Camisano, 10 gennaio 2005
È come entrare in chiesa urlando, tutti si voltano, tutti stanno in silenzio e ti fissano. Solo che io non urlo e la porta che si chiude è quella del ristorante di mio padre. Da trent’anni, chiunque entri da quella porta è sempre il benvenuto, ma quando arrivo io camerieri e cuochi si girano a guardare, aspettano di capire quando inizieranno le urla.
Potevo tirare dritto, salire direttamente a casa da Marica e i bambini, come faccio sempre. Viviamo sopra alla trattoria di mio padre da anni e a volte riesco a stare mesi senza doverlo neanche salutare. Quando tra lui e Pietro c’è maretta, però, mi tocca.
«Tuo padre stamattina ha scazzato per il parcheggio, Giannino, dagli una calmata che a me non m’ascolta… Spiegagli che gli voglio bene, basta parlarsi e io lo accontento!»
So che mi ha visto, quando sono entrato era fra i tavoli e la cassa. Non ha neanche rallentato, è passato in cucina senza un cenno. Mi fermo alla cassa, lui mi lascia lì ad aspettare. Potrebbe uscire, non hanno bisogno di lui in cucina, ma è il suo modo per dirmi quanto è arrabbiato. Fisso le foto vicino al registratore. Papà con i suoi baffoni e la divisa da cameriere accanto a Mick Jagger. La Svizzera, i Rolling Stones, io e i miei fratelli che a stento camminavamo. Tempi facili.
Spunta con due piatti di spaghetti con la bottarga, mi passa accanto quasi distrattamente. «Sei venuto a fare l’ambasciatore?», e fila via. Ripassa ancora alle mie spalle, verso la cucina, stavolta mi rivolge almeno un’occhiata. «Guarda che è tutto pieno oggi, non è proprio aria, vedete di non rompere tu e il tuo amichetto. La prossima volta gli butto giù le barche, punto.»
Esce di nuovo dalla cucina, altri due piatti, gli prendo il braccio. «Devo mettermi a servire anch’io per parlare, o ti fermi un attimo, pa’?»
Torna dai tavoli, si siede in cassa mentre si asciuga le mani con lo straccio. Quelle mani piene di odori quando rientrava a casa la sera. Sono certo che oggi vorrebbe farmi sentire tutti gli schiaffi che non mi ha mai dato.
«Come va?»
«Bene, non te ne sei accorto? Guarda che giornata, il ristorante è pieno!»
Con la coda dell’occhio li vedo, sono in tre, nel tavolo all’angolo. Quelli dell’anticrimine, c’è anche Mario. Avevo visto bene nel parcheggio, la Punto è una delle loro. Dovrebbero rinnovare il parco auto.
«Come mai stanno qui? Operazione?»
«Non lo so, chiedi a loro…»
Rovista nella cassa, in realtà non sta facendo nulla, lo so. Sospiro. Lui si incazza ancora di più.
«Non una, due! Ne ha piazzate due di quelle cazzo di barche da questo lato! E quando glielo dico che fa? Si mette a ridere, mi tratta come un matto!»
«Ma quale matto, pa’, lui ti vuole bene! Ride per sdrammatizzare, è che non vi capite!»
«Quello non va neanche al cesso per caso, figurati se scherza! Tu non hai idea di chi è Pietro Palladino. Giusto tu puoi pensare di lavorarci insieme, guarda!»
Mi giro verso la finestra che dà sul parcheggio comune. Papà ha ragione, l’accordo è preciso: metà parcheggio è suo, metà del cantiere di Pietro Palladino, l’uomo che mi ha insegnato il mestiere quando ero un ragazzino.
«Io non ci lavoro insieme. È un amico. Mi ha dato un lavoro quando ne avevo bisogno.»
«Certo, perché io qua invece volevo metterti a fare il giocoliere fra i tavoli.»
Eccolo, ci siamo. Il tasto dolente.
«Dobbiamo ricominciare? Quindici anni, sempre la stessa storia.»
«Io non voglio proprio fare nulla, guarda. Avvertilo che la prossima volta non lo chiamo nemmeno: do fuoco alle barche e dico che è stato un passante.» Sbatte il registratore di cassa, mi mostra per l’ultima volta la lava incandescente nei suoi occhi e se ne va in cucina.
