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Il rumore all’interno del ristorante era cresciuto fino a diventare un chiasso indistinto. L’argenteria tintinnava contro i piatti, le risate echeggiavano sulle pareti di mattoni. Ogni tanto un aiutocameriere che portava un contenitore in plastica pieno di piatti sporchi apriva la porta della cucina con uno spintone e ne faceva fuoriuscire una cacofonia di mestoli che strisciavano sulle pentole e sfrigolii di cibo saltato in padella.
Sonia chiuse gli occhi come Sam le aveva insegnato e si mise in ascolto delle parole che di tanto in tanto riusciva a sentire sopra il chiacchiericcio. A volte facevano una lista delle parole che sentivano e poi le univano in frasi senza senso. Sonia non aveva mai detto a Sam che conservava quelle frasi in segreto. Le trasformava nella strofa di una poesia o nel dialogo di un racconto.
Nei mesi che erano seguiti alla morte di Sam, tuttavia, Sonia era riuscita a sentire nel mormorio soltanto il suo nome.
Perché si aspettava che le cose andassero diversamente durante la cena prenuziale della sorella di Sam, Sonia non lo sapeva.
Aprì gli occhi e si accorse che Martha e Liz le facevano dei cenni dall’altra parte del ristorante. Si stampò un sorriso sulla faccia e si avvicinò a loro salutandole con un abbraccio, come se non si vedessero da tanto tempo.
«Dio» disse Liz porgendo il calice a un cameriere di passaggio perché glielo riempisse, «non riesco a smettere di pensare che quel vestito ti sta d’incanto.»
«Sei assolutamente stupenda» concordò Martha facendo arrossire Sonia.
«Se Sam fosse qui, non riuscirebbe a tenere giù le mani» disse Liz dando un colpetto di gomito a Sonia. Martha la fulminò con un’occhiata, ma Liz scrollò le spalle e disse che era vero.
Sonia abbassò lo sguardo sul suo vestito a fiori come se la imbarazzasse, appiattendone l’orlo con le dita. «Gli sarebbero piaciuti un sacco anche quei cosini di pollo alla thailandese.»
«Lo so!» esclamò Liz. «Quando abbiamo fatto gli assaggi c’erano una marea di antipasti deliziosi tra cui scegliere, ma non potevo scartarli. Se Sam avesse saputo che avevo rinunciato a qualcosa di thailandese mi avrebbe uccisa.»
Il vociare si era rafforzato nel ristorante e le tre si guardarono intorno, seguendo con lo sguardo la traiettoria di un cameriere che girava intorno ai tavoli per riempire i bicchieri di vino.
Sonia sorseggiava la sua bibita, cercando di non guardare verso i testimoni. «Grazie ancora per avermi chiesto di fare la damigella d’onore» disse. «Ne sono molto felice.»
Liz alzò gli occhi al cielo. «La vuoi smettere di ringraziarmi? Sarebbe stato strano non averti come damigella.»
«Lo so, ma…»
«Ma niente. Sei praticamente mia sorella.» Bevve un sorso di vino e salutò qualcuno. «Il dovere mi chiama» disse con un sorriso, avviandosi verso un gruppo di amiche sedute a un tavolo in un angolo.
«Riesci a crederci che sta per sposarsi?» domandò Martha. «Mi sento vecchia.»
«La prima volta che l’ho vista stava scendendo le scale in pigiama, con la sua papera di peluche in mano. Sembrava che avesse dodici anni. Ho pensato che Sam mi avesse mentito sul fatto di avere una sorella più grande che frequentava il college.»
«Roger dice che ogni tanto ci dorme ancora, con quella.»
Sonia rise. «Credo che non ci sia nessuna regola che impone di sbarazzarsi dei peluche quando ci si sposa.»
«Sì» disse Martha con gli occhi ancora puntati su Liz. «La vedo ancora a quell’età . A dodici anni, intendo. Aveva dei quaderni pieni di nomi di ragazzi e si divincolava quando l’abbracciavo in pubblico. La vedo ancora quando aveva due anni e si schiacciava il cibo nei capelli. Li ho in mente tutti e due a ogni età che hanno avuto.» Rimase in silenzio, poi scrollò il capo e guardò Sonia. «Ma guardami, sto diventando nostalgica.»
