parte seconda
come sono finito in una gabbia
mia madre
Sto sulla punta dei piedi. La fotografia è sul tavolino nell’ingresso, ma non riesco a prenderla. Mi allungo, mi allungo e do un colpetto alla cornice con le punta delle dita. È pesante e quando cade sul pavimento fa parecchio rumore.
Trattengo il fiato. Non viene nessuno.
Raccolgo con cautela la cornice. Il vetro non si è rotto. Siedo sotto il tavolino con la schiena contro il muro.
Mia madre è magnifica. La fotografia è stata scattata il giorno del suo matrimonio. Strizza gli occhi al sole, che le illumina i capelli, ha un vestito bianco, fiori bianchi in mano. Suo marito è dietro di lei. È bello, e sorride. Con la mano gli copro la faccia.
Non so per quanto tempo rimango seduto qui. Mi piace guardare mia madre.
Arriva Jessica. Mi sono scordato di sentire se arrivava.
Afferra la cornice.
Io non la lascio andare. La tengo stretta. Forte.
Ma ho le mani sudate.
E Jessica è molto più grossa di me. La strattona verso l’alto, trascinandomi in piedi e la cornice mi scivola dalle mani. La tiene in alto alla sua sinistra e poi la cala giù in diagonale, tagliandomi lo zigomo con il bordo. «Non toccare mai più questa fotografia.»
jessica e la prima notifica
Sono seduto sul letto. Jessica è insieme a me, e mi racconta una storia.
La mamma chiede: “Siete venuti a portarlo via?”
La giovane donna alla porta dice: “No, assolutamente no. Non lo faremo mai.” La giovane donna è sincera e ci tiene molto a fare un buon lavoro, ma è davvero ingenua.
Interrompo: «Cosa vuol dire ingenuo?»
«Goffo. Ottuso. Tardo. Come te. Capito?»
Annuisco.
«Bene, ora ascolta. La donna ingenua dice: “Visitiamo tutti gli Incanti Bianchi d’Inghilterra, per notificare loro le nuove regole e aiutarli a riempire i moduli.”
La donna sorride. Il Cacciatore sta in piedi dietro di lei e non sorride. È vestito di nero come fanno tutti loro. Fa impressione: è alto, forte.
«Madre sorride?»
«No. Dopo che sei nato tu, Madre non ha mai più sorriso. Quando Madre non risponde, la donna del Consiglio la guarda preoccupata. Dice: “Lei ha ricevuto la Notifica, vero? È molto importante.”
La donna sfoglia le carte nella sua cartellina e tira fuori una lettera.
Jessica srotola la pergamena che ha in mano. È spessa, larga, e le pieghe disegnano la forma di una croce. La tiene con delicatezza, come se fosse preziosa. Legge:
Notifica della Risoluzione del Consiglio degli Incanti Bianchi di Inghilterra, Scozia e Galles.
Si è stabilito che per facilitare la protezione di tutti gli Incanti Bianchi d’Inghilterra si istituisca e mantenga aggiornato un registro di tutti gli incanti in Gran Bretagna.
Un semplice codice verrà utilizzato per tutti gli incanti e le crisalidi (ossia incanti di età inferiore ai diciassette anni) che non sono puri Bianchi, con le seguenti lettere: Bianco (B), Nero (N), o Profano / Non Incanto (P). I Mezzi Codici verranno invece registrati come B 0.5 / N 0.5, oppure i Mezzi Sangue come B 0.5 / P 0.5, o N 0.5 / P 0.5. A essere indicato per primo sarà il codice della madre; per secondo quello del padre. Mezzo Codice è una categoria assolutamente transitoria, che andrà definita il prima possibile (comunque non più tardi del compimento dei diciassette anni), fino a quando ai soggetti possa essere unito un codice univoco (B, N o P).
«Lo sai che significa?» chiede Jessica.
Scuoto la testa.
«Vuol dire che sei un Mezzo Codice. Sei un Nero. Un Non-Bianco.»
«La nonna dice che sono un Incanto Bianco.»
«No che non lo dice.»
«Dice che sono mezzo Bianco.»
«Sei mezzo Nero, invece.»