Tutti hanno sentito, ma fanno finta di niente. D’istinto mi giro verso l’unico volto amico, Mario. Sorride, mi fa cenno di sedermi con loro.
«Due minuti, ragazzi, che oggi questo mi stacca la testa.»
Ho conosciuto Mario e i suoi compari un paio d’anni fa. Fanno parte dell’esercito di poliziotti che viene a mangiare alla Trattoria Camisano. Da queste parti le guardie sono sempre state di casa, merito del posto: è sul mare, ma ben nascosto, a due passi dalle zone dei traffici veri, i porticcioli lungo il Magra su cui si scarica e si carica di tutto.
Mario e quelli dello Sco di Genova sono arrivati tardi da noi. Scoprirono il ristorante una domenica di dicembre pedinando uno che si era fermato a pranzo qui. Una delle poche volte in cui davo una mano a mio padre. Da quel giorno vengono sempre quando c’è un’operazione in zona. Degli altri non posso dirlo, ma Mario ormai è un amico. Non un amico di quelli con cui dividi le domeniche in famiglia, le serate al cinema, il calcetto, perché anche volendo non sarebbe possibile. Di lui so e ho sempre saputo molto poco. So che per anni è stato l’uomo delle coperture, credo che la ’ndrangheta del Nord sia sotto di due, trecento chili di droga e qualche decina d’arresti per il suo lavoro. Quando la sua faccia è diventata troppo comune in certi ambienti, a quarantasei anni si è ritrovato promosso dirigente e spostato ad altro incarico. Non dietro una scrivania, ma addio lavori sotto copertura. Mario, più che un amico reale, è il riflesso dell’amico che avrebbe potuto essere se ci fossimo incontrati in un altro momento, con altri ruoli.
«Be’, quindi adesso fate intrattenimento a pranzo! Se insieme allo show mettete anche il baby parking, avete svoltato!»
Ridiamo tutti, anch’io, so che non c’è cattiveria. Sono rilassati, sorseggiano l’amaro, si godono il sole, e se stanno chiudendo un’operazione non dev’essere certo una cosa urgente.
«Che posso farci? È una vita che va così, mica posso sperare di cambiarlo a sessant’anni. È mio padre, è un brav’uomo… ma quando vede me, vede rosso.»
«Be’, qualcosa gli avrai fatto, oltre a essere chiaramente il più brutto della cucciolata!»
«Dici così perché non hai mai visto i miei fratelli! E poi io non sono bello, ma piaccio!»
Ridiamo ancora, ma è chiaro che vogliono sapere. Hanno visto questa scena troppe volte per non aspettarsi uno straccio di spiegazione.
«Insomma, cos’è ’sta storia delle barche?»
Mario non molla mai l’osso.
«È sempre stato un problema di barche. Oggi, quindici anni fa. Lui pensava che avrei studiato. In alternativa, che avrei preso il suo posto qui dentro. Invece una mattina faccio sega a scuola, avrò avuto quattordici anni. Mi invento uno sciopero e arrivo qui, aspetto che papà venga ad aprire il ristorante, ma incontro Pietro, il proprietario del cantiere navale qui accanto. Lui mi guarda e mi fa: “Ma perché non vieni da me a impararti un lavoro vero?”. Figurati, con tutte quelle barche, i soldi che giravano, non ci ho pensato un attimo. Ho iniziato così, Pietro mi ha insegnato tutto quello che so sulle barche.»
«Tutto qui?»
«Non è poco, non per mio padre. Potevo andare a lavorare per tutti, ma non per Pietro. Troppi soldi, troppa spocchia, secondo lui. Lo crede un poco di buono.»
«E questo Pietro ha “parcheggiato” delle barche nella metà dello spiazzo di tuo padre! Giusto?»
«Mi riempio di orgoglio quando vedo che i soldi spesi dalla polizia per formarti hanno prodotto un investigatore con le tue doti! Dovresti tentare anche con i servizi segreti!»
Uno dei suoi sbotta a ridere con il bicchiere ancora in mano, sputa ovunque. Mario mi poggia una mano sulla spalla. «Sei veramente una brutta persona! Ci fumiamo una sigaretta?»
