La cuoca di Himmler
eBook - ePub

La cuoca di Himmler

  1. 400 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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La cuoca di Himmler

Informazioni su questo libro

Quando decide che è giunto il momento di scrivere la sua storia, Rose ha quasi centocinque anni, cinque denti buoni, una faccia da gufo e un odore non propriamente di violetta. Ma lo spirito è intatto, l'appetito per il cibo e per il sesso sempre vivace, il suo ristorante a Marsiglia più pieno che mai e la memoria pronta a sfornare ricordi ancora caldi di una lunghissima e rocambolesca esistenza. Rose ha attraversato il Novecento tra la Turchia, la Provenza, Parigi, gli Stati Uniti, la Cina, e vissuto in prima persona il massacro degli armeni, la persecuzione degli ebrei, i deliri del maoismo; nelle mille tappe delle sue picaresche avventure ha servito cene spettacolari e funghi avvelenati, viaggiato con Simone de Beauvoir, premuto il grilletto della sua Glock 17 senza rimorsi, cucinato per Heinrich Himmler e per il Führer, amato senza riserve e senza preconcetti, sostenuta da un solo credo: se la Storia è l'inferno, la vita è il paradiso. Lunga e variopinta è la lista dei suoi amori, così come quella di chi le ha fatto del male, custodita gelosamente fin da quando era bambina e spuntata un nome dopo l'altro, con orgoglio e inesorabile determinazione: perché solo la vendetta gustata fino in fondo permette di risollevarsi e rinascere. La cuoca di Himmler è una cavalcata attraverso gli orrori del XX secolo e le delizie di una vita vissuta appieno e assaporata fino all'ultimo boccone, nella voce di un personaggio irresistibile che si racconta con dolcezza, umorismo e con la straordinaria leggerezza di chi sa sorridere al passato e al futuro; un romanzo che ha commosso e divertito la Francia, dove è diventato un grande successo di pubblico e di critica.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2014
Print ISBN
9788817072229
eBook ISBN
9788858665039

