Padre nostro
eBook - ePub

Padre nostro

  1. 368 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Rafael Velásquez è un rispettabile imprenditore, vive a Madrid, non ha mai pescato in vita sua ma compra una lenza per verdesche. L'acciaio inox, del resto, è perfetto anche attorno al collo di un cristiano. Un capitano dei carabinieri gioca una partita a scacchi con tre re e nessuna regina. Sulla scacchiera molti sono i pedoni sacrificabili, resta solo da capire chi muoverà per primo. Almamuerta è un sicario all'antica, tiene in tasca l'immagine di una santa e il segno della croce se lo fa con la pallottola tra le dita. Una tenente della Guardia Civil spagnola con pochi scrupoli sul lavoro si trova di fronte la linea di confine tra avere e non avere, tra salvarsi e naufragare. Sullo sfondo una sanguinosa guerra, gelosie e vendette, quintali di droga e sequestri. Tutti contro tutti, padri contro figli, una faida in cui non ci sono alleati, solo nemici da eliminare. Dalla Colombia di Escobar al Cartello di Madrid passando per la branca scissionista della Camorra napoletana, Padre Nostro è un noir teso e ricco di colpi di scena che delinea la nuova spaventosa geografia del traffico di cocaina sulle rotte del Mediterraneo. Ma soprattutto è un thriller che inchioda il lettore alla pagina e ticchetta inquietante come una bomba a orologeria. Una splendida sorpresa da un collettivo, cresciuto alla scuola di Massimo Carlotto e destinato a un lungo futuro.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2014
Print ISBN
9788817072243
eBook ISBN
9788858664759

