Io sono la neve
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Io sono la neve

  1. 342 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Io sono la neve

Informazioni su questo libro

Scende fitta la neve, la prima sera di marzo, alla Irving School. In una nottata come quella tutto si copre e si confonde, e il Grande Gioco, che i ragazzi dell'ultimo anno organizzano come da tradizione, prende una piega imprevista e preoccupante. Sarà Tim a raccontare l'accaduto, affidando la propria voce a una serie di CD che lascia nella sua stanza per Duncan, lo studente che la occuperà l'anno dopo. Duncan scopre così la storia di Tim, diciassettenne albino e impacciato, e quella di Vanessa, bella e disinvolta. Una storia impossibile e piena di interrogativi, che corre veloce fino all'epilogo, in quella fatidica notte di marzo. Duncan c'era, quella notte, e ora che sa tutto, è pronto a fare un passo avanti nella vita e nella scuola.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2014
Print ISBN
9788817072779
eBook ISBN
9788858673669

CAPITOLO QUATTORDICI

TIM
MI VIDE E COMINCIÃ’ A SALUTARE
L’incontro con Patrick, lasciamelo dire, sarebbe stato una ragione sufficiente a non farmi mai più mettere piede in quei bagni. Pensa che mi misi perfino a esaminare le altre opzioni – il bagno della mensa, quello della biblioteca – ma come puoi immaginare ponevano alcuni problemi, di cui il principale era l’assenza di doccia.
Mi sembrava che le cose fossero già andate ben oltre la mia capacità di sopportazione. Ero appena arrivato nella nuova scuola, e c’erano almeno due persone che volevo evitare del tutto, e quando dico evitare intendo non vedere o incrociare mai più in tutta la mia vita. Be’, forse non era del tutto vero per entrambe quelle persone. Ma lui, Patrick, era un tipo davvero strano. Perché mai era passato dal volermi asfaltare a invitarmi a partecipare al loro cavolo di gioco? Non ci ero cascato neanche un secondo, eppure non sapevo come uscire da quella situazione.
Ci stavo pensando quando sentii un fruscio. Mi stavano infilando qualcosa sotto la porta. Avrei voluto nascondermi nel piccolo armadio, o tirarmi le coperte sulla faccia, e fingere di non esserci, ma poiché l’adrenalina mi scorreva ancora nelle vene, senza pensarci più di tanto spalancai la porta. C’era un ragazzo che non conoscevo.
«Oh, ciao» fece lui, rialzandosi con il foglietto ancora in mano. «Sei Tim, vero?»
Confermai.
«Io sono Kyle» disse, passandomi il foglio. «Vanessa mi ha chiesto di dartelo.»
«Che cos’è?» chiesi, immaginando che avesse a che fare con l’escursione o con il rubabandiera.
«Non ne ho idea.» Kyle alzò le spalle. «Mi spiace. Comunque tanto piacere di conoscerti.»
«Aspetta! Sei amico di Vanessa?» Già che ne avevo l’occasione, pensai che mi conveniva cominciare a capire quali erano i rapporti tra i ragazzi.
«No, non più di tanto» rispose. «Stava aspettando in cima alle scale. Probabilmente sono il primo che è passato di lì.»
Volevo fargli molte altre domande, ma non osai. Anche perché morivo dalla voglia di leggere il biglietto.
«Va bene, grazie» conclusi. Mi salutò e se ne andò per il corridoio.
Chiusi la porta e mi sedetti per un momento con il foglietto in grembo. Era chiuso con del nastro adesivo. Lo staccai, e cominciai ad aprire il biglietto lentamente, con il cuore che batteva tanto veloce da far male. Non riuscivo neanche a respirare.
Caro Tim. Mi piaceva da morire: caro Tim!
Caro Tim,
ti è piaciuto il tesoro che ti ho fatto trovare? Senti, io vorrei solo chiarire le cose, così non dovremo più parlarne. Avresti dovuto dirmelo, punto. Avresti potuto dirmelo, e sarebbe andato tutto bene. Almeno però questo spiega la tua strana reazione all’aeroporto. Credevo che ti avrei trovato sull’aereo, e mi è dispiaciuto molto quando ho visto che non c’eri. Spero che il viaggio sia andato bene. Il mio è stato molto solitario. Comunque, ti va di vederci per andare a correre insieme oggi a mezzogiorno? Lo so che è l’ora di pranzo, ma è l’unico momento in cui posso scomparire per un po’. E poi mi ricordo che hai detto che ti piace correre. Non avevi detto che ti rende felice? Ah, e comunque secondo la regola della scuola non possiamo andare a correre nel bosco da soli, ma sempre con altri. Ci vediamo davanti al laboratorio di scienze: esci dalla porta dietro la segreteria e segui la strada, non puoi sbagliarti. Non dimenticare le scarpe da corsa.
