Tempesta
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Tempesta

  1. 394 pagine
  2. Italian
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Tempesta

Informazioni su questo libro

"Mi chiamo Hella, Hella Rizzolli, e la mia voce viene dal passato." Quel passato è il 1941, in un'Europa in cui il nazismo dilaga vittorioso assoggettando un Paese dopo l'altro. Hella crede ancora nel Führer, ma lui le sta strappando ciò che ha di più prezioso: Wastl, il suo fidanzato, che parte per il fronte dopo un'ultima settimana d'amore a Berlino. Sul treno che riporta Hella a casa c'è anche un giovane falsario, Karl, che in fuga da una Germania ormai troppo pericolosa per i nemici del regime ha deciso di rifugiarsi in Sudtirolo. Ma nemmeno quella terra chiusa tra le montagne è al sicuro dalle tempeste della storia: nei quattro anni successivi, che devasteranno il mondo, l'orrore del nazismo e la realtà della guerra arrivano anche qui, culminando nell'occupazione da parte dei tedeschi nel 1943. Hella e la sua famiglia sono costretti ad abbandonare le loro illusioni, e Karl a confrontarsi con il Male. In questo nuovo episodio della storia della sua Heimat e della sua famiglia, cominciata con Eredità, Lilli Gruber riprende le fila della vita di Hella, la sua prozia, per seguirla attraverso gli anni cruciali della Seconda guerra mondiale: dall'apertura del fronte orientale alla lunga campagna italiana degli Alleati. Un viaggio della memoria e dell'immaginazione che combina ricerca, interviste e avvincente fiction, costruendo un libro che ha il respiro della grande Storia e il passo della narrativa d'avventura. Nella parabola di Hella e di Karl si disegna la tragedia di un popolo, quello sudtirolese, e di un intero continente, intrappolati tra due regimi sanguinari e prigionieri di un dilemma: salvarsi la vita, o salvarsi l'anima?

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2014
Print ISBN
9788817075671

1

Amore e guerra

Maggio 1941
Berlino, il cuore del Terzo Reich. Hella, un po’ sgomitando, è riuscita ad arrivare in prima fila. Wastl le è accanto, nella sua uniforme delle Waffen-SS l’ha aiutata a fendere la folla. Dietro di loro il pubblico spinge e suda. A sinistra, uno schieramento di macchine fotografiche e ingombranti cineprese. A questo appuntamento si è radunata la stampa del mondo intero. Tutti vogliono raccontare il nuovo episodio di una guerra che dilania da venti mesi l’Europa.
Dal loggione riservato al pubblico, Hella si sporge verso la platea della Krolloper.
«Ci sono tutti!» sussurra eccitata a Wastl. «Sono venuti tutti quanti!»
Gli uomini prendono posto nelle file di poltrone rosse. Alcuni indossano l’uniforme bruna degli alti vertici del Partito nazista. Si salutano, si omaggiano. Chi oserebbe mancare all’appuntamento di questo 4 maggio 1941? Giunti da ogni provincia della grande Germania, oltre ottocento deputati si accalcano nell’immenso teatro. Qui si riunisce il Reichstag, da quando la sua sede è stata distrutta dalle fiamme nel 1933. Hella allora non aveva neanche diciotto anni, ma ovunque non si parlava che di quell’orribile attentato. Erano stati i comunisti, certo. Chi altri? Su questo concordavano tutti.
Gli alti papaveri del regime siedono sulla tribuna ufficiale, sovrastati da un’immensa aquila di bronzo e da drappi rossi con la croce uncinata. Hella li riconosce tutti: Heinrich Himmler, Joseph Goebbels, Adolf Eichmann, Albert Speer. E Hermann Göring: è lui a presiedere le sedute plenarie del Parlamento, convocate nelle grandi occasioni.
«Dov’è mai Hess?»
Hella si gira per vedere chi ha parlato. È un uomo avvolto in un soprabito blu, col viso lucido di sudore.
«Dovrebbe esserci?» chiede lei, colta di sorpresa.
Rudolf Hess, il numero due di Hitler, l’ombra del capo. Assieme a lui ha immaginato una nuova Germania, costruita sulle rovine dell’esausta Repubblica di Weimar.