Terza parte

Inferno

38

Anima morta

L’uomo scese dal volo di linea Bogotá-Madrid e si guardò attorno. Aveva i lineamenti marcati e due profonde cicatrici gli solcavano il lato destro del volto, incrociandosi fino a formare una X all’altezza dell’occhio. La pupilla era di un grigio intenso e faceva pensare a una perla scura incastonata in una roccia.
Infilò un paio di occhiali da sole a goccia che fecero sembrare le cicatrici due piante rampicanti scolpite nella carne. Rispose con un cenno del capo al saluto di una hostess che gli augurava un buon soggiorno a Madrid e uscì dall’aereo. Una folata di vento freddo lo costrinse a sollevare il colletto del giubbotto di pelle e ad avviarsi con passo spedito verso l’uscita.
Il poliziotto dietro il vetro controllò sul terminale il nome scritto all’interno del passaporto.
Luis Herrera Rodríguez.
Niente da segnalare. Appose un timbro e gli fece cenno di proseguire.
Nemmeno il più esperto degli agenti in servizio al Barajas di Madrid sarebbe stato in grado di capire che quello era un passaporto falso, così come il nome e tutte le informazioni che vi erano scritte.
Puro artigianato falsario di Medellín.
Controllò di non essere seguito; uscì e salì su un taxi, dando l’indirizzo di un bar dalle parti di Argüelles.
Erano quasi vent’anni che non metteva piede a Madrid, e la trovò cambiata. Vide nuove strade, nuove linee della metropolitana che portavano a zone residenziali quasi disabitate. C’erano molte più persone di nazionalità diverse che giravano per la città, ma sempre la stessa frenesia di vivere.
Amava Madrid. L’amava e la odiava allo stesso tempo per tutti i ricordi che aveva lasciato tra le sue vie. Uno degli ultimi era anche uno dei sensi di colpa più grandi della sua vita.
Quella volta era venuto per uccidere un funzionario della polizia colombiana che prestava servizio all’ambasciata. Presto sarebbe rientrato in patria con un incarico preciso: trovare Pablo Escobar e farlo estradare negli Stati Uniti. Il Cartello voleva eliminare fin da subito quella potenziale minaccia, ma qualcosa andò storto: la bomba che aveva posizionato sotto l’auto del funzionario scoppiò al momento sbagliato, permettendogli di salvarsi. Qualche anno dopo, quello stesso uomo scovò Pablo Escobar. Lui non se l’era mai perdonato.
Per qualcuno uccidere è un peccato mortale.
Per altri invece è solo l’altra faccia della medaglia.
Plata o plomo.
Soldi o piombo.
Questa era la filosofia del Cartello di Medellín e, di conseguenza, la sua.
Ogni variabile, ogni desiderio, ogni principio morale arrivava lì prima o poi, perché ogni persona può essere corrotta e nessuno è a prova di proiettile.
Se don Pedro era la plata, lui era il plomo.
Il tassista lo lasciò di fronte al bar. Il sicario pagò e si diresse verso un telefono pubblico. Digitò un numero che conosceva a memoria e attese. Quando sentì per l’ennesima volta la voce registrata della segreteria telefonica, riattaccò con un gesto di stizza.
Entrò nel centro commerciale Corte Inglés, comprò un coltello da cucina, andò in bagno e lo sistemò sotto la giacca, in modo che non fosse visibile.
Il bar che stava cercando era una bettola frequentata da gente del posto che non aveva nulla da spartire con gli uomini d’affari in giacca e cravatta. Quando entrò, la maggior parte dei clienti era impegnata a consumare piatti veloci a base di tapas e platos combinados. Un televisore sintonizzato su un telegiornale dava notizie che nessuno aveva voglia di ascoltare. Ordinò una birra e una porzione di tortillas de patatas accompagnata da un piatto di prosciutto crudo tagliato grosso e a mano.
Mangiò con calma. Erano anni che desiderava una tortilla così saporita.
Quando una giovane cameriera sudamericana passò a prendere il piatto, il locale era semi vuoto. Le chiese se era possibile fare i complimenti al cuoco e questa, sorridendo, gli rispose che sarebbe stata felice di chiamarlo.
«Victor! Victor!» gridò la ragazza verso la cucina.
Qualche istante dopo un uomo mulatto sulla cinquantina, un grassone stempiato con la faccia di uno che non sorride quasi mai, comparve sulla porta. Si stava sfregando le mani su un grembiule macchiato d’olio, ma quando vide il colombiano con gli occhiali da sole e le due cicatrici, si fermò.
Il suo volto cambiò espressione sotto il peso di storie che credeva sepolte nella sua memoria, avvenute in un’altra vita. Si guardò attorno con circospezione. Nessuno lo avrebbe potuto aiutare. Né lì dentro né fuori.
«Vai di sopra, Maria» disse il cuoco, spaventato.
«Ma…» cercò di obiettare la donna.
«Ho detto vai di sopra!» le ordinò alzando la voce.
Deglutì a fatica e cercò di dire qualcosa, ma fu subito zittito con un gesto della mano dall’uomo con le cicatrici sul volto.
«Dobbiamo parlare in un posto tranquillo» lo avvertì il sicario colombiano.
Il cuoco fece un cenno con il capo indicando il retro del bar, un piccolo cortile pieno di casse di bottiglie d’acqua ammassate una sopra l’altra. Tremava come una foglia e aveva cominciato a sudare.
L’uomo sbucato fuori dal suo passato si accese una sigaretta e fumò con calma prima di parlare.
«Pensavi bastasse cambiare continente per scappare da me, Mexico?» gli chiese, sfilandosi gli occhiali da sole. «Era da tempo che nessuno ti chiamava più così, vero?» continuò. «Cos’è, forse far finta che non fosse successo niente e continuare gli affari con don Pedro ti sembrava una buona idea? Mi dispiace deluderti Mexico: non è così. Nulla ti appartiene, nemmeno la tua vita» concluse, puntandogli contro le due dita che tenevano la sigaretta.
Il cuoco rimase immobile, lo sguardo perso sulla perla grigia incastonata nell’occhio. Un brivido gli salì lungo la schiena. «Non uccidermi» implorò. «Mia moglie non potrebbe mai…»
«Risparmiami le cazzate. Se avessi voluto ucciderti avresti già quella testa di cazzo affogata in una pozza di sangue.»
«E allora per quale motivo sei qui?» domandò, intimorito.
«Per darti una possibilità. Ti interessa?»