Dopo che la donna ha finito di leggere la Notifica, Madre non dice niente, ma torna in casa, lasciando aperta la porta. La donna e il Cacciatore la seguono.
Siamo tutti in soggiorno. Madre siede sulla poltrona vicino al camino. Ma il fuoco non è acceso. Deborah e Arran prima giocavano per terra, ma ora siedono accanto a lei, ognuno su un bracciolo della poltrona.
«E tu dove sei?»
«In piedi accanto a lei.»
Mi immagino Jessica in piedi con le braccia incrociate e le ginocchia unite.
Il Cacciatore rimane vicino alla porta.
La donna con la cartellina siede in punta sull’altra poltrona, la cartellina sulle ginocchia serrate, la penna in mano. Dice a Madre: “Forse è più facile e veloce se i moduli li compilo io e lei li firma.”
La donna chiede: “Chi è il capofamiglia?”
Madre riesce a dire: “Io.”
La donna chiede a Madre il suo nome.
Madre dice di chiamarsi Cora Byrn. Un Incanto Bianco. Figlia di Elsie Ashworth e David Ashworth, Incanti Bianchi.
La donna chiede chi siano i suoi figli. Madre dice: “Jessica, otto anni. Deborah, cinque. Arran, due.”
La donna chiede: “Chi è il loro padre?”
Madre: “Dean Byrn. Incanto Bianco. Membro del Consiglio.”
La donna chiede: “Dov’è?”
Madre dice: “Morto. Assassinato.”
La donna dice: “Mi dispiace.”
Poi la donna chiede: “E il piccolino? Dov’è il piccolino?”
Madre dice: “È lì, in quel cassetto.”
Jessica si gira verso di me e mi spiega. «Dopo la nascita di Arran, Madre e Padre non volevano altri bambini. Avevano dato via la culla, il passeggino e tutte le cose da neonato. Quel bambino non era voluto e deve dormire su un cuscino, in un cassetto, con addosso una vecchia tutina sporca di Arran. Nessuno gli compra giocattoli o regali, perché tutti sanno che non è voluto. Nessuno dà a Madre regali, fiori o cioccolata, perché sanno tutti che lei questo bambino non lo voleva. Un bambino così non lo vuole nessuno. Madre riceve solo un biglietto, che però non dice “Auguri”.
Silenzio.
«Vuoi sapere che diceva?»
Scuoto la testa.
«Ammazzalo.»
Mi mordo le nocche ma non piango.
La donna si avvicina al bambino nel cassetto e il Cacciatore le sta vicino perché vuole vedere questo strano essere indesiderato.
Anche nel sonno, il neonato è orribile e deforme, con quel corpicino rachitico, la pelle che sembra sporca e i capelli neri e tutti diritti.
La donna chiede: “Ha già un nome?”
“Nathan.”
Jessica ha già un modo tutto suo di pronunciare il mio nome, come se fosse una cosa disgustosa.
La giovane donna chiede: “E suo padre…?”
Madre non risponde. Non riesce perché è troppo terribile: non lo sopporta. Ma tutti sanno, solo guardando il bambino, che suo padre è un assassino.
La donna dice: “Forse il nome del padre può scriverlo.”
E passa la cartellina a Madre. E lei ora piange e non riesce nemmeno a scriverlo, il nome. Perché è quello dell’Incanto Nero più malvagio che sia mai esistito.
Vorrei dire “Marcus”. Lui è mio padre e io vorrei dire il suo nome, ma ho troppa paura. Ho sempre troppa paura di pronunciare il suo nome.
La donna torna a vedere il neonato che dorme e allunga la mano per toccarlo.
“Attenta” avverte il Cacciatore, perché anche loro, che non hanno mai paura, sono sempre cauti quando si tratta di stregoneria Nera.
La donna dice: “È solo un bambino” e accarezza il suo braccio nudo con il dorso delle dita.
E il bambino si muove e apre gli occhi.
La donna dice “Santo cielo” e fa un balzo indietro.
Capisce che non avrebbe dovuto toccare una cosa così sporca e corre in bagno a lavarsi le mani.