«Certo che sì. A meno che…» L’uomo la guarda, come chiedendosi quanta confidenza può dare a questa graziosa sconosciuta. Poi scuote la testa. «Buona giornata» taglia corto, e si allontana nella folla.
All’improvviso si fa silenzio. I presenti si tendono ancora di più verso il palco, drizzando le spalle, allungando il collo. Si voltano tutti nella stessa direzione e trattengono il respiro. Si sentono dei passi. Risuonano decisi sul pavimento. E lui appare, accanto alla tribuna. Volitivo, dritto, solo. Adolf Hitler.
Mi chiamo Hella, Hella Rizzolli, e la mia voce viene dal passato. Compirò venticinque anni tra pochi giorni, il 15 maggio 1941. Sono a Berlino per un tempo troppo breve, assieme all’uomo che amo. Se non vi parlo io di me, chi lo farà? A chi potrebbe mai interessare una ragazza di un minuscolo paese, in una regione che la Storia ha trascinato nelle sue tempeste senza prestarvi attenzione? Pinzon, in Sudtirolo.
La mia vita si sarebbe potuta perdere facilmente, nel tumulto degli eventi che hanno ribaltato il mondo e la terra in cui sono nata. Persino Wastl, il «mio» Wastl, Sebastian Tschigg all’anagrafe, non sa tutto di me. Non può capirmi fino in fondo. E ora deve partire, questa guerra lo porterà lontano da me. Se avesse avuto il tempo di conoscere il mio cuore, avrebbe avuto anche la pazienza e il coraggio di esplorarlo?
Hella è uscita dalla Krolloper con le guance in fiamme. Alla fine del discorso-fiume del Führer faceva caldo, ma è soprattutto l’emozione collettiva che l’ha contagiata. Il fervore che riempiva la sala fin dalle prime parole del cancelliere, gli «Heil Hitler!» che lo hanno salutato, gli applausi. Le risate che ha scatenato burlandosi del primo ministro britannico Churchill, quell’«ubriacone» che osa sfidare la Germania. Per un’ora e un quarto, settantacinque minuti, l’uomo che Hella tanto ammira ha annunciato al mondo il suo destino.
Si stringe a Wastl, che le ha passato un braccio attorno alle spalle, mentre attraversano il Tiergarten. La notte è calata sulla capitale, e in questo inizio di maggio fa freddo, un freddo eccezionale secondo i berlinesi. I due amanti affrettano il passo verso la Porta di Brandeburgo. L’illuminazione pubblica deve essere ridotta al minimo indispensabile, per paura dei bombardamenti inglesi. Solo due giorni prima le squadriglie britanniche hanno violato la difesa aerea e hanno colpito la periferia, senza fare grossi danni. Hanno anche attaccato il porto di Kiel, sul Baltico. Ed è solo l’inizio.
In centro, le finestre degli uffici e delle case sono coperte da teli scuri. Sacchi di sabbia proteggono le vetrine dei negozi e dei ristoranti ancora aperti. L’oscurità risuona dello stridio dei tram che frenano sulle rotaie, dello scalpiccio dei passanti che si infilano nel metro, del rombo delle poche auto dai fari schermati. In ogni quartiere sono stati approntati rifugi per i civili, dove correre quando le sirene d’allarme spezzano il silenzio teso della notte.
«Allora? Che ne pensi del discorso del nostro Führer?» chiede Wastl. La guarda con tenerezza, la sua ragazza dal viso luminoso, gli alti zigomi quasi slavi sotto i grandi occhi castani. Per lui, la più bella di tutto il Sudtirolo. È così fiero che lo abbia scelto tra i tanti corteggiatori.
Sono seduti al bar del loro albergo, l’Adlon. In questo palazzo nel cuore di Berlino, Hella ha voluto passare gli ultimi giorni di libertà prima che Wastl, appena tornato dalla Francia, debba ripartire per una destinazione ancora ignota. Nulla deve intaccare la sua felicità. E in questa metropoli che le sembra immensa e maestosa vuole sentirsi una principessa. Forse in balia del destino, come tutti, ma comunque una principessa.