Nel parcheggio, rimasti noi due, tutto diventa serio, confidenziale. «Sono quelle lì le barche della discordia?»
«Sì, sì. In effetti sono nella metà sbagliata del parcheggio, ma il problema non sono le barche… sono io. Lui crede che Pietro mi abbia strappato a lui, che mi abbia insegnato solo il valore dei soldi.»
«Capito. E non è così?»
«Pietro è una brava persona, credimi. Per me ha fatto molto, ma sono stato io a scegliere. Le barche, i motori, a me piacevano più di tutto il resto. Non ho scelto Pietro, ho scelto un lavoro. Anche i soldi sì, ma non è che guadagnare sia una colpa.»
Non fa una piega Mario, a volte sembra di ghiaccio. Fuma sereno, io vedo solo il mio riflesso nei suoi occhiali a specchio.
«No che non è una colpa.»
«Poi io non lavoro più per Pietro da anni. Ho un’azienda mia. Mi sono fatto un nome, dovrebbe essere fiero di me… Guarda, le vedi le due barche incriminate? Vieni che ti mostro una cosa… Lo vedi quella specie di scalino sotto lo scafo? Quello che sembra un dente? L’ho inventato io quello, l’ho brevettato! Grazie a quell’affare, quando raggiungi una certa velocità, si crea un’enorme bolla d’aria sotto lo scafo che ti permette di dimezzare la resistenza! È una mia creazione, capisci? Me la chiedono e gli altri la copiano! Solo che mio padre di queste cose non si cura, non gli interessano.»
Fumo anch’io. Sono sempre stato imbarazzato dai silenzi di quest’uomo.
«Avete un’operazione in zona?»
«Sì… robetta… Dobbiamo scattare delle foto lungo il fiume, ma stasera. Ce la siamo presa comoda, fra un po’ ce ne andiamo fra le canne e cerchiamo il punto giusto. Spero solo di non passarci la notte…»
«Se hai bisogno di stenderti puoi passare da noi, lo sai, vero?»
«Grazie, ma spero di tornare a casa presto… Come stanno Marica e i bambini?»
«Crescono e lei spende felice… Tutto nella norma!»
«Si vede che allora guadagni proprio bene. Ma davvero si vendono così tante barche?»
«Da me la gente non viene a comprare barche, viene a modificarle, a renderle più veloci fondamentalmente.»
«E sei bravo in questa cosa?»
«Ci sono periodi in cui devo rifiutare clienti e mandarli da altri per quanti ne arrivano. Ormai prendo quasi solo offshore da competizione e gommoni per le immersioni. Sai che significa? Fra i 50 e i 200 mila euro ogni volta.»
«Mi sa che ho sbagliato lavoro allora…»
Sigaretta finita.
«Vallo a far capire a mio padre. Scappo, che ho un cliente di quelli pesanti che mi aspetta! Se hai bisogno di appoggiarti, offerta sempre valida.»
«Ciao, Giannino, riguardati.» Ci tiene all’etichetta, niente pacche o abbracci. Strette di mano con Mario, forti.
Mio padre osserva distrattamente dalla vetrata.
Vedo il Cayenne bianco targato Roma fin dalla strada lungo l’argine che porta al cantiere. Quando arrivo Giuseppe è già lì che aspetta. Non sa stare fermo, come al solito lo trovo che tormenta Dimitri.
Dim è quel tipo di straniero pacato nei modi, ma deciso nel lavoro. Se dice che consegnerà qualcosa per una data ora, lo fa. Continua a pompare via acqua da una cabina. Con una pompa a mano. Sotto questo sole, anche se è gennaio, significa rischiare il collasso, ma trova la forza per fingere interesse per i racconti di vita di Beppe. Le sue auto, i suoi soldi, ma più di tutto le sue donne.
«… Fidate! Qui perdi tempo! Torna a casa tua! Guarda che io ho girato tutto il mondo, ma le donne che ho incontrato a Durazzo e a Tirana… mmm… roba da nun torna’ più a casa! Le vostre so’ donne vere! Che roba, che ricordi…»
Dim riesce comunque a farsela una risata, ma so che dentro si trattiene per non dargli un calcio in bocca. È arrivato in cantiere un giorno di sei anni fa, portato da altri c...