altro trenta è destinato alla manodopera, il venti per cento a spese varie, incluso l’affitto, e il restante venti è profitto. L’affitto mensile dovrebbe coincidere con l’incasso lordo della giornata più fiacca.
Questo è quanto. La matematica della ristorazione è semplice: se devi incassare diecimila dollari al giorno, bisogna che mangino duecento persone e spendano cinquanta dollari a testa. E su quei diecimila incassati, un trenta per cento si dovrebbe ricondurre alla merce venduta, un altro trenta alla manodopera che la prepara e il venti per cento a spese varie, inclusi tovaglie e tovaglioli, l’assicurazione, i disinfettanti eccetera. Il venti per cento che avanza è il profitto. Come ho già detto, è semplicissimo. Esistono tanti modelli contabili assai più complessi, ma il modello base è questo.
Qualsiasi cosa si offra è un danno. La biancheria è il male numero uno, perché è costosa e nessuno la paga. Lo stesso vale per il pane e il burro. Va bene pagare quindici dollari per una braciola di vitello che rivendi a trenta, ma pagare un dollaro e venticinque centesimi per una tovaglia e trentacinque centesimi per ogni tovagliolo che la gente sporca ancora prima di ordinare da bere è una bella scocciatura.
In un tipico ristorante di lusso di Manhattan, un margine di profitto tra il dieci e il venti per cento è accettabile. Venti per cento se vai a gonfie vele, dieci per cento se vai benino. Ogni minimo dettaglio, però, inciderà sul margine di guadagno. Un cucchiaio che finisce nell’immondizia esce dalle tue tasche, una caraffa di caffè che nessuno beve ti costa denaro. La bravura dello chef nel minimizzare lo scarto quando sfiletta il pesce fa una bella differenza, in termini economici. In questo settore, per far soldi bisogna risparmiarne.
Tutto questo l’ho imparato da mio padre. Lui era un vero Restaurant Man. Restaurant Man è una sua definizione.
È stato mio padre a svelarmi già in tenera età i lati oscuri del mestiere: devi mostrarti generoso, ma nel profondo essere un tirchio tremendo, perché le cose funzionino. È stato lui a insegnarmi come si fanno i soldi: è un settore che si regge sugli spiccioli, e i dollari si fanno accumulando un centesimo sull’altro. Se cerchi di far soldi mirando subito al guadagno, non riuscirai a sopravvivere. È un concetto molto semplice che io e il mio socio, Mario Batali, applichiamo in tutti i nostri ristoranti: compriamo la merce, la lavoriamo e la vendiamo per profitto. Fin dall’inizio è stato il nostro mantra. Non siamo presuntuosi, non possiamo permettercelo. Nel settore della ristorazione si contano più fallimenti che successi. Facciamo il nostro mestiere con grande passione, viviamo al solo scopo di soddisfare i clienti. Vogliamo portarli all’orgasmo gastronomico, e vogliamo essere presenti per goderci la loro soddisfazione. Siamo le persone più fortunate del mondo perché il nostro è un lavoro meraviglioso. Ma in realtà ciò che facciamo è molto semplice: compriamo la merce, la lavoriamo e la vendiamo per profitto. L’essenza della ristorazione sta tutta qui.
Da Babbo, il nostro primo, vero ristorante di successo, i costi fissi erano bassi: all’inizio, l’affitto mensile ammontava a dodicimila dollari appena, e avevamo centodieci posti a sedere. Eravamo stati fortunati, un locale simile poteva facilmente costare il doppio o il triplo. Secondo i nostri calcoli, avremmo incassato circa quaranta, quarantacinque dollari a persona e, prevedendo un turno e mezzo ogni sera, avremmo totalizzato centocinquantacinque coperti, per un guadagno di settemila dollari a sera, circa cinquantamila a settimana. Una bella operazione da circa due milioni e mezzo l’anno. Se sei bravo, ti metti in tasca un buon venti per cento, vale a dire seicentomila dollari. Ma al giorno d’oggi le bollette costano più dell’affitto: per rientrare bisogna avere ricavi altissimi e il ristorante sempre pieno zeppo.