Riflette per un momento prima di rispondere. Hitler ha parlato di così tante cose! Del complotto contro la Germania dei grandi banchieri e degli ebrei; delle gloriose vittorie in Polonia, in Cecoslovacchia, della Francia sconfitta un anno prima, in poche settimane. Dell’aggressione di Churchill, quel pazzo assetato di guerra e di whisky. E poi si è addentrato nei dettagli degli ultimi folgoranti successi delle truppe tedesche, in Grecia e in Jugoslavia.
«Ha detto che questo sarà l’anno più importante per la resurrezione della nazione tedesca» ricorda quasi sovrappensiero. «Cosa intendeva?»
«Ha anche invitato le donne tedesche a raddoppiare i loro sforzi!» aggiunge Wastl, un po’ scherzando.
«Ho sentito» ribatte Hella. Lo guarda. È bello, ha lineamenti regolari, occhi chiari e capelli castani. L’uniforme di Rottenführer delle Waffen-SS cade perfettamente sulle larghe spalle, dandogli un’aria marziale. «Ma a quali decisioni si riferiva? Quale sarà il suo prossimo passo?»
«Bisognerà dare una mano agli italiani, che sono degli incapaci» dice Wastl. «Senza di noi i serbi e i greci li avrebbero fatti a brandelli! E invece in tre settimane abbiamo finito il lavoro, preso Belgrado e Atene. Gli italiani sono come i francesi: parlano, si agitano, minacciano, ma quando si tratta di battersi non c’è nessuno come i soldati tedeschi!»
Certo, amore mio. Ma tu che cosa sapevi della guerra? Noi avevamo deciso di essere tedeschi, per difendere la nostra terra, la nostra lingua e la nostra anima contro i fascisti italiani. Ma che cosa sapevamo della guerra? Eravamo giovani e determinati. Non potevamo limitarci, come avevano fatto i nostri genitori, ad accettare la divisione del Tirolo. La distruzione della nostra Heimat con un solo tratto di penna, la firma in calce a un accordo infame.
Sono nata nel 1916, due anni prima della lacerazione: l’annessione del Sudtirolo all’Italia. Sono cresciuta in una famiglia che aveva un solo motto: Dio, l’imperatore e la patria. Ma quale patria? Quando l’Austria si è ritrovata troppo debole per difenderci contro gli italiani e la loro colonizzazione, ci siamo rivolti agli unici che sembravano in grado di proteggerci: i tedeschi. Ma quali tedeschi, e quale Germania? Non restava che una soluzione, non è così? Che altro avrei potuto fare? Che altro avresti potuto fare tu, amore mio?
Di giorno, Hella esplora Berlino, come la notte esplora tutto ciò che vorrebbe sapere di un uomo. Percorre infaticabile una città che rifiuta di accettare la presenza della guerra. Sul grande viale Unter den Linden corre come una ragazzina a vedere le parate militari, che annunciano il loro passaggio con grandi colpi di tamburi e fanfare. Ha persino perso i guanti, attraversando veloce la strada quasi sotto agli stivali lustri dei centurioni di Hitler.
«Non ti preoccupare» le ha detto Wastl abbracciandola. «Andiamo a comprarne un altro paio.»
Hanno imboccato il Kurfürstendamm con le sue file di boutique. Molte sono chiuse, per il razionamento e i problemi economici.
Noi siamo fortunati, pensa Hella. A casa non manca nulla. È il vantaggio di vivere in campagna, in mezzo a vigne e giardini, frutteti e ricchi pascoli. Qui le cose sono ben diverse.
«Economia di guerra» commenta. Non è più tempo di frivolezze. La stoffa deve servire per le uniformi dei soldati, non per gli abiti delle signore. Il nylon per i paracadute, non per le calze.
E poi ci sono gli incidenti. Hella non ne ha visti, ma ne ha sentito parlare, anche se non vuole pensarci. I commercianti ebrei boicottati, espropriati, picchiati e cacciati. Di sicuro il Führer sa quello che fa, non ha forse sempre ragione? Ma Hella ricorda sua madre, Rosa, che le manca così tanto da quando ha chiuso per sempre gli occhi, l’anno prima. Diceva: «Non ci si può fidare di un uomo che non crede in Dio».