«Va tutto bene» disse Sonia. Dalla cucina provenivano ora rumori simili a scarpe da basket che strisciavano sul parquet. Sonia ripensò al modo in cui Sam passava ossessivamente la mano sotto le scarpe per pulirne le suole. Alla fine di ogni partita il suo palmo era nero e Sonia si preoccupava dei germi.
«Sono così felice che tu sia qui. Non sarebbe lo stesso senza di te.» Martha si lasciò sfuggire un sospiro, poi mise una mano calda sulle spalle nude di Sonia. «Questo è un fine settimana di festa. Dovresti prendere del vino.»
«Lo farò» disse Sonia, anche se non aveva alcuna intenzione di cercare conforto nell’alcol. Se c’era un festeggiamento da fare, doveva essere con Jeremiah, da sola. Non appena quel pensiero le ebbe attraversato la mente, Sonia si sentì pervadere dal senso di colpa e stabilì che un bicchiere di vino poteva essere una buona idea. «Vado subito a prenderne uno.»
«Bene» disse Martha, stringendo leggermente la mano di Sonia. «Mi raccomando, prenditi anche un po’ di dolce. È il tuo preferito, la torta di lime.»
Sonia sorrise e si voltò per cercare un cameriere con un vassoio di calici. Non appena ebbe voltato la schiena a Martha sentì che stava per piangere. Raccolse un tovagliolo da un tavolo vicino e si tamponò gli occhi per evitare che le si sciogliesse il trucco.
° ° °
Più tardi Sonia sgattaiolò fuori dalla sua stanza d’hotel e andò in punta di piedi lungo il corridoio in maglietta e pantaloncini da notte a bussare alla porta di Jeremiah. Mentre camminava sentiva la spinta dell’alcol nelle vene per i pochi drink che aveva bevuto con gli altri invitati al bar dell’albergo. Jeremiah le aprì con la camicia sbottonata. La luce evidenziava i suoi addominali scolpiti che non erano del tutto scomparsi dopo l’anno di college passato a bere e a poltrire.
«Ehi» disse.
Lei esitò un momento, non essendo sicura del perché fosse andata da lui. Sarebbe stato più ragionevole, più intelligente tornare in camera sua a scrivere come faceva ogni sera prima di andare a dormire. Poi Jeremiah le rivolse uno dei suoi sorrisi e le prese la mano; lei si ricordò quanto fosse confortante la sua presenza.
La tirò a se per baciarla, chiudendo la porta dietro di lei.
«È tutto il giorno che ho voglia di farlo» disse lui; i due camminarono baciandosi fino a cadere sul letto. Sonia sentiva il sapore del vino nella propria bocca e il sapore di birra in quella di lui. Si tolse la maglietta e si chinò per baciarlo.
«Anch’io» disse lei mentre lui le passava una mano fra i capelli.
Sentiva il cuore di Jeremiah che batteva sotto di lei e sentiva anche il proprio cuore. Cercò di non immaginare qualche malattia nascosta dentro di lui, qualcosa sul punto di esplodere silenziosamente nel suo cervello. Dalla morte di Sam aveva iniziato a temere malattie in tutti quelli che la circondavano. Quando appoggiava la testa sul petto di Jeremiah, doveva trattenersi dal contare i battiti del cuore, dall’ascoltare se ci fossero aritmie che avrebbero potuto portar via anche lui.
«Nessuno al mondo bacia meglio di te» mormorò Jeremiah.
«Ne sei sicuro?»
«Sì» disse lui, staccandosi dalle sue labbra per darle dei piccoli baci agli angoli della bocca e sulle guance, come se non potesse permettersi di perdere anche solo un centimetro di pelle. «Ho fatto una ricerca approfondita. Migliaia e migliaia di donne.»
Lei si allontanò da lui, tenendogli ferma la testa così che non potesse avvicinarsi per darle altri baci. «Fai pena, in quanto a spirito romantico. Per favore non iniziare a parlare di statistiche mentre siamo a letto.»
Lui si staccò dalle sue braccia e si voltò a guardare il punto in cui prima teneva appoggiata la testa. «Dire a letto è troppo generico. Siamo a due scarti quadratici medi dal materasso.»
«Non ne so molto di statistica, ma sono abbastanza convinta che questa frase non abbia alcun senso.»
«Sei tu che non hai alcun senso» disse lui, tirandola di nuovo a sé per un altro lungo bacio.