La maggior parte della gente che apre un ristorante è destinata al fallimento, perché ignora le nozioni basilari della matematica della ristorazione. O pensano di essere cuochi impareggiabili oppure padroni di casa eccelsi. Si buttano nel settore per narcisismo, senza rendersi conto che se non c’è un profitto stanno facendo una vera stronzata. Gestire un ristorante significa occuparsi ogni giorno nello stesso momento di marketing, produzione e servizio clienti. Se non scomponi questi tre elementi e non li affronti uno per uno come si deve, se ti illudi di essere un padrone di casa fantastico o un cuoco con grandi doti artistiche, non duri neanche una settimana.
Chi apre un ristorante facendo affidamento sugli amici è fottuto in partenza. Non è così che si costruisce un’attività. Questa è un’altra lezione che ho imparato da mio padre: ha sempre preferito l’inequivocabile relazione “cliente-Ristoratore”: tu vieni da me perché io ti offro un buon prodotto a un prezzo equo, e perché si spera che questo prodotto superi le tue aspettative. Tu sei contento di pagare e io sono gentile con te perché ne traggo profitto. Tu sei soddisfatto, saluti e poi ritorni. Mi ringrazi, mi dici buonanotte e forse io ti offro un bicchierino.
Gli amici, invece, spadroneggiano. Ti distraggono proprio quando dovresti prenderti cura dei clienti che contano davvero, e si aspettano che tu offra loro qualcosa. Gli amici ti rovinano la serata e i margini di guadagno.
Entrare ogni giorno nel proprio ristorante significa cercare opportunità sempre nuove per far soldi. E come si accumulano i soldi? Impedendo loro di uscire dalla porta d’ingresso.
Per prima cosa, è fondamentale avere una bilancia vicino alla porta d’ingresso, perché qualsiasi macellaio e pescivendolo sa se c’è o non ce n'è una: tutti i fornitori hanno un elenco dei ristoranti che ne sono sprovvisti. In questo modo puoi pesare la merce nel momento stesso in cui ti viene consegnata, e poi controllare le fatture. Di solito a occuparsene è il primo commis di cucina. Nella maggior parte dei ristoranti si tratta di un lavapiatti salito di grado. È un ragazzo di cui ti fidi, ma il mio consiglio è: tienilo d’occhio. Se ti tradisce, è la fine. Deve assolutamente stare dalla tua parte, perché è lui che ha il polso della situazione. Assicurati che sia un tipo che sa farsi rispettare: oltre a pesare ogni singola cosa, deve anche accertarsi che non ti freghino con il peso del ghiaccio o dell’acqua, se si tratta di pesce, o della confezione se si tratta di carne. I modi per fregarti non si contano. Se i latticini e i prodotti freschi che hai acquistato vanno a male un attimo prima che tu sia pronto a rivenderli, saranno i tuoi profitti a risentirne. Sulle consegne della biancheria, anticipi soldi. Devi comprare lampadine, tavolette del water, bicchieri a stelo, farina, spugnette e mille altre cose e, se la possibilità di lucrarci sopra esiste, di certo qualcuno ci proverà. Se il fornitore prova a fare il furbo, allungherà al tuo ragazzo una bustarella, diciamo qualche centinaio di dollari in contanti ogni settimana o due, e a quel punto lui sarà disposto a firmare qualsiasi fattura. È un classico. Devi avere la certezza assoluta che il tuo ragazzo di fiducia sia puro come la neve.