1

Sotto il segno della Vergine

Marsiglia, 2012. Ho baciato la lettera e ho incrociato le dita perché fosse latrice di buone notizie. Sono molto superstiziosa, è un po’ il mio debole.
Era stata imbucata a Colonia, in Germania, come da timbro postale, e sul retro c’era il nome della mittente: Renate Fröll.
Il cuore ha cominciato a battermi fortissimo. Ero angosciata e felice allo stesso tempo. Ricevere una lettera personale alla mia età, quando ormai sei sopravvissuta a tutti gli altri, rappresenta giocoforza un avvenimento.
Ho deciso di aprirla più tardi, nel corso della giornata, per conservare il più possibile l’eccitazione da cui ero stata pervasa nel riceverla, e ho baciato di nuovo la busta. Stavolta sul retro.
Ci sono giorni in cui mi viene voglia di baciare qualsiasi cosa, dalle piante ai mobili di casa, ma mi trattengo. Non vorrei che mi prendessero per una vecchia pazza, una specie di spauracchio per i bambini. A poco meno di centocinque anni mi è rimasto un filino di voce, cinque denti buoni, una faccia da gufo e un odore non propriamente di violetta.
Ma quanto a cucinare, sono ancora sulla breccia: anzi, posso considerarmi una delle regine di Marsiglia, seconda soltanto all’altra Rose, un fiore di ottantotto anni che prepara certi piatti siciliani incredibili in rue Glandevès, vicino all’Opéra.
Non appena esco dal ristorante, però, e mi metto a gironzolare per le strade, ho la sensazione di far paura alle persone. C’è un solo posto dove la mia presenza non sembra completamente fuori luogo: in cima a quella specie di picco calcareo che è il campanile di Notre-Dame-de-la-Garde, dalla cui sommità la statua dorata della Vergine esorta all’amore tutto il mondo, il mare, Marsiglia.
Mi ci accompagna Mamadou, facendomi salire dietro di lui sulla moto. È un gran bel pezzo d’uomo, nonché il mio alter ego al ristorante. Fa la sala, mi aiuta in cassa e mi scarrozza ovunque sul suo catorcio puzzolente. Mi piace sentire la sua nuca sulle labbra.
La domenica pomeriggio e tutto il lunedì, quando il locale è chiuso per riposo settimanale, sono capace di restare per ore seduta sulla mia panchina, sotto un sole che mi mastica la pelle. Chiacchiero tra me e me con i miei morti, che ben presto andrò a raggiungere su in cielo. Secondo l’espressione preferita di un’amica che ho ormai perso di vista, la frequentazione con i trapassati è più gradevole di quella con i vivi. Ha ragione: non solo sono meno isterici, hanno anche un sacco di tempo a disposizione. Mi ascoltano. Mi calmano.
Alla mia veneranda età, ho imparato che le persone sono molto più vivaci da defunte. Morire non vuol dire affatto eclissarsi, ma rinascere nella mente altrui.
A mezzogiorno, quando il sole non si trattiene più e ti prende a coltellate, o peggio a picconate, mi dileguo nei miei neri abiti di vedovanza ed entro all’ombra della basilica.
Mi inginocchio davanti alla Madonna d’argento che domina l’altare e fingo di rivolgermi a Dio, dopodiché mi siedo e schiaccio un pisolino. Chissà perché, quello è il posto dove dormo meglio. Sarà lo sguardo affettuoso della statua a tranquillizzarmi. Le grida e i risolini deficienti dei turisti non mi danno noia. Lo scampanio nemmeno. Certo, sono sempre terribilmente stanca, come se fossi appena tornata da un lungo viaggio. Quando avrò finito di raccontare la mia storia capirete perché. Tra l’altro la mia storia non è niente, o poca cosa: un infimo sciabordio della Storia, melma in cui sguazziamo tutti e che ci trascina sempre più a fondo, un secolo dopo l’altro.
La Storia è una porcheria. Mi ha portato via ogni cosa. I figli. I genitori. Il mio più grande amore. I gatti. Non capisco la deferenza imbecille che la specie umana le riserva.
