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Brendan Reichs desidera dedicare questo libro
alla sua splendida moglie, Emily,
alla sua perfetta neonata, Alice,
e a quel fulmine di suo figlio, Henry.
Siete voi il senso di tutto.
Kathy Reichs desidera dedicare questo libro
alle sue splendide famiglie irlandese e lettone.
Tá grá agam duit. Es jūs mīlu.
PROLOGO
97 giorni prima
Una brezza leggera sfiorava le dune di Turtle Beach.
Deboli folate che creavano turbini nella sabbia bianco-ossa prima di finire, sibilando, nella selva scura, poco oltre.
Il cielo era enorme, nero e senza luna. Per quanto il sole fosse tramontato da un pezzo, l’aria restava afosa, pesante e calda.
L’ennesima notte tranquilla a Loggerhead Island.
Ma non una notte normale.
Appena oltre il limitare degli alberi, sotto la sagoma incombente di Tern Point, un branco di scimmie si era assembrato tra i rami alti di un pino palustre.
In silenzio.
Intento a osservare il tappeto del bosco.
Sotto, in un piccolo terreno erboso che orlava le gigantesche radici della pianta, una pala si alzò, si abbassò, si alzò di nuovo. Un po’ di terriccio fresco finì sulla sommità di un cumulo che lambiva già i ginocchi.
La persona impegnata a scavare indossava uno spesso mantello marrone: un’assurdità in quella calura opprimente. Lo svolazzante indumento la inghiottiva, ricadendole fin sulle punte dei malconci stivali neri.
La fronte grinzosa brillava di sudore.
La figura fece una pausa, sorrise alle scimmie che la guardavano dall’alto, felice di condividere l’attimo.
Anni di attesa, poi mesi di pianificazione meticolosa.
Finalmente, era giunto il momento.
Il Gioco stava per iniziare.
La figura riprese con pazienza e perseveranza a scavare nel suolo fertile, nero. La fossa era profonda un metro ed era sempre più grande.
Il lavoro era quasi finito.
La figura si fermò di nuovo. Si stirò. Trasse un respiro profondo, inalando un’inebriante zaffata di terriccio, erba umida e caprifoglio.
Le sfuggì una risatina, stridula e sottile, che risuonò nell’aria per qualche istante prima di spegnersi con un lamento sordo.
In alto, le scimmie si mossero, nervose, attente a eventuali pericoli. Due giovani maschi sgambettarono più in alto, nel buio della chioma. Ma il gruppo rimase a osservare, incantato.
Dopo aver mollato la pala, la figura infilò le mani in una sacca di tela ed estrasse un piccolo involto. Lo baciò una volta. Lo sistemò con devozione nella fossa.
Il Gioco era iniziato.
«Venite a trovarmi» sussurrò la figura, un refolo sufficientemente forte per zittire le rane.
Poi canticchiando con voce stonata riempì la fossa e coprì la superficie di foglie morte. Fece un passo indietro. Cercò un tasto sull’orologio con un dito tremante. Lo schiacciò.
Ding.
La risatina infantile risuonò un’altra volta.
Fatto. La chiave è sepolta.
«È ora di giocare.»
Dopo aver raccolto la sacca e la pala, la figura si allontanò furtivamente nel buio.
PRIMA PARTE
IL NASCONDIGLIO
CAPITOLO 1
Il mulinello stridette e per poco non mi scappò la canna dalle dita.
«Wow!» Strinsi la canna in una morsa letale. «Ha abboccato!»
«Vacci piano.» Ben mi rivolse uno sguardo cauto. «La lenza si spezzerà se non fai attenzione.»
Tern Point. Loggerhead Island. Ben Blue e io eravamo appollaiati su un’ampia cengia di pietra, circa sei metri sopra l’oceano Atlantico. Eravamo lì da un’ora, senza aver pescato nulla.
Fino a quel momento.
«Cosadevofare?» Era la prima volta che utilizzavo un’esca rotante e non avevo la più pallida idea di come funzionasse. Mi asciugai il palmo sudato sulla polo grigia.
«Tutte e due le mani sulla canna!» Capii che Ben aveva una gran voglia di prendere il mio posto, ma cercava di trattenersi. «Lascia scappare il pesce per un po’, riavvolgi lentamente, dopodiché lascialo scappare ancora. Ma resta vigile. La tua non è un’attrezzatura da pesca sportiva.»
Seguii le sue istruzioni, lasciando che il pesce si stancasse da solo. Alla fine, una stria guizzante color argento balenò tra i frangenti, appena sotto di noi.