«Come si fa a saperlo?» mormora Hella entrando nel maestoso grande magazzino KaDeWe. È la cattedrale dell’eleganza, dei profumi e del lusso, dai giorni in cui Berlino rivaleggiava con Parigi sul terreno pacifico dell’alta moda. Tanto tempo fa…
«Come hai detto?» chiede Wastl.
«Niente» risponde lei. «Che sciocca, pensavo ad alta voce.»
Sotto i lampadari dorati regna un silenzio inatteso. Tra i banchi e le vetrine, i corridoi sono quasi vuoti. I clienti sono pochi e le commesse immobili come manichini. Hella si avvicina a un banco sul quale sono disposti alcuni accessori: foulard, cappelli, sciarpe. Sorride: sua sorella Berta sarebbe nel suo elemento qui dentro! Ma anche a casa sua, a Vienna, non manca nulla, grazie al cielo.
Una giovane commessa le si accosta con grazia: «Posso aiutarla, madame?». La sua voce è così flebile che Hella fa fatica a sentirla. La guarda, incuriosita, e quella vista la colpisce. Un viso liscio e pallido, quasi livido, come una maschera mortuaria. E negli occhi le sembra di leggere l’angoscia.
«Cerco dei guanti beige, per favore» dice esitante. La ragazza tira verso di sé un lungo cassetto di legno chiaro, che scorre senza far rumore sotto il vetro dell’espositore. Perché le mani le tremano così tanto? Il cassetto cade con un terribile fracasso.
All’improvviso, il mondo sembra risvegliarsi attorno a Hella e Wastl.
Tre uomini dai sobri abiti grigi si avvicinano. Portano i cappelli di feltro ben piantati in testa. Entrando, Hella li aveva visti parlare con altre impiegate, vicino alla porta.
«Heil Hitler!» saluta uno di loro tirando fuori di tasca un distintivo con l’aquila e la croce uncinata. Sorride a Wastl e volta il distintivo: Geheime Staatspolizei. Gestapo.
«Ci segua» ordina alla commessa.
Lei non si muove, ritta in mezzo ai guanti sparpagliati sul pavimento di marmo. Li guarda, vorrebbe poter fare gesti normali come raccoglierli, rimetterli in ordine, scusarsi con quella cliente che sembrava avere uno sguardo comprensivo.
«Avanti!» abbaia l’agente, e uno dei suoi sottoposti gira intorno all’espositore. Calpesta i guanti, afferra la ragazza per un braccio e la trascina via.
Succede tutto così rapidamente che Hella non riesce a dire una parola. Anche Wastl è rimasto in silenzio.
«Devono averla denunciata» osserva una voce sommessa, accanto a loro. È una donna bassa, dal viso rugoso sotto il cappello a cloche bordeaux con un velo leggero. Ha gli occhi verdi, un tocco appena di fard sulle guance, l’accento elegante da aristocratica berlinese. E un tono di indicibile disgusto.
«Denunciata perché?» riesce infine a chiedere Hella. Certo non per una goffaggine col cassetto.
«Loro cercano gli ebrei.» La vecchia signora accenna con il mento agli uomini che si allontanano, circondando la giovane preda. «Hanno cacciato i proprietari già da molto tempo. Ora scovano quelli che non sono riusciti a fuggire.»
«Andiamo via» dice Hella a Wastl.
Sulla strada del ritorno Hella ha dovuto fermarsi. All’improvviso ha sentito le gambe deboli e le girava la testa. Wastl ha deciso di guidarla fino a Potsdamer Platz per rinfrancarsi nel giardino interno dell’hotel Esplanade.
L’orchestra suona una musica di sottofondo. È l’ora del tè danzante. Hella non ha cuore di unirsi alle coppie che ballano, ma in questo angolo verde si sente rassicurata, al riparo dal mondo. Lui le prende la mano.
«Non ci pensare, cara. È il prezzo da pagare per ristabilire l’ordine.»
«Ma quella ragazza sembrava così fragile!»
«Magari lo era. La legge è legge, però. Gli ebrei non hanno il diritto di lavorare. Non sono tedeschi.»