Personalmente sono ben contenta della fine della Storia: ha fatto già abbastanza danni. Ma presto ricomincerà, ne sono certa, lo sento nell’elettricità dell’aria e lo vedo negli sguardi cupi delle persone. È il destino del genere umano lasciarsi guidare dall’idiozia e dall’odio verso le fosse comuni che le generazioni precedenti non hanno smesso di riempire.
Gli umani sono come bestie al macello. Avanzano verso il loro destino a occhi bassi, senza mai guardare avanti né indietro. Non sanno cosa li aspetta, né vogliono saperlo, quando non ci sarebbe niente di più facile: il futuro è un rigurgito, un conato, un acido in gola, a volte il vomito del passato.
A lungo ho cercato di mettere in guardia l’umanità contro le tre piaghe della nostra epoca: il nichilismo, l’avidità e la buona coscienza, a causa delle quali ha perso la ragione. Attacco bottone con i vicini, soprattutto con il garzone del macellaio che abita sul mio pianerottolo, un tipo mingherlino e pallido con due mani da pianista chiaramente stufo dei miei deliri tanto che, quando lo incontro sulle scale, devo spesso trattenerlo per la manica in modo da impedirgli di fuggire; ogni volta si dice d’accordissimo con me, ma lo fa solo per essere lasciato in pace.
È sempre la stessa storia. Negli ultimi cinquant’anni non ho trovato nessuno che volesse ascoltarmi. Alla fine mi sono zittita, stanca di combattere, fino al giorno in cui mi è cascato per terra lo specchio. Per tutta la vita ero riuscita a non romperne nessuno, ma quella mattina, mentre guardavo le schegge sulle piastrelle del bagno, ho capito di essermi tirata la sfortuna addosso. Pensavo addirittura che non sarei sopravvissuta all’estate. Alla mia età non sarebbe affatto strano.
Quando si sa di dover morire soli, senza nemmeno un cane a farti compagnia, l’unica è tentare di attirare l’attenzione. Perciò ho deciso di scrivere le mie memorie e sono andata a comprare quattro quaderni a spirale nella cartolibreria della signora Mandonato. È una sessantenne ben conservata, da me soprannominata «la vecchia», nonché una delle donne più colte di Marsiglia. Mentre pagavo ho visto che qualcosa non le tornava, così ho finto di cercare gli spiccioli per darle il tempo di formulare la sua domanda: «A cosa ti serve tutta questa roba?».
«Indovina: a scrivere un libro!»
«Sì, ma di che genere?»
Dopo un attimo di esitazione, ho risposto: «Di tutti i generi contemporaneamente, vecchia mia. Un libro per celebrare l’amore e avvertire l’umanità dei pericoli che corre. Perché non debba mai rivivere quanto ho vissuto io».
«Esistono già diversi libri sull’argomento…»
«Evidentemente non abbastanza convincenti. Io racconterò la storia della mia vita. Ho già un titolo provvisorio: I miei cent’anni e oltre
«È un buon titolo, Rose. I lettori adorano tutto quello che riguarda i centenari. È una nicchia di mercato in rapida espansione e ben presto conterà milioni di estimatori. Il brutto di questi libri è che spesso vengono scritti da millantatori.»
«Be’, invece io, nelle mie memorie, cercherò di dimostrare che non tutti i centenari sono dei morti viventi e che abbiamo ancora qualcosa da dire.»
Scrivo al mattino ma anche di sera, davanti a un bicchierino di vino rosso. Mi bagno le labbra di tanto in tanto, per rifarmi la bocca, e quando sono a corto di ispirazione ne bevo una sorsata per schiarirmi le idee.
Quella sera era mezzanotte passata quando ho deciso di sospendere la scrittura. Invece di spogliarmi e andare in bagno, ho voluto aprire subito la lettera che avevo trovato nella cassetta quella mattina. Sarà stata l’età, o forse l’emozione, ma le mani mi tremavano talmente che ho strappato la busta in più punti. Dopo averne letto il contenuto ho avuto un malore, il cervello mi si è come spento di colpo.