Con affetto
Vanessa
Con affetto, Vanessa. Anche questo mi piaceva da morire. Mancavano ancora delle ore a mezzogiorno. Come avrei fatto a far passare la mattinata? E soprattutto, come avrei fatto ad andare con lei a correre? Là fuori c’era troppa luce per me, tra il sole invernale e il bianco intenso della neve. Pensai che forse avrei dovuto mettere gli occhiali. Ma quando li provai davanti al vecchio specchio della stanza, decisi che no, non c’era verso. Li odiavo. E Vanessa aveva detto che ho dei begli occhi. Non li avrei nascosti dietro quegli affari orrendi. Li rimisi nella borsa.
Di solito li metto quando corro da solo: mi aiutano a nascondermi. C’era stata una volta, l’anno prima, in cui ero quasi sicuro di incontrare una ragazza della scuola, e quindi avevo deciso di non indossarli, pensando che per una sola volta non mi avrebbe fatto troppo male. Ero uscito di casa senza farmi notare, perché mia madre non avrebbe approvato il mio ragionamento. Alla fine era stato un vero disastro. Gli occhi mi facevano male, e dovevo fermarmi in continuazione per coprirli e tenere a bada il bruciore. E poi, proprio quando mi stavo avvicinando alla casa della ragazza tanto che potevo vederla in giardino, mia madre aveva accostato al marciapiede e mi aveva passato gli occhiali dal finestrino. Io li avevo infilati e poi avevo svoltato l’angolo, sollevato di poter nascondere la faccia che bruciava per l’imbarazzo. Mi ero diretto verso casa senza guardarmi indietro. Eppure sono quasi certo che la ragazza mi avesse visto.
Mi preparai e aspettai, e quando fu l’ora dell’appuntamento lasciai la stanza e seguii le indicazioni di Vanessa fino al laboratorio. Lei non era ancora arrivata, anche se io ero in ritardo di tre minuti, quindi aprii la porta e aspettai appena dentro. Alla fine la vidi, che veniva verso di me lungo la stessa strada che avevo fatto io. Indossava pantaloni neri e una felpa grigia. I capelli biondi erano raccolti in una coda piuttosto alta, infilata nel retro di un cappellino con il bulldog. Fui sorpreso di vedere che non aveva niente di colorato addosso. Mentre si avvicinava, ebbi la tentazione di scappare dalla porta sul retro, ma mi obbligai a restare lì. Non la vedevo da quando se n’era andata, all’aeroporto. Non era poi così tanto tempo, ma a me sembravano settimane, addirittura mesi. A quel punto lei mi vide e cominciò a salutare. Io risposi al suo saluto.
Rimasi dentro, aspettando che venisse a prendermi, ma lei indicò il bosco e proseguì in quella direzione senza fermarsi. Io uscii e cominciai a correre per raggiungerla. Lei non rallentò.
«Ciao» dissi. «È tutto a posto?»
«Cosa? Perché?» chiese lei, continuando a correre.
«Perché non sei molto colorata» dissi sorridendo.
«No, è tutto a posto» rispose lei senza sorridere.
«Bene, mi fa piacere» feci io, aspettando che mi guardasse.
Quindi sì, avevo avuto ragione fin dall’inizio: non voleva essere vista con me. E io invece non potevo toglierle gli occhi di dosso. Era chiaramente senza trucco, ma aveva le guance rosse e il viso luminoso.
«Dov’è che si corre, qui?» domandai.
«C’è un sentiero nel bosco, che sale su per la collina e poi scende dall’altro lato. Poi si arriva alla strada e si può tornare indietro da lì, attraversando il primo campo di calcio fino all’entrata principale della scuola. Sono più o meno otto chilometri.»
Otto chilometri. Ce la potevo fare.
«Sei pronto?» mi chiese, come se mi stesse facendo un favore.
«Sì» risposi.
All’inizio del percorso, lei prese velocità. Dopo un po’ di metri mi resi conto che non avevo fatto neanche un minimo di riscaldamento. Magari lei invece sì, non lo sapevo. Comunque erano settimane che non correvo, e anzi venivo da un periodo parecchio sedentario.
«Ehi, Vanessa!» la chiamai.
Lei si girò con un’espressione infastidita.
«Mi hai chiesto tu di venire. Perché ti comporti come se non fosse così?»
Qualcosa cambiò nel suo viso.
«Ti spiace se faccio prima un po’ di riscaldamento?» domandai. «Non avevo capito che avessimo tanta fretta.»