In un ristorante, l’attimo magico in cui ci si arricchisce non è quando il cliente paga il conto al tavolo, ma quando si firma una fattura, di qualsiasi cosa si tratti. Perché quando la contesti annotandovi sopra un credito a tuo favore per tovaglioli o tovaglie sporchi, oppure per il peso sbagliato di un pesce, il fornitore dovrà ritirare la tua copia della fattura con l’annotazione e non potrà ignorarla. Se invece ti limiti a firmare e a ritirare la tua copia, e ti rendi conto in un secondo tempo di essere stato imbrogliato, la procedura per ottenere il risarcimento sarà molto più complesso. Perciò, il momento cruciale è quello, cioè quando viene consegnata la merce e tu e il tuo ragazzo, se necessario, potete ancora contestare la fattura e piantare una grana a chi sta effettuando la consegna: «Figurati se pago per questa roba, al massimo ti do la metà». Solo allora hai ancora spazio per contrattare: una volta che firmi la fattura sei finito. La gente proverà a fregarti in continuazione. È come nel film Brian di Nazareth dei Monty Python: se non provassero a fregarti e tu non tentassi di ottenere uno sconto, tutti ci rimarrebbero male. Fa parte del gioco. Nel momento in cui avrai instaurato un rapporto con i fornitori, la speranza è quella di poterti fidare di loro. Ma la strada è lunga, e loro cercheranno di spremerti fino all’ultimo centesimo.
Poi c’è la gente che vuole proprio derubarti, per esempio loschi camerieri a cui piace far sparire denaro contante. Oggi hanno vita dura, perché tutto viene contabilizzato sul computer. Ma in passato poteva capitare che portassero al cliente un conto fasullo senza batterlo in cassa e intascassero i soldi non registrati, anche se era un bel rischio. Fare comunella con il barman o con chiunque ha il compito di incassare i soldi è il sistema migliore per rubare, ma richiede la collaborazione di due persone e un po’ di fiducia reciproca. In questo modo, tuttavia, le possibilità aumentano.
Ricordo una notte in cui spettava a me chiudere il Buonavia, il ristorante che i miei genitori avevano nel Queens negli anni Settanta. Avevo dieci, undici anni. Di solito era mio padre a chiudere il locale ogni notte: una bella rottura di palle, perché significava stare in piedi fino a tardi cercando di ammazzare il tempo, aspettando che gli ubriachi se ne andassero, bevendo qualche bicchiere di vino e flirtando con la guardarobiera. Era il momento peggiore della giornata: bisognava essere estremamente vigili quando tutto quello che avresti voluto fare era bere un paio di bicchieri e andartene a casa. A quell’epoca il mio compito era chiudere le saracinesche e mettere i lucchetti, in genere verso le tre del mattino, gelandomi le chiappe. Quella notte guardai verso il punto di raccolta dei rifiuti sulla strada e vidi che i sacchi dell’immondizia si muovevano. Fu come in un film dell’orrore, una cosa molto strana. Tagliammo uno dei sacchi: era pieno di aragoste. È facile trafugare cibo di nascosto portandolo fuori insieme all’immondizia, e poi tornare a riprenderselo e rivenderlo per fare soldi facili.
Poi ci sono quelli che non rubano in senso stretto, ma mangiano a sbafo roba costosissima e sprecano di tutto. Lo fanno perché se ne sbattono, ma alla fine quello che rimane fregato sei tu. A loro non importa se tu fai soldi o li perdi.
Nell’ambiente circola una vecchia storiella. Il proprietario di un ristorante ha appena assunto un nuovo barman ed è la sua prima serata di lavoro. Il proprietario lo tiene d’occhio dal secondo piano. Entra della gente e ordina due Budweiser e due shot di Jack Daniel’s. In tutto fanno trenta dollari, e il barman ne deposita quindici nella cassa e quindici se li mette in tasca. Il cliente successivo ordina un giro per un totale di quaranta dollari. Venti vanno in cassa e venti finiscono nella tasca del barman. Il proprietario assiste a tutta la scena. Poi arriva un grosso ordine: superalcolici, birre, qualche cocktail, per un conto da sessanta dollari. Il barman mette venti dollari nella cassa e se ne intasca quaranta. A quel punto il proprietario perde le staffe e gli grida: «Cazzo, pensavo fossimo soci!».