2

Samir il sorcio

Marsiglia, 2012. Pochi attimi dopo essere tornata su questa Terra, una canzone ha cominciato a ronzarmi in testa: Can You Feel It dei Jackson Five. Michael al suo meglio, con una vera voce da bambino, mica quella da castrato illustre che gli è venuta dopo. È la mia canzone preferita.
Mi sentivo bene, come sempre quando la canticchio. Si dice che dopo una certa età se ti svegli e non senti male dappertutto vuol dire che sei morto. Io ero la prova del contrario.
Quando ho ripreso i sensi, infatti, non provavo nessun dolore, ma non ero morta e tantomeno ferita.
Come tutti quelli della mia età, ho il terrore delle fratture con cui si rischia di finire sulla sedia a rotelle, in particolare se si tratta del femore. Ma sarà per un’altra volta.
In realtà mi ero premunita. Prevedendo lo choc, prima di leggere la lettera mi ero seduta sul divano. Quando ho perso conoscenza sono caduta all’indietro, ovviamente, ma ho sbattuto la testa su un morbido cuscino.
Ho dato un’altra occhiata al biglietto che tenevo ancora in mano, poi ho imprecato: «Schifo di una porcata di merda!».
L’annuncio mi informava della morte di Renate Fröll, che dunque non poteva essere il mittente. Il suo decesso risaliva a quattro mesi prima, ed era stata cremata nel cimitero di Colonia. Sul cartoncino non comparivano altre notizie. Niente indirizzo, niente numero di telefono.
Sono scoppiata in lacrime. Credo di aver pianto tutta la notte, perché al mattino mi sono svegliata in un lago, con lenzuola, cuscino e camicia da notte completamente zuppi. Bisognava passare all’azione.
Avevo avuto un’intuizione e volevo verificarla. Ho telefonato sul cellulare a un vicino: Samir il sorcio. È il figlio di un settantenne che a quanto si dice di professione ha sempre fatto il disoccupato, ma gli è andata benone: è un bell’uomo, sempre a posto, lindo e pinto. Sua moglie invece fa la cassiera e la donna di servizio, ha vent’anni meno di lui ma ne dimostra almeno una decina di più: è paralizzata dai reumatismi e si trascina a forza su per le scale. Ci credo, ha lavorato sempre per due.
Samir il sorcio ha tredici anni e già l’occhietto vispo di chi va a caccia di grossi dividendi. Non gli sfugge niente. È come se avesse occhi dappertutto, anche sulla schiena, anzi sulle chiappe. Ma invece di sfruttare questo suo talento, passa la vita davanti al computer a trovare in tempi record qualsiasi cosa uno gli chieda, beninteso dietro compenso. Prezzi, nomi, cifre.
Samir il sorcio ha fiutato il guadagno e, benché non sia mattiniero, è venuto subito da me. Gli ho mostrato il biglietto: «Mi servirebbero tutte le informazioni possibili su questa Renate Fröll».
«Informazioni di che tipo?»
«Tutto, dalla culla alla tomba. Famiglia, lavoro, scheletri nell’armadio. Insomma, tutta la sua vita.»
«Quanto?»
Samir il sorcio non è un poeta e tantomeno un filantropo, perciò, in cambio dei suoi servizi, gli ho proposto la console del salotto. L’ha esaminata, poi ha detto: «È davvero vecchia, questa roba?».
«Dell’Ottocento.»
«Adesso guardo in rete quanto vale, poi se non mi tornano i conti ne riparliamo. Ma dovremmo esserci.»
Gli ho offerto dei biscotti al cioccolato con uno dei miei sciroppi preferiti: orzata, menta o granatina, ma ha rifiutato, come se non si addicessero alla sua età. Alla mia invece si addicono eccome.
Samir il sorcio trova sempre ottime scuse per piantarmi in asso. È oberato di lavoro, gli è impossibile prendersi cinque minuti. Ma se non riesco mai a trattenerlo più di un tot è anche perché ha subodorato quello che provo per lui, lo so bene. Nonostante la differenza di età, mi sono presa una cotta.
Tra un paio d’anni, quando l’uomo sarà emerso dal bambino trasformandolo in un ammasso di peli e desiderio, mi piacerebbe essere stretta fortissimo da lui, farmi dire qualche parolaccia e strapazzare un po’, nient’altro. Lo so, alla mia età è indecente e perfino un po’ idiota, ma se dovessimo reprimere ogni nostra fantasia cosa ci resterebbe? Qualche rimasuglio dei dieci comandamenti, seghe mentali e poco altro. Una vita da morire. Sono le nostre piccole follie a tenerci in piedi.
Io, per principio, vivo ogni istante come se fosse l’ultimo. Ogni gesto, ogni parola. Voglio morire tranquilla, senza rimorsi né rimpianti.
La sera dopo ero in camicia da notte, pronta per andare a letto, quando hanno suonato alla porta. Era Samir il sorcio. Pensavo volesse chiedermi un aumento invece no, aveva lavorato tutto il giorno e ci teneva a darmi di persona il risultato delle prime indagini.
«Renate Fröll» ha esordito «faceva la farmacista a Neuwied, vicino a Colonia. Nubile, genitori ignoti. Nessun parente. Non ho trovato altro. Non hai altri indizi, tu?»
Mi è sembrato ci fosse dell’ironia, nel suo modo di guardarmi.
«Secondo te?» ho risposto in tono piatto. «Se avessi saputo chi era non ti avrei chiesto di fare ricerche.»
«Ma se non avessi qualche sospetto, non ti importerebbe di sapere chi era.»
Non ho replicato. Sul volto gli è passato un lampo di soddisfazione, era tutto contento di avere colto nel segno. A mano a mano che invecchio, mi è sempre più difficile nascondere i miei sentimenti, e lui si era accorto dell’emozione da cui ero stata presa mentre mi forniva i primi risultati dell’indagine, che confermavano la mia intuizione. Mi sentivo come la terra in attesa del sisma.
Quando se n’è andato ero così elettrizzata da non riuscire a dormire. I ricordi tornavano a galla uno dopo l’altro. Mi sentivo risucchiata in un vortice di immagini e sensazioni del passato.
Ho deciso di riprendere il mio libro. Fino a quel momento ero stata io, a scrivere. Di colpo, una voce è entrata in me e mi ha dettato quanto segue.