Sonia era rimasta scioccata la prima volta che si erano baciati. Era stato favoloso, difficile da interrompere; le era rimasto così a lungo sulle labbra che aveva passato il resto della nottata a dirsi, fra i sensi di colpa, che Sam forse non era poi così bravo a baciare e lei non lo sapeva prima che arrivasse Jeremiah.
Com’era solito fare, Jeremiah smise all’improvviso di baciarla e li fece rotolare entrambi in modo che lei si ritrovasse sotto di lui. La guardò passandole una mano fra i capelli in un modo che le faceva venir voglia di chiudere gli occhi e sorridere per ore.
«Che fai?» gli chiese lei stringendolo di più a sé.
«Sto solo guardando» disse lui con un sorriso. Resse il suo sguardo per un attimo, poi le baciò il collo. Sonia aveva notato che non riusciva a mantenere il contatto visivo troppo a lungo e per qualche motivo adorava quel briciolo di timidezza. «Sei assolutamente bellissima.»
Sonia gli sorrise, tirandolo a sé per abbracciarlo, intrecciando le gambe con le sue. «Il tuo spirito romantico è decisamente migliorato negli ultimi trenta secondi a letto.»
«Ma di nuovo, non propriamente a letto» disse lui, studiando il suo volto come se non avesse mai visto niente di simile prima di quel momento.
La stanza era silenziosa, tranne che per il ronzio del condizionatore e il lieve rumore dei baci di Jeremiah di tanto in tanto. Sonia vide di sfuggita sfilare sul televisore senza audio le notizie di sport e fu felice che non fosse la stagione del basket. Fuori dalla stanza, lungo il corridoio, si sentivano un paio di persone che schiamazzavano ubriache; dovevano essere altri invitati al matrimonio. Jeremiah spostò la sua mano dai capelli alla clavicola di lei, facendo scorrere un dito su e giù un paio di volte prima di abbassarsi e ripercorrere quel sentiero con i suoi baci. Era solo in momenti come quello che l’assenza di Sam non le faceva male. Una volta finito, Sonia sarebbe rimasta sola nella sua stanza a tormentarsi per il senso di colpa, tanto da non riuscire a dormire. Ma per ora il dolore costante con cui conviveva da quasi un anno era quasi dimenticato.
«Voglio ballare con te, domani» disse Jeremiah. «Al matrimonio.»
Sonia sospirò. «Con la famiglia di Sam lì? Non credo proprio.»
«Andiamo» disse Jeremiah. «Ho cercato dei tutorial in rete su come ballare la salsa e riesco quasi a tenere il ritmo.»
«Incredibile. Ma dovrai mettere in mostra le tue capacità con un’altra.»
«Non voglio ballare con un’altra.»
«Molto dolce da parte tua» disse Sonia posandogli una mano sulla guancia. «Però non accadrà .»
«Perché no?»
«Perché capirebbero» disse lei, sperando in questo modo di troncare la conversazione.
Jeremiah sospirò, prendendo un filo sul piumino vicino alla testa di Sonia e avvolgendoselo intorno alle dita. La guardò con quei suoi begli occhi verdi velati da un’ombra di tristezza. «E quindi?»
Sonia gli si avvicinò per baciarlo nel punto dove il collo si univa alla mandibola.
Ogni tanto, mentre si baciavano, lui si fermava e indicava quel punto dicendole: «Qui.» Era stato lo sguardo di lui dopo uno di quei baci che aveva fatto capire a Sonia di amarlo, anche se ancora non glielo aveva detto.
«Non parliamone» disse lei.
Jeremiah si scostò. «Credo che dovremmo farlo.»
Sonia mugugnò e scivolò via da sotto di lui. Le ritornò quel dolore sordo allo stomaco, quella zona profonda delle viscere che aveva preso vita nel momento in cui Sam era scomparso. Sonia andò alla scrivania in un angolo della stanza. Tirò a sé la sedia un po’ troppo bruscamente e dovette prendere al volo la giacca che Jeremiah ci aveva appoggiato sopra.
«Non vuoi stare con me?» chiese Jeremiah mettendosi a sedere e guardando altrove.
«Sai che non si tratta di questo» disse Sonia, ripiegando la giacca sulle sue ginocchia e lisciando la stoffa.
«Allora cos’è?»
Sonia non rispose.
«So che hai sofferto molto, Sonia. So che una parte di te lo ama ancora e probabilmente lo amerà per sempre. Questo lo capisco e non ti chiederò mai d...