«Scusa» fece lei. «C’è un posto adatto un po’ più avanti. Vieni con me.»
La seguii nel bosco fino a una radura con qualche albero e alcuni ceppi, un posto perfetto per fare stretching. Cominciai i miei soliti esercizi, ma sentivo che gli occhi iniziavano già a bruciarmi. Li coprii con la mano per un attimo, sperando che addentrandoci nel bosco ci sarebbe stata meno luce.
«Io ho già fatto gli esercizi» concesse lei, con una voce molto più dolce.
«Ok, sono pronto.»
Lei guardò dietro di me, verso la scuola, e poi guardò me.
«Andiamo» disse.
Correvo dietro di lei; il sentiero era troppo stretto per stare fianco a fianco. Non mi dispiaceva: sentivo il suo respiro regolare e il profumo del suo sapone o dello shampoo, qualcosa di fresco, al limone. Ma andando un po’ più avanti, il sentiero si fece più largo e la raggiunsi. Ormai avevo capito con un certo sollievo di non essere del tutto fuori forma. Anzi, ero certo di poter tenere il passo, e il respiro finora era rimasto abbastanza regolare.
«Molto simpatico, il tuo ragazzo» dissi.
«Sì, me l’ha detto che vi siete conosciuti» rispose lei, con gli occhi fissi sulla strada. Per fortuna gli alberi erano molto fitti, e le nuvole si erano fatte un po’ più spesse, quindi gli occhi stavano meglio. Ricordo di aver pensato che avevo fatto bene a non portare gli occhiali.
«Una persona deliziosa» commentai.
«Be’, che ti aspettavi?» fece lei. «È un po’ possessivo.»
«Un po’?»
Lei mi guardò con la coda dell’occhio, prima di tornare a concentrarsi sulla strada, e non disse nulla.
«Perché non hai chiesto a lui di venire a correre con te?»
«Patrick è un po’ competitivo» rispose. «Gli piace vedere chi corre più veloce. Non è divertente.»
«E come fai a sapere che io non sono competitivo?»
«Un’impressione» disse, girandosi verso di me e sorridendo.
«E i tuoi amici? Perché non hai chiesto a loro?»
«Di solito corro con Celia, una ragazza del mio piano, ma stamattina lei non si sentiva bene» spiegò Vanessa. «Però io avevo bisogno di sgranchirmi, e come ti ho detto, la regola della scuola è che non si può andare a correre da soli.»
«Perché?»
«Anni fa una ragazza si ruppe una caviglia e non riuscì a tornare da sola. Passò la notte nel bosco, e nessuno aveva idea di dove si trovasse. La cercarono dappertutto, ma niente. Infine, all’ora di cena del giorno dopo, strisciando, la poveretta riuscì a raggiungere la strada principale. Ma era così traumatizzata che lasciò la scuola e non tornò mai più. Dicono che la famiglia fece causa alla scuola e ottenne una barca di soldi. Comunque chissà, magari è una storia inventata, ma il prof di educazione fisica ce la ripete ogni anno. La leggenda vuole che la ragazza abbia lanciato una maledizione sulla scuola, che ogni anno uno studente di quarta debba lasciare la scuola per un motivo del tutto imprevisto: droga, voti troppo bassi, malattia, qualunque cosa. Uno di questi giorni sono andata a spulciare negli archivi, e pare che sia stato davvero così per tutti gli anni passati, almeno fin a dove sono arrivata io con la mia ricerca. È strano, non credi?»
«Già» risposi. A essere proprio sinceri, mi era venuta la pelle d’oca.
Per un po’ restammo in silenzio, e io cominciai a chiedermi quanta strada avessimo percorso. Non avevo idea che intorno alla scuola ci fosse tanto verde.
«Quella è la collina delle slitte» disse infine Vanessa. «Quando nevica davvero tanto, veniamo qui. Vedi che non ci sono alberi? È come un piano inclinato. Si va velocissimi. Quest’anno non è ancora capitato, ma l’anno scorso l’abbiamo fatto due volte.»
«È permesso?»
«Be’, non proprio, ma fa parte del divertimento.»
Arrivammo in un piccolo campo e in quel momento uscì il sole. Mi sentii come se una colata di lava mi avesse colpito in piena faccia. Di getto mi coprii gli occhi con le mani e mi chinai in avanti, ma così facendo persi l’equilibrio e caddi a terra. Una volta in piedi, rivolsi le spalle al sole e col viso in ombra lentamente cercai di aprire gli occhi. Mi ci vollero un po’ di tentativi, ma alla fine ci riuscii.
«Va tutto bene?» domandò Vanessa, mettendomi la mano calda sulla spalla. Per un breve istante la sua mano fu l’unic...