3

La figlia del ciliegio

Mar Nero, 1907. Sono nata su un albero, il 18 luglio, sette anni dopo l’alba del secolo, cosa che in teoria avrebbe dovuto portarmi fortuna. Era un ciliegio centenario, con rami come braccia stanche e pesanti. Quel giorno c’era mercato. Papà era a vendere arance e verdura a Trebisonda, antica capitale dell’omonimo impero sulle rive del Mar Nero, a pochi chilometri da casa nostra a Kovata, capitale delle pere e vaso da notte dell’universo mondo.
Prima di andare in città, papà aveva avvertito mia madre che probabilmente non sarebbe riuscito a tornare prima di notte. Per quanto gli dispiacesse vista l’imminenza del parto, non aveva scelta: doveva andare a cavarsi un molare cariato e a recuperare da uno zio il denaro che questi gli doveva; la sera scendeva presto e le strade non erano sicure, con il buio.
Secondo me aveva anche organizzato una bevuta con certi suoi amici, ma comunque non aveva motivo di preoccuparsi. Mamma era come quelle pecore che sgravano mentre continuano a brucare. Al massimo smettono un momento di nutrirsi o ruminare per leccare l’agnellino venuto giù dal loro posteriore. Figliano come altri fanno i bisogni, anzi a volte danno l’impressione di faticare di più in quest’ultimo caso.
Mia madre era una donna ben piantata, con ossa grandi e un bacino largo abbastanza da farci passare una batteria di bambini. Partoriva sempre con grande naturalezza e in pochi secondi. Dopodiché, finalmente alleggerita, tornava alle sue occupazioni. Aveva ventotto anni e già quattro figli, senza contare i due morti in tenera età.
Il giorno della mia nascita, i tre personaggi destinati a devastare l’umanità erano già venuti al mondo: Hitler aveva diciotto ...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Dedica
  5. Prologo
  6. 1 Sotto il segno della Vergine
  7. 2 Samir il sorcio
  8. 3 La figlia del ciliegio
  9. 4 La prima volta che sono morta
  10. 5 La principessa di Trebisonda
  11. 6 Benvenuti al «piccolo harem»
  12. 7 L’agnello e gli spiedini
  13. 8 La formica e il ravastrello marino
  14. 9 Chapacan I
  15. 10 L’arte della spigolatura
  16. 11 Felicità a Sainte-Tulle
  17. 12 Il condannato
  18. 13 Cucina d’amore
  19. 14 La regina dei ruffiani
  20. 15 Influenza d’amore
  21. 16 Il re della pinza Burdizzo
  22. 17 Un abbraccio lungo settantacinque giorni
  23. 18 Le mille pance di zio Alfred
  24. 19 La Petite Provence
  25. 20 L’arte della vendetta
  26. 21 Omelette ai funghi
  27. 22 Ritorno a Trebisonda
  28. 23 Una gita in barca
  29. 24 L’ebreo che non sapeva di esserlo
  30. 25 Giorni spensierati
  31. 26 Dichiarazione di guerra
  32. 27 A mo’ di esempio
  33. 28 Rossa come un gambero
  34. 29 L’uomo che non diceva mai di no
  35. 30 Colazione all’aperto
  36. 31 Una bellissima dentatura bianca
  37. 32 Il mio peso in lacrime
  38. 33 La tattica Johnny
  39. 34 Rastrellamento
  40. 35 Un pidocchio nel pagliaio
  41. 36 In cucina con il diavolo, senza coperchi
  42. 37 Il bacio di Himmler
  43. 38 Il fascicolo Gabriel
  44. 39 Il fiato del diavolo
  45. 40 Tre dita in bocca
  46. 41 L’embrione che non voleva morire
  47. 42 Il pigolio di un pulcino malato
  48. 43 Un delitto firmato
  49. 44 Viaggio a Treviri
  50. 45 Io, Nelson e Simone
  51. 46 L’altro uomo della mia vita
  52. 47 Il piccione viaggiatore
  53. 48 Un fantasma venuto dal passato
  54. 49 L’ultima morte
  55. 50 Ite, missa est
  56. Epilogo
  57. Le ricette della Petite Provence
  58. Piccola biblioteca del secolo