Jessica allunga la mano come se volesse toccarmi, ma poi la tira indietro, dicendo: «Non riesco nemmeno a toccarla, una cosa cattiva come te.»
mio padre
Sono di fronte allo specchio del bagno, e fisso la mia faccia. Non somiglio proprio per niente a mia madre, e nemmeno ad Arran. La mia pelle è un po’ più scura della loro, olivastra, e ho i capelli nero inchiostro, ma la vera differenza sta negli occhi, che sono nerissimi.
Non ho mai incontrato mio padre, non l’ho nemmeno mai visto. Ma so che ho i suoi stessi occhi.
il suicidio di mia madre
Jessica la tiene in alto e poi la cala giù in diagonale, tagliandomi lo zigomo con il bordo.
«Non toccare mai più questa fotografia.»
Io non mi muovo.
«Mi senti?»
C’è del sangue sull’angolo della cornice.
«È morta per colpa tua.» Indietreggio contro la parete.
Jessica mi urla: «Si è uccisa per colpa tua.»
la seconda notifica
Mi ricordo che pioveva da giorni. Giorni e giorni, finché anch’io mi ero stancato di stare da solo nei boschi. Allora mi sono messo al tavolo della cucina, seduto a disegnare. Anche la nonna è in cucina. La nonna è sempre in cucina. È vecchia e ossuta, con quella pelle sottile che hanno i vecchi, ma è anche magra e ha la schiena diritta. Porta gonne scozzesi a pieghe, stivali di cuoio o di gomma. Lei sta sempre in cucina e il pavimento è sempre sporco di fango. Anche quando piove, la porta sul retro è aperta. Un pollo viene a cercare rifugio, ma la nonna non è d’accordo e lo spinge fuori piano con il lato dello stivale, poi chiude la porta.
La pentola cuoce a fuoco lento sul fornello, esala una colonna di vapore che si alza rapida e sottile e poi si allarga per unirsi alla nuvola sopra di lei. I verdi, i grigi, i blu e i rossi delle erbe, dei fiori, delle radici e dei bulbi che pendono dal soffitto dentro reti e cestini, nel fumo che li circonda si fanno indistinti. Allineati sugli scaffali ci sono barattoli pieni di liquidi, foglie, grani, grassi, pozioni, qualcuno è perfino di marmellata. La superficie del piano di lavoro è disseminata di cucchiai di tutti i tipi: di metallo, legno, osso, lunghi come il mio braccio, o piccoli come il mio mignolo, ma ci sono anche coltelli infilati in un ceppo, o sporchi, coperti di un impasto e abbandonati sul tagliere. Ci sono un mortaio e un pestello di granito, due cesti rotondi e altri barattoli. Dal retro della porta pendono un copricapo da apicultore, una scelta di grembiuli e un ombrello nero curvo come una banana.
Io disegno tutto.
Sto seduto con Arran, guardiamo un vecchio film alla tivù. A lui piace guardarli, più vecchi sono meglio è, e a me piace star seduto accanto a lui, più vicino è meglio è. Abbiamo tutti e due i pantaloni corti e le gambe magrissime, solo che le sue sono più chiare delle mie e penzolano oltre il bordo della vecchia poltrona comoda. Ha una piccola cicatrice sul ginocchio sinistro e una lunga sullo stinco destro. I capelli sono castano chiaro, ricci, ma in qualche modo non gli cascano sulla faccia. I miei sono lunghi, diritti e neri e mi stanno incollati sugli occhi.
Arran ha addosso un maglione blu fatto a mano sopra una maglietta bianca. Io ho quella rossa che mi ha dato lui. Fa un bel caldo a stargli vicino, e quando mi giro a guardarlo, lui sposta lo sguardo dalla tivù a me, come al rallentatore. Ha gli occhi chiari – blu grigi con pagliuzze d’argento – e anche quelli li batte piano. In lui tutto è gentile. Sarebbe fantastico essere come lui.
«Ti piace?» chiede senza avere fretta di una risposta.
Annuisco.
Mi passa un braccio intorno e si volta di nuovo verso la tivù.
Lawrence d’Arabia fa il trucco con il fiammifero. Dopo decidiamo di comune accordo di prova...