«Certo, lo so. E il Führer ha sicuramente ragione. Ma era così giovane, e non faceva niente di male…» Hella ha la strana impressione di tornare indietro nel tempo. Anche lei è stata portata via dalla polizia, i carabinieri sono venuti a prenderla fino in casa dei suoi genitori, a Pinzon, tre anni prima. È stata gettata in prigione, interrogata, condannata al confino dai fascisti e deportata in un villaggio nel Sud Italia. E tutto per aver insegnato il tedesco ai bambini nelle scuole clandestine del Sudtirolo!
«Cara, non sono affari nostri» dice Wastl, e avvicina la sedia alla sua. Si sporge verso di lei, parlandole dolcemente. «Aspettavamo questo momento da così tanto tempo. Finalmente possiamo di nuovo sognare di avere una patria, e la nostra patria è la Germania» e appoggia le labbra sulle sue.
Hella risponde al bacio. Ma è distratta. Le torna in mente di nuovo sua madre Rosa. La rivede mentre ascolta alla radio un discorso di Hitler, seduta vicinissimo all’apparecchio di legno, tenendo il volume basso per evitare di essere sorpresa da orecchie indiscrete. Era la fine del gennaio 1939, l’Austria era stata annessa da un anno, la Saar già dal 1935, e la possibilità che anche il Sudtirolo potesse unirsi al Reich faceva sognare i sudtirolesi. Anche Hella si era avvicinata per sentire. Scandendo le parole, Hitler gridava: «Se i finanzieri internazionali ebrei, in Europa e fuori, riuscissero a gettare di nuovo le nazioni in una guerra mondiale, allora il risultato non sarà la bolscevizzazione del mondo, e con ciò la vittoria degli ebrei, ma l’annientamento della razza ebraica in Europa!». La voce del capo supremo della Germania si era perduta nel tripudio della folla a Berlino. Rosa aveva raddrizzato con fatica la schiena, aveva spento la radio mormorando: «Dove ci porterà questa follia?».
Il 1° settembre di quello stesso anno era scoppiata la guerra.
Nella sua casa di Wedding, alla periferia di Berlino, Karl ascolta attento i rumori del mattino nella tromba delle scale. Nessuna luce. Scende i gradini ineguali, in silenzio. In un corridoio, dietro una porta chiusa, qualcuno sta ascoltando il notiziario del mattino, la voce di Hans Fritzsche. L’uomo della propaganda annuncia le nuove vittorie del Reich: Londra devastata dalle bombe, gli U-Boot che dominano l’Atlantico.
Poi Karl va in cantina. La maniglia, maledetta maniglia rumorosa! Sente già i polmoni che si chiudono. Si ferma un istante, cerca di calmare il respiro. Sono anni che convive con l’asma, la conosce bene. Dovrà riuscire a tenerla a...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Una nota, prima di cominciare
  5. Dedica
  6. La memoria silenziosa
  7. 1. Amore e guerra
  8. 2. Destini incrociati
  9. 3. La grande promessa, il grande inganno
  10. 4. Il dilemma
  11. 5. L’alba del caos
  12. 6. I segreti del Bristol
  13. 7. Il tempo di partire
  14. 8. Passi nel fango
  15. 9. La lettera perduta
  16. 10. I segni del male
  17. 11. Nella morsa del terrore
  18. 12. Un incontro e un addio
  19. 13. Operazione Bernhard
  20. 14. Tregua
  21. 15. «Ma quale futuro?»
  22. 16. Un uomo innamorato
  23. 17. Giochi pericolosi
  24. 18. Per tutto il sangue versato
  25. 19. L’ultimo sguardo
  26. 20. Un tesoro avvelenato
  27. 21. Appuntamento a Berlino
  28. 22. L’orrore da vicino
  29. 23. Rombi di tuono
  30. 24. Fiori, vino e paura
  31. 25. Il contagio del male e il coraggio del bene
  32. 26. Il giorno del «sì»
  33. 27. La guerra in casa
  34. 28. Una donna in nero
  35. 29. Sui sentieri della fuga
  36. 30. La trappola finale
  37. 31. La lista di Bormann
  38. 32. Il momento della verità
  39. La Storia dopo la storia
  40. Le parole di questo libro
  41. Ringraziamenti