Mexico fece un cenno affermativo con il capo. Aveva il volto di chi cerca di controllare la paura senza riuscirci.
«Mi servono delle armi, un posto riservato come questo e delle informazioni. E tu mi darai tutto» disse deciso il sicario.
«Mi dispiace, ma è un po’ che con le armi non ho più nulla a che fare.»
Il colombiano gli assestò un ceffone che piegò Mexico di lato. «Raccontami un’altra balla se hai il coraggio. Avanti. Inventane una buona però, stavolta. Convincimi.»
Sul viso di Mexico calò un’espressione scura. Si sedette e lasciò cadere la testa tra le mani.
«Suvvia, non è il caso di fare tragedie, Mexico. Questa situazione è a tuo vantaggio. Tu mi dai quello che mi serve e io mi dimentico di quel carico che ti sei fatto sequestrare sotto il naso otto anni fa. So che procuri armi a tutti, oltre a essere ancora dentro il giro della coca, e fingi di fare questa vita di merda per pararti il culo con gli sbirri. Sei libero di rifiutare la mia proposta e anche di provare a fregarmi, ma in questo caso, be’… non devo spiegarti come funzionano certe cose da noi, vero Mexico?»
L’uomo rifletté per qualche istante, poi alzò la testa e annuì. «Accetto. Ma alla fine di questa storia sparisci per sempre e mi lasci in pace. E comunque, quella volta mi avevano dato un sommergibile rotto, non è stata colpa mia» tentò di giustificarsi.
«A Medellín non la pensano come te. E nemmeno io.»
«Lo immaginavo. Chi mi garantisce però che a cose fatte non mi ucciderai ugualmente?»
«Nessuno.»
Calò nuovamente un silenzio intriso di paura. Per la mente di Mexico passò un turbinio di ricordi, tutti lordi di sangue.
«Plata o plomo, eh? I tempi non cambiano mai per quelli come te» disse Mexico, avvicinandosi al muro dietro di lui.
«Sono le persone a non cambiare, non i tempi» gli rispose il sicario colombiano.
Mexico si chinò, spostò alcuni pesanti scatoloni, tolse delle piastrelle dal muro e tirò fuori una sacca sportiva. Al suo interno vi erano pistole e piccoli mitra sufficienti ad armare una divisione dell’esercito. «Scegli quella che vuoi.»
L’uomo prese una Glock e un mini Uzi. Se li rigirò tra le mani per qualche istante con fare da professionista. «Questi» disse.
«Vado a prenderti i proiettili» rispose l’altro, avviandosi verso un vecchio scaffale. Rovistò per qualche istante e imprecò, sostenendo di non trovarli.
Poi fece una cosa che nella scala di don Pedro apparteneva alla categoria delle cazzate enormi. Si voltò di scatto, impugnando una calibro 22 a tamburo, cercando il suo bersaglio. Niente. L’uomo dall’occhio grigio pareva essersi dissolto nel nulla.
Mexico sentì una lama fredda appoggiata alla gola. Rimase immobile, con le gambe che tremavano come foglie.
«Credi sia nato ieri, brutto stronzo? Eri davvero convinto che mi sarei fatto fottere da un cagasotto come te?» gli ringhiò il sicario.
Lo afferrò per i capelli e lo spinse con violenza su un vecchio tavolo davanti a lui, continuando a tenergli il coltello puntato alla gola.
«Ora andiamo su e ci divertiamo un po’ con la tua dolce mogliettina. Facciamo così: prima me la scopo per bene, poi le taglio la gola, davanti ai tuoi occhi. Ti piace l’idea, eh?» gli sussurrò all’orecchio.
«No, ti prego, perdonami! Ho… ho… sbagliato, lo so, ma ho avuto paura» rispose l’altro, con la voce rotta dal pianto.
«Dammi un motivo per cui non dovrei farlo, avanti…»
«Posso» biascicò l’uomo «posso dirti qualcosa che ti può interessare e… e ti darò tutto quello che vuoi, ma non mi ammazzare, ti prego. Mi sono rifatto una vita…»
«Fanculo Mexico, tu non hai fatto proprio un cazzo. Al massimo saranno stati gli sbirri a rifartela, in cambio di qualche nome… quanti ne hai fatti finire dentro, eh Mexico? Quanti? Dovrei ucciderti solo per questo.»
«Nessuno, te lo giuro. Sono andato via da solo, dopo la perdita del carico» bofonchiò l’uomo.
«Sentiamo cos’hai da dirmi» lo incalzò l’altro. «Se lo riterrò utile, non ti ucciderò. Altrimenti…»
«I napoletani… sono in città. Da quando gli hanno sequestrato il carico, hanno voluto tenere sotto controllo don Pedro perché pensavano li avesse fottuti. Poi c’è quella storia dei giornali e del…», l’uomo tentò di deglutire ma la lama del coltello ferma sulla carotide gli rendeva terribile solo il pensiero «del figlio di don Pedro con il quale era in affari… hanno sentito puzza di bruciato.»
«Fanculo quello che dicono i giornali, Mexico. Voglio sapere cosa dice la strada» lo interruppe il colombiano, premendo ancora di più la lama fredda sulla gola di Mexico e producendo una sottile incisione da cui cominciò a scorrere un rivolo di sangue.
«Va bene! Va bene! Ora però toglimi questo coltello dalla gola! Sono dalla tua parte, giuro!» esclamò il cuoco.
«Non staremo mai dalla stessa parte, verme» soffiò lo sfregiato, ma lo lasciò andare. Sapeva che era molto più utile un verme terrorizzato che un verme morto, così gli fece cenno di sedersi di fronte a lui. Fumò in silenzio, poi Mexico gli disse che in molti avevano provato a raccogliere informazioni sul figlio segreto del boss dopo il sequestro del carico, ma soprattutto dopo che gli sbirri lo avevano fatto uscire di galera per metterlo ai domiciliari.
«Claro. E volevano notizie su di lui per venderle a qualche altro Cartello, non è così? Figli di puttana» commentò il colombiano.
«Sono in molti a pensare che don Pedro sia finito. La storia del carico sequestrato, questo figlio segreto che spunta fuori all’improvviso e che viene beccato dagli sbirri, e in ultimo i napoletani in città… e quelli non sono venuti di sicuro solo per una spiegazione.»
«Dove sono?»
«Chi?»
«I napoletani, chi sennò, i sette nani? Dove sono?» chiese nuovamente lo sfregiato, spazientito.
«Si dice che stiano nella zona di Rivas, ci sono alcune pizzerie che…»
«Risparmiami i tuoi commenti da guida turistica del cazzo e dammi l’indirizzo di Hernández. Se non sei cambiato con gli anni, sono sicuro che stavi aspettando il momento giusto per vendere l’informazione a qualcuno, vero?»
«No, te l’ho detto, cerco di stare fuori da certe cose ormai. Ho il mio locale e…» provò a spiegare Mexico.
«L’indