DOVE NASCE,
CRESCE E VIENE
AMATO NARCISO
Per lungo tempo generazioni di bambini, soprattutto femmine, crescevano accontentandosi di fantasticare su quel perentorio “… e vissero per sempre felici e contenti” che chiudeva tutte le storie amorose proprio sul più bello, lasciando trapelare chissà quali misteri. D’altro canto, pochi ricordano che, nella fiaba di Cenerentola, ciò che il re anelava per il principe azzurro, dissimulato dalla sontuosità del grande ballo per tutte le fanciulle del regno, era una “fattrice”, ossia una sposa che garantisse la continuità e la prosecuzione del regno e delle generazioni.
L’amore romantico doveva molto al fatto che per le donne la maternità fosse per così dire inscritta in un percorso tracciato biologicamente e atteso socialmente, in cui donare un figlio al padre cementava la coppia e saldava precocemente il codice femminile con quello materno, conferendo senso al futuro e alla propria identità, spesso non ricercata altrove.
Oggi il percorso classico della coppia romantica – che un tempo prevedeva, secondo un ordine prestabilito, l’incontro tra due persone che si sceglievano per sempre e che suggellavano il proprio amore dapprima con la coniugalità e poi con la generatività – può essere tranquillamente sovvertito, non per forza completato o totalmente mandato a monte.
L’erotizzazione precoce dell’infanzia, l’anticipo pubertario, che produce sempre prima piccoli maschi e piccole femmine al posto di bambini, il predominio dell’estetica sull’etica, lo scollegamento della sessualità dalla generatività, l’esistenza di “per sempre” reversibili e aleatori, la rincorsa a valori di bellezza, successo, visibilità, felicità personale caratteristici della società del narcisismo, hanno di certo avuto un’influenza sulla costruzione delle coppie degli adolescenti di oggi e dei futuri adulti di domani.
È sempre più comune sentire parlare di fragilità dei legami e difficoltà nella costruzione di relazioni stabili, progettuali e mature, e i giovani di oggi sono descritti come meno disposti o predisposti alle trame masochistiche e alla devozione indefessa prevista nell’amore romantico.
Nell’indagare le modificazioni avvenute nel modo di vivere gli affetti, l’interrogativo che si pone è se la madre postmoderna e la famiglia affettiva abbiano approntato nuove regole nella scuola d’amore dell’infanzia a cui assoggettare le nuove generazioni di bambini, spesso unici e preziosi, istigati alla competenza affettiva e alla precocità relazionale. Per capire come si amano gli adolescenti oggi, è importante tentare di comprendere le ripercussioni che può aver avuto su di loro un modello educativo votato alla realizzazione del Sé, valutando anche l’eventuale strascico della loro immersione in una società densa di stimolazioni erotiche, eccitanti e sensuali.
Desiderati, attesi, sollecitati al successo e alle relazioni, ipervalorizzati, caricati di forti aspettative, nutriti affettivamente, sostenuti nella ricerca del proprio benessere e soddisfazione personale, educati alla libera espressione dei propri sentimenti e stati d’animo, pungolati precocemente da un’ipertrofia della femminilità e della mascolinità, suggellata però dalle pari opportunità educative, immersi nelle potenzialità e nei rischi della virtualità, dotati di nuove regole di corteggiamento sessuale: ecco come giungono gli adolescenti oggi alle soglie del primo innamoramento.
In queste pagine vorremmo approfondire le connotazioni specifiche, le peculiarità ma anche le eventuali fragilità del modo di amare di Narciso, alle prese con l’esigenza di supplire le istanze fusionali e narcisistiche dell’infanzia, che hanno nutrito la sua crescita, ma anche di superare timidezza e permalosità, paura della dipendenza e bisogno di rispecchiamento, nell’intento di rincorrere e ricoprire le richieste che l’amore maturo, portatore d’intimità, reciprocità e progettualità, gli presenterà per diventare adulto.
IL PRIMO OGGETTO D’AMORE
Tutti nella vita siamo stati innamorati e tutti nella vita siamo stati amati, almeno una volta: di tale amore la nostra mamma è stata, insieme, bersaglio e origine. La letteratura psicoanalitica non ha mai lesinato nel definire l’intenso rapporto che s’instaura con la propria madre, o con la principale figura d’accudimento presente nella vita del bambino, come il legame con “il primo oggetto d’amore”.
Non saremo dunque i primi a descrivere la relazione madre-bambino come un vero e proprio innamoramento, un’esperienza che travolge, coinvolge e assorbe sia fisicamente sia mentalmente.
Sarà interessante, invece, percorrere un breve viaggio attraverso le caratteristiche con cui si vivono e costruiscono le coppie e i rapporti significativi oggi, al fine di meglio comprendere se e come sono cambiati nella famiglia postmoderna, e ancora più in generale nella società contemporanea.
Le mamme di oggi vogliono bene ai loro figli ed esprimono il loro affetto in maniera differente o specifica rispetto a un tempo? I contesti, le famiglie, i legami che si creano lungo l’arco della vita hanno subìto consistenti modificazioni? Quale impatto ha la diffusione massiccia di relazioni di stampo prettamente narcisistico nella capacità di intessere rapporti significativi? Che tipo di istigazioni subiamo dalla società in cui viviamo? Quali messaggi veleggiano nell’etere mass-mediatico a proposito dell’amore?
