CAPITOLO DODICI
Mi sveglio, mi ritrovo in una casa che non è la mia e subito ricordo. Io e Miguel, ancora insieme. Oddio… panico! Mi ha detto ti amo e io non gli ho risposto, non l’ho ridetto a mia volta. Lui ha aspettato due secondi e, per evitare imbarazzi, mi ha baciata fino a sfinirmi. Poi dentro casa, instancabile, per ore, mi ha regalato la seconda più gloriosa notte di sesso che io abbia mai avuto.
Non va bene! Ho sbagliato. Non dovevo lasciarmi coinvolgere ancora. Ero stata chiara, come lo era stato lui. Non vogliamo le stesse cose; non al momento, almeno. Lui vuole una relazione. Vuole me, e io non sono pronta. La ferita è ancora aperta e sanguinante. Adam… maledetto Adam!
In silenzio mi alzo dal letto e scappo di soppiatto come una ladra. Appena fuori dalla porta chiamo Émile al cellulare.
«Ma dove sei finita? Non sei tornata a casa stanotte?»
«Émile, ti racconto tutto dopo, prometto. Ma adesso ho bisogno che mi passi a prendere.»
«Okay, okay. Dove sei?»
«Sotto casa di Miguel. Sai dove abita?»
«Tesoro, qui ci si conosce tutti, ecco perché hanno voluto te per il progetto.»
«Giusto, il progetto.» Devo ricordarmi di analizzare la fialetta di ieri sera, perché le cose non mi tornano. Sta andando tutto fuori controllo, non capisco più le reazioni, e le risposte che mi aspetto non sono mai quelle che si verificano sul campo.
Comincio a incamminarmi per andare incontro a Émile e allontanarmi il più possibile da Miguel, nel caso si svegliasse e si affacciasse alla finestra.
Quando Émile mi vede in lontananza suona il clacson e io la maledico appena entro in macchina.
«Be’, già che c’eri potevi telefonargli e avvisarlo che l’ho appena mollato da solo a casa dopo una fantastica notte di sesso senza nemmeno il bacio del buongiorno.»
«Ehi, calma. Si può sapere cosa cavolo stai combinando? State insieme, voi due, o no?» «Émile, è… è complicato!»
«Non è mai complicato. Siamo noi a renderlo tale. Lo vuoi o non lo vuoi? Basta, tutto qua!»
«Mi piace quando sto con lui, mi fa sentire bene, a casa.» Piccola pausa di riflessione.
«E allora dov’è il problema? Non capisco. Lui ti muore dietro, me l’ha detto Moses!»
Mi giro di scatto. «Scusa?»
«Non cercare di cambiare discorso e rispondimi. Cos’ha che non va? Miguel è bellissimo, elegante, sensuale, romantico, a letto ci sa fare o non avresti perso la testa per lui… cosa gli manca?»
«Come fai a sapere tutte queste cose?»
«Me le ha dette Moses. Loro si raccontano tutto, mica come me e te!»
«Mi stai dicendo che Miguel ha raccontato di me a Moses? E tu in tutto questo dove ti collochi, esattamente?»
«Tesoro mio… io sto sempre dove non batte il sole!»
«Stupida! Dimmi la verità .»
«E va bene… ho una mezza tresca con Moses. Contenta? Adesso dimmi perché non vuoi diventare mia sorella di dato e di fatto!»
«Ops, siamo arrivate al lavoro. Fine del discorso. Mi dispiace.» Sorrido birichina, ma lei mi precede e preme il tasto della chiusura centralizzata. Mi arrendo sbuffando.
«Lui vuole l’esclusiva. Pretende che io non conduca più test, che non abbordi uomini nel suo locale, sotto il suo naso, ma io non posso lasciare tutto per lui. Che garanzie avrei? E se dovesse andare male? Se scoprisse che in fondo non sono quella donna interessante che crede, ma una noiosa e fastidiosa ragazzina? Con cosa rimarrei? Tornerei, sconfitta, perdente, a casa dai miei genitori. Non ho lasciato il mio mondo per compiere lo stesso sbaglio che avevo commesso lì. Sono ripartita da zero, ho avuto la fortuna di poter provare a vivere una seconda occasione e non la sprecherò così. Non sarebbe giusto per nessuno.»
Lei mi accarezza una guancia, con aria preoccupata. «Cara, mi dispiace, non pensavo fosse tutto così ingarbugliato. Però Adam è il passato. È un cretino, e la vecchia che sta con lui presto avrà la faccia tutta butterata, ricordi? Ho già la collezione di Bic di mio nonno pronta per l’occasione. Gliele infilzeremo una a una, ridendo come pazze. Vedrai, sarà uno spasso!» Poi mi abbraccia, confortandomi. «Dai, adesso coraggio! È ora di lavorare. Diamo un lezione a Lucille.»
«Ecco, questa è un’altra cosa di cui volevo parlarti. Credo che stia provando in tutti i modi a boicottarmi.»
«Quella strega! Dovevamo aspettarcelo. La terrò d’occhio. Tu concentrati sul profumo. Non pensare ad altro. Prima finisci il test e prima puoi vivere per sempre felice e contenta con Miguel.»
La mattina vola in un attimo. Émile e io ci prepariamo per andare a pranzare nel solito bistrot, davanti allo spettacolo di Luc che lavora a petto nudo, quando vedo arrivare Miguel in macchina. Mi si chiude lo stomaco mentre scende, bello come un’alba nella savana, la bocca mi si inaridisce. Sorridente, stringe nella mano sana un enorme mazzo di peonie, che vanno dal bianco al rosa tenue, a quello più acceso, fino al viola scuro. È di una bellezza disarmante, in camicia bianca con le maniche arrotolate fino al gomito, cravattina stretta nera, pantalone nero e il suo mazzo di fiori profumato. Ha un’aria felice mentre mi viene incontro.
Mi bacia sulle labbra, davanti a tutti i colleghi presenti. Un bacio casto, ma più lungo del dovuto, mentre annusandomi si inebria del mio odore.
Adora quello della mia pelle, me l’ha detto più volte questa notte.
«Buongiorno, chérie, ti porto a pranzo.»
Émile si dilegua, facendomi l’occhiolino con aria complice.
«Come hai fatto a guidare con la mano così?»
«Ho preso la macchina con il cambio automatico» risponde con un sorriso beffardo.
Lui è dolce, è romantico, e di nuovo io sto bene con lui. Mi porta in un localino non distante, con dei tavolini all’aperto. Ordiniamo baguette ripiene di prosciutto, pomodori e mozzarella. Mi tiene la mano con quella sana, attraverso il tavolo. Voglio godermi questi attimi di pace prima che mi richieda un ultimatum… che non tarda ad arrivare.
«Sei andata via senza salutarmi, stamattina. Tutto bene, mi amor?»
Mi agito un pochino sulla sedia. Come glielo dico, adesso, che ho sbagliato? Che non dovevo?
Vedendo che la mia risposta tarda ad arrivare, mi precede.
«Hai qualche ripensamento?»
Allontano la mano dalla sua. Come posso tenerlo per mano mentre lo pugnalo al cuore? «Miguel, non ho cambiato idea, la penso sempre come prima. Non posso lasciare tutto così. Dammi tempo. Abbi fiducia in me.»
Lui si irrigidisce, il volto una maschera di ghiaccio.
«Sei venuta a letto con me, nonostante sapessi come la pensavo al riguardo?»
«Miguel, per favore…»
Lui si appoggia allo schienale, come per rendere esplicita la distanza che si era creata tra di noi. Trascina addirittura la sedia indietro e fa quasi per alzarsi, poi riprende.
«No, tu! Tu, per favore! Cos’hai in testa? Conta così poco per te l’amore? Hai una così bassa stima di te stessa da concederti a chiunque, per piacere o per la scienza?»
«Adesso stai esagerando, Miguel!» Cerco di riavvicinarmi, ma lui non me lo permette.
«Stai offrendo la tua vita e il tuo corpo per adescare uomini nei locali, la sera. Vai a letto con un uomo sapendo di non volere un futuro con lui. Ti stai buttando via così… Non hai nessuna autostima, Juliette.»
Non avevo mai considerato la situazione da questa prospettiva. E continuo a non volerla vedere. Assolutamente! Ora sono io quella che si allontana, alquanto indispettita.
«Miguel, non ti permetto di continuare questo discorso. Mi stai offendendo, stai sminuendo il mio lavoro, la mia fatica e la mia persona. Non pretendo che tu capisca, ma almeno abbi la decenza di rispettarmi!»
«Rispettarti? Quando tu per prima non rispetti te stessa? Ti ho concesso una seconda possibilità , ma a quanto pare con te anche dieci andrebbero sprecate. Non cambieresti mai. Con te è una causa persa. Non avrai altre occasioni, per quanto mi riguarda. Non con me. Alzati! Ti riaccompagno al lavoro! Tu e io abbiamo definitivamente chiuso. E io non cambio mai idea, sappilo.»
Quella sera quando vado all’enoteca per condurre i miei soliti test, Miguel non c’è.
«Si è preso qualche giorno di malattia» mi spiega Moses, consigliandomi subito dopo uno dei suoi vini speciali che io non ho alcuna voglia di assaggiare.
Ho un vuoto nel petto. Lo so che sto sbagliando. Ne ho sempre più la certezza. Ma il mio lavoro continua a essere più importante, il centro del mio mondo, l’unica ragione della mia permanenza qui a Grasse.
Oggi ho su di me l’essenza n° 001223. Dovrebbe attirare una persona vivace, piena di voglia di vivere e amante della natura. All’interno ci sono oli essenziali di sottobosco e montagna.
Seduta al bancone, con il mio calice di vino rosso, mi sventolo, in attesa che la preda cada nella rete. E non tarda ad arrivare. Si avvicina un uomo sulla quarantina, la calvizie l’ha già preso di mira da qualche decennio, a quanto pare, perché gli sono rimasti solo due sparuti ciuffetti ai lati. La pelata lucida, la faccia grassoccia, il naso a patata, le palpebre pesanti su due occhi accesi, l’unica nota di vita in quel corpo. La sua personal shopper dev’essere la sua mamma: indossa una camicia a mezze maniche a piccoli quadretti rossi, blu e bianchi. Colletto allacciato fino all’ultimo bottoncino sul collo, che trasborda molliccio. Jeans ascellari di due ...