Indice dei contenuti

  1. Io sono la neve
  2. Copyright
  3. Dedica
  4. CAPITOLO UNO
  5. CAPITOLO DUE
  6. CAPITOLO TRE
  7. CAPITOLO QUATTRO
  8. CAPITOLO CINQUE
  9. CAPITOLO SEI
  10. CAPITOLO SETTE
  11. CAPITOLO OTTO
  12. CAPITOLO NOVE
  13. CAPITOLO DIECI
  14. CAPITOLO UNDICI
  15. CAPITOLO DODICI
  16. CAPITOLO TREDICI
  17. CAPITOLO QUATTORDICI
  18. CAPITOLO QUINDICI
  19. CAPITOLO SEDICI
  20. CAPITOLO DICIASSETTE
  21. CAPITOLO DICIOTTO
  22. CAPITOLO DICIANNOVE
  23. CAPITOLO VENTI
  24. CAPITOLO VENTUNO
  25. CAPITOLO VENTIDUE
  26. CAPITOLO VENTITRÉ
  27. CAPITOLO VENTIQUATTRO
  28. CAPITOLO VENTICINQUE
  29. CAPITOLO VENTISEI
  30. CAPITOLO VENTISETTE
  31. CAPITOLO VENTOTTO
  32. CAPITOLO VENTINOVE
  33. CAPITOLO TRENTA
  34. CAPITOLO TRENTUNO
  35. CAPITOLO TRENTADUE
  36. CONSIGLI DEL PROFESSOR
  37. RINGRAZIAMENTI