Ci chiediamo se il modo di amare dei giovani, gli adulti di domani, abbia risentito di un particolare modo di essere amati fin dalla prima infanzia, e in questo capitolo ci occuperemo di approfondire come nascono, si sviluppano, vengono nutriti e investiti i legami, dapprima nella relazione con la madre, poi nell’odierna e peculiare famiglia affettiva, e più in generale nel contesto della società postmoderna in cui siamo immersi.
Che cosa si registra dell’esperienza primitiva e preverbale del bambino con la madre? Come si situa nelle stratificazioni delle simbolizzazioni affettive quella relazione così intensa e appagante da essere considerata prototipo di tutte le relazioni successive?
Com’è noto, l’intensità della relazione che s’instaura nei primissimi mesi tra il bambino e il suo primo oggetto d’amore è così potente da far esperire un tripudio di emozioni, un’esperienza così assoluta da venire sovrapposta, da sempre, ai vissuti dell’innamoramento, non solo da un punto di vista affettivo ed emotivo ma anche per ciò che riguarda una sorta di modello del piacere e del godimento.
Nei secoli, a chiunque abbia osservato una madre che allatta il suo bambino sarà stato evidente un universale gioco di sguardi e attese, un dialogo quasi telepatico non lontano da quello di due innamorati: le mucose che s’incontrano, che si uniscono in una posizione privilegiata – solo il genere umano prevede che il nutrimento sia ricevuto dentro il calore di un abbraccio –, in un godimento fatto di odori, vicinanza e contatto. L’urgenza di toccarsi, di sentirsi, con i corpi o almeno con i respiri, l’addormentarsi stremati pelle contro pelle ricordano e quasi superano i livelli di rapimento e intimità dei baci, degli abbracci e della confidenza che due corpi uniti nell’amore si regalano.
Alla stessa stregua, proseguendo in una visione un po’ romanzata, depurata dalla stanchezza, dalle fatiche e dal disorientamento tipico del puerperio, i primi mesi sembrano procedere nutrendosi dell’esaltazione di uno sguardo estasiato, di una conquista o di un sorriso, con il piacere e il bisogno di stare insieme, l’angoscia del distacco e l’estasi del ritrovarsi, il senso di sicurezza e di totale abbandono all’altro.
Molte delle sensazioni che si utilizzano per descrivere e intendere l’intensità del legame tra madre e bambino rimandano alla dimensione della “bolla” che avvolge le prime fasi dell’innamoramento, in cui la coppia vive una dimensione magica e affiatata, indifferente allo scorrere del tempo e delle anime esterne, una simbiosi che sembra bastare a se stessa, la voglia di stare sempre appiccicati, prendendosi cura dei desideri e dei bisogni reciproci.
È ciò che nel futuro si cercherà di nuovo? Lo sguardo dell’uno catturato nello sguardo dell’altro, in un’esperienza emozionante di tenero rispecchiamento che satura l’urgenza di essere visto, pensato, di conquistare la certezza di cominciare a vivere nella mente dell’altro? L’intensità dell’aggancio visivo amoroso ci parla della necessità di ritrovare pagine scelte delle proprie arcaiche esperienze preverbali, di poter riutilizzare un linguaggio corporeo primitivo accompagnato dalla mimica che segnala la disponibilità, la forza dell’emozione sperimentata, che caratterizza l’affinità elettiva, la scelta mistica, l’accomunamento inspiegabile.
Potremmo definire la madre l’insegnante prevalente della scuola dell’amore, colei che insegna ad amare, in un percorso tortuoso che richiede frequenza, impegno e dedizione per lungo tempo. Dopo la prima fase dell’innamoramento simbiotico e fusionale, è sempre con lei che vengono fatti i primi passi nell’arte della costruzione della relazione d’amore ed è con lei che si impara a soffrire di passione, di delusione e ardente desiderio di vicinanza, a patire il tormento del voltafaccia e della massima incomprensione.
La scuola dell’amore, da lei diretta per tanti anni, dovrà, alla fine dell’infanzia, rilasciare un “diploma di maturità”. Ma oggi alcune delle materie principali della scuola più antica del mondo sembrano essere state modificate, rimpiazzate, boicottate, rese inutilizzabili dai tempi moderni, sostituite più o meno clandestinamente.
Questa “riforma scolastica”, frutto di anni di grandi cambiamenti, fermenti sociali e culturali, è potenzialmente innovativa, a volte francamente fantasiosa, non sempre propriamente centrata sui bisogni dei bambini, che saranno gli adulti di domani.