Così è la vita, a molti basta sapere quanto viene rubato loro. Il passo successivo è chiedersi fino a che punto sei disposto a tollerare.
Il Restaurant Man deve essere nel suo locale fin dal mattino. È una bella scocciatura: la sera prima hai chiuso tardi, probabilmente hai bevuto troppo e hai cercato di farti la guardarobiera. Ma devi scrollarti di dosso la stanchezza e ricominciare tutto da capo. Sorseggi il tuo caffè al bar, magari ti fai un goccio di Fernet Branca per stroncare la sbornia, e cerchi di ricostruire quanto è accaduto la sera prima ispezionando il locale. Controlli cosa è entrato dalla porta e cosa ne è uscito. Dai un’occhiata al guardaroba perché è lì che la gente dimentica gli oggetti di valore. Fai un giro dietro il banco del bar perché è un po’ come la cabina di comando del ristorante: lì si trova il registratore di cassa e da lì di solito si può vedere la porta. Controlli il barattolo delle mance del barman perché lì dentro ognuno lascia la propria traccia: cocaina, soldi, furti, numeri di telefono. Se vuoi sapere cosa è successo la sera precedente, guarda tra le mance.
Io vado in cucina e apro un paio di frigoriferi per accertarmi che i prodotti vengano utilizzati in base alla loro scadenza. Il Restaurant Man segue sempre l’iter della merce e del denaro per l’intero ciclo: la consegna, lo stoccaggio, la trasformazione, la lavorazione delle materie prime in grandi quantità e nel dettaglio, la cottura. I clienti arrivano, pagano per il servizio e se ne vanno. I soldi finiscono nel registratore di cassa, e si compra altra merce. Bisogna essere un po’ poliziotti e un po’ paramedici: in ogni fase del processo c’è qualcuno pronto a sprecare roba, derubarti, rendere l’attività meno redditizia, e fondamentalmente buttare tutto al secchio. Il tuo compito è tenere le cose in ordine. Bisogna essere brutali per evitare che i margini di guadagno si riducano. In definitiva, il lavoro del Restaurant Man consiste nell’evitare di farsi fregare.
Un’altra cosa che mi piace fare al mattino è controllare il registro delle prenotazioni per vedere cosa succede a pranzo, cosa succede a cena, che tipo di clientela arriverà, e cominciare a pensare a come assegnare i posti a tavola. L’assegnazione dei posti è estremamente importante. C’è qualcuno di famoso o qualche infame? E non mi riferisco necessariamente alle celebrità. Mi riferisco a pezzi grossi, cioè clienti disposti a spendere molto, o imbecilli totali. Meglio saperlo prima. Un regista celebre arriva con quattro ospiti e gli piace sedersi al tavolo uno. Alle otto e trenta arriva una stella grassona della lirica e avrà bisogno di più spazio. Un ex presidente e una rockstar dedita a opere di beneficenza arriveranno insieme e non conviene farli aspettare.
A volte, prima di uscire dal ristorante la sera, segno il livello di alcune bottiglie a caso, tanto per controllare lo stato delle cose. Quando torno il mattino successivo verifico se il livello è cambiato, così capisco cosa ha bevuto lo staff la sera prima. Bisogna sapere che cosa beve il personale, se Patrón o Grand Marnier: quella roba non è gratis. Se proprio devono bere, che scelgano almeno le bottiglie meno costose.