Ben lanciò un fischio mentre si sistemava i capelli neri lunghi fino alle spalle dietro gli orecchi. «Un bel pesciolone. Ottimo lavoro.»
«Grazie. Lo tiriamo su?» Le braccia mi facevano un male cane per quel tiro alla fune prolungato. «Questo mostro non si darà per vinto tanto facilmente.»
Ben mi diede il cambio, i suoi muscoli in tensione risaltavano sotto la maglietta nera e i pantaloni corti color kaki. Di tutti i Virals, era di gran lunga il più forte. E quello più a contatto con la natura. Ben passava buona parte del tempo libero all’aria aperta e la sua intensa abbronzatura color rame ne era la prova.
La sua famiglia sostiene di discendere dalla tribù dei Sewee, un gruppo locale di nativi americani scomparso dai libri di storia tre secoli fa. Ovviamente, non c’è modo di dimostrarlo. Però, non ditelo a Ben.
La sua piccola barca, il Sewee, era il nostro principale mezzo di trasporto. Ben aveva utilizzato quel vecchio Boston Whaler di cinque metri per esplorare dozzine delle isole della barriera corallina di Charleston. E aveva scoperto i punti migliori in cui pescare: quello in cui ci trovavamo apparteneva alla selezione.
Qualche istante dopo, una preda scintillante ciondolava all’estremità della mia lenza. Ben la riavvolse fino ad altezza occhi.
Era argentea, lunga mezzo metro e coperta di piccole scaglie lasche. Dalla bocca le usciva una sottile scia di sangue.
«Sgombro reale.» Ben sfilò l’amo e sollevò il pesce per una branchia. «Quasi dieci chili: una bella stazza. Meno male che non si è liberato.»
Il povero pesce boccheggiò, nella vana ricerca di ossigeno. I nostri sguardi si incrociarono.
D’un tratto, non mi divertivo più.
«Rigettalo in acqua.»
«Che cosa?» Ben corrugò la fronte. «Perché? È buono da mangiare. Potremmo anche venderlo al mercato del pesce di Folly Beach.»
La mandibola dello sgombro continuò a muoversi, aprendosi e chiudendosi, ma sempre con minor energia. Sulla punta della bocca gli si formò una bolla. Che scoppiò.
«Rigettalo in acqua» ripetei, stavolta con voce più dura. «Faccia di pesce ha ancora un po’ di vita da vivere.»
Ben fece una smorfia, ma sapeva che non era il caso di discutere. Nell’ultimo anno, i ragazzi avevano finito per accettare la mia testardaggine e il fatto che era impossibile mettermi a tacere. Non quando mi impuntavo. Proprio come mia zia Tempe.
È possibile che ne abbiate sentito parlare. La dottoressa Temperance Brennan, antropologa forense di fama mondiale. Alcuni la chiamano semplicemente la Signora delle Ossa. È la mia prozia, un fatto meraviglioso che ho scoperto soltanto dopo l’incidente di mia madre, quando sono andata a vivere con mio padre Kit.
È anche il mio modello. Il mio idolo. Semplicemente, tutto ciò che vorrei essere un giorno. Tanto varrebbe indossare perennemente una collana con la scritta Cosa Farebbe Tempe? La mia ambizione più grande è essere una scienziata brava quanto Tempe. Risolvere casi come quelli che risolve lei. Lasciare un segno.
«D’accordo, amico.» Ben strinse la nostra preda alle estremità . «Considerati fortunato. A quanto pare, ho un’amica dal cuore tenero.»
Fece un passo e rigettò lo sgombro nel mare sottostante. Il pesce colpì la superficie dell’acqua e, con un guizzo della pinna caudale, scomparve alla vista.
«L’abbiamo pescato» dissi. «È stata quella la parte divertente.» Per lo meno, per noi. Dubito che quel pesce possa essere d’accordo.
«Comunque…» Ben iniziò a mettere via l’attrezzatura. «Andiamo a cercare gli altri. A quest’ora Hi deve aver rinunciato.»
Fissai gli ami alle canne e raccattai la spazzatura sulla cengia. Era stato bello pescare con Ben. Non ci capitava spesso di passare del tempo da soli, e lui non parlava granché in presenza di Hi e Shelton. Probabilmente perché quei due erano abituati a lasciare assai poco spazio alle voci altrui.
Ben, con i suoi sedici anni compiuti, era il più vecchio dei Virals. Aveva persino la patente. Il che avr...