Ciò che sempre più frequentemente viene denunciato dai moderni testi sacri di psicologia, sociologia, filosofia, è che alcuni di questi cambiamenti avrebbero prodotto una diffusa fragilità dei legami, una difficoltà a progettare, giovani sornioni, subdoli o forse fin troppo franchi, spaventati dall’idea di sentirsi braccati in relazioni senza via d’uscita, insomma quella liquidità di cui tutti recentemente parlano.1
Il narcisismo imperante avrebbe dunque sfornato serie infinite dei due prodotti “top” della sua moderna linea di creazione? Da una parte bambini iperprotetti, fragili e idolatrati, preservati fuori misura dalle frustrazioni della più comune quotidianità, dall’altra piccoli maschi e piccole femmine, precocemente investiti di competenze e capacità, proiettati nel mondo, alla ricerca spasmodica di rispecchiamento, successo, visibilità, per certi versi adultizzati anzi tempo, senza reti di protezione?
Difficile rispondere in modo univoco. Certamente la nostra esperienza ci consente di produrre alcune riflessioni che potrebbero essere utili per orientarsi in questi nuovi territori.
UN NUOVO DESIDERIO DI MATERNITÀ
Dall’epoca cosiddetta romantica qualcosa di certo è cambiato. La madre di oggi, definita postmoderna, è una donna che, più che in qualunque altra epoca, vive la maternità non come un percorso per così dire obbligato, atteso socialmente e in qualche modo inscritto nel proprio codice biologico e femminile, ma come una scelta consapevole, che nasce dal desiderio attivo di completare la propria già articolata identità con il ruolo materno, talvolta deciso anche autonomamente.
Oggi poche donne rinunciano a diventare madri, anche se pochissime si concedono più di un figlio. Il modello femminile non è più quello della “donna in carriera”, che rincorre un modello maschile fino a rifiutare la maternità, ma della donna-madre che cerca di coniugare e trovare complessi equilibri tra il lavoro, la coniugalità e la maternità: la mamma cosiddetta acrobata che Elena Rosci mirabilmente descrive nei suoi saggi.2
L’abnegazione e quella quota di masochismo che per lungo tempo le madri hanno riversato sui figli, a scapito delle proprie esigenze, sono messe presto in discussione in nome della ricerca di nuovi e delicati equilibri tra bisogni oggettuali e narcisistici, tra la vocazione alla cura e all’accudimento dell’oggetto d’amore e la realizzazione del Sé. È un nuovo modo di vivere la generatività, meno affidato a una regia esclusiva di tipo istintivo o naturale, probabilmente più consapevole, in parte minato da una cultura “puerocentrica” che, se da una parte ha strenuamente lottato per la salvaguardia dei diritti dei bambini, dall’altra, mettendo al centro i loro desideri e necessità, corre il rischio di renderli più minacciosi che appetibili.
La mamma postmoderna sembra più conscia della poliedricità dell’impresa generativa, delle tenere ma anche potenzialmente tiranniche esigenze infantili, e quindi, com’è abituata a fare per tutte le altre aree della sua vita, cerca di arrivarci preparata, meno trasognata da un’ingenuità per così dire romantica.
È più informata, anticipa i dubbi, ne parla con le sue coetanee, si confronta con il partner, intervista il ginecologo, consulta i blog, osserva le esperienze a lei vicine, esamina minuziosamente il suo desiderio, fantastica sulla felicità che potrà sentire, sulle soddisfazioni e gli appagamenti che comporta il ruolo materno, ma riflette anche sulle rinunce e i sacrifici personali che dovrà affrontare. Quando decide di avere un figlio, sembra essere più consapevole della sua scelta e delle sue complessità.
In primo luogo sa che dovrà vedersela con le attese sociali: dal momento in cui una donna diviene madre, ancora oggi, molti dei suoi gesti, atteggiamenti, scelte, comportamenti sono presi in carico e giudicati dalla società, che traccia il possibile esercizio del suo ruolo attraverso una serie di rigide regole e aspettative. È ancora molto diffuso una sorta di “ideale collettivo di mamma perfetta”, che in parte spiegherebbe certi timori espressi da alcune donne di fronte all’assunzione del ruolo materno.
Infatti, mentre è radicalmente cambiato il profilo della donna occidentale, è come se la rappresentazione prevalente e le attese verso quella che viene considerata la madre ideale non differiscano molto da quelle del secolo scorso. Quel che ne risulta è uno stridente accostamento e, a volte, una difficile integrazione tra una vita da “donne postmoderne”, libere, emancipate, lavoratrici, autonome, e le aspettative nei confronti di un “ruolo materno ipertradizionalista” devoto, paziente, generoso, pronto a negare i propri bisogni.3
La sensazione d’impraticabilità di questo connubio può mettere seriamente in difficoltà le giovani donne di oggi, figlie della loro epoca, cresciute nella società del narcisismo, poco inclini all’insuccesso e alla rinuncia, educate a trarre soddisfazione dai ruoli che esercitano, siano essi sociali o personali.
Difficilmente si dedicano a qualcosa per puro masochismo o sacrificio, raramente s’impegnano in un’impresa senza trarne anche piacere o soltanto per far contento qualcuno.
A questa coltre di aspettative sociali e personali si aggiunge poi che, nella nostra epoca, la dimensione del puerperio, così romanzescamente accennata nel paragrafo precedente, risulta molto distante sia dalla totale delega alle balie ottocentesche, sia dal...