Sarebbe opportuno adottare una politica che vieta al personale di bere, ma chi lavora nei ristoranti… be’, lo fa sempre. In passato non faceva una grande differenza, perché con il bar si guadagnava meglio: gli alcolici costavano meno e i clienti bevevano di più. Ora tutto è di qualità superiore, compresi i prezzi. Ai vecchi tempi si beveva gin, vodka e whiskey canadese. Un pezzo grosso che voleva farsi notare diceva: «Dammi un Cutty con ghiaccio». All’epoca una bottiglia di Cutty la pagavi sette dollari, ma già nel 1978 quel drink costava tre dollari e venticinque centesimi, dunque con un solo bicchiere si recuperava il cinquanta per cento del costo della bottiglia. Ora non è più così. Per preparare un Grey Goose Martini, persino all’ingrosso la bottiglia di vodka ti costerà trentadue dollari, vale a dire circa due dollari per trenta millilitri. Calcolando che oggigiorno per un drink servono circa novanta o cento millilitri, quanto puoi far pagare un bicchiere che contiene sette dollari di vodka? Undici, dodici dollari? Odio questi margini risicati. Non è più come un tempo, quando si acquistava una bottiglia a sette dollari e si vendeva un bicchiere a tre e mezzo. Oggi per recuperare il costo di una bottiglia bisogna vendere tre o quattro drink anziché due.
Al mattino controllo anche i bagni e lo spogliatoio, che di solito sono i locali più sgradevoli di un ristorante. Per me, in un ristorante, la manutenzione, la pulizia, i lavori di ammodernamento sono fondamentali e ce n’è continuamente bisogno. Mio padre me lo ha inculcato fin da quando avevo sei anni. Ricordo che diceva sempre: «Noi non gestiamo questo posto come un ristorante cinese di merda». A Chinatown talvolta sembra che nei ristoranti ci abitino. Avete presente tre termosifoni elettrici con i cavi tenuti insieme dal nastro adesivo, attaccati a una prolunga multipla da due soldi cui è collegata anche la TV che l’intera famiglia guarda seduta a un tavolo? E lo stereo portatile e le luci natalizie attaccati alla stessa prolunga, che fanno sembrare il locale uno scantinato ancora in costruzione che qualcuno sta tentando di parare a festa? È come costruire una centrale nucleare su una linea di faglia.
Prima di pranzo si apparecchiano i tavoli. Per risparmiare qualche centesimo, mio padre ripassava con il gesso le tovaglie: controllava quelle della sera prima e, se non erano troppo sporche, cancellava le macchie di sugo alla marinara con un gessetto bianco, poi le piegava e le usava una seconda volta. Se una tovaglia era molto sporca, si poteva sempre usare come sottotovaglia. La biancheria è una nota dolente per il Restaurant Man, perché costa. Mio padre teneva in un cassetto dietro il bar un tovagliolo che usava per almeno una settimana o due. Lo stesso tovagliolo. Non sto scherzando. Il Restaurant Man odia la biancheria. I tovagliolini da cocktail quadrati che le ditte di alcolici forniscono gratuitamente sono l’arma segreta del Restaurant Man. Io li faccio usare al personale quando mangia, li porto a casa perché li usi la mia famiglia a cena, e me ne servo per pulire il parabrezza del furgone.
Quando si finisce di servire il pranzo e i clienti dell’ultimo tavolo se ne vanno, si sparecchia ma si lascia la stessa tovaglia. Al massimo la si rivolta. Un tempo, il primo a mang...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Dedica
  4. 1. Restaurant Man
  5. 2. Queens Boulevard
  6. 3. La Stratocaster di Joe Stalin
  7. 4. Mangiare per vivere/vivere per mangiare
  8. 5. Abbiate paura. Molta paura.
  9. 6. Dal Blue Nun al Barolo
  10. 7. Gli aiuto camerieri: linfa vitale di un ristorante
  11. 8. Babbo: primi
  12. 9. Babbo: secondi
  13. 10. Eroi e cattivi
  14. 11. Uva aspra
  15. 12. Romolo, Remo e io
  16. 13. Amore pirata
  17. 14. La maledizione del Restaurant Man!
  18. 15. ****
  19. 16. Non sparate sul pianista
  20. 17. No, non può sedersi
  21. 18. È vero, le donne sono più intelligenti
  22. 19. Cambiare le carte in tavola
  23. 20. Ora di chiusura
  24. Ringraziamenti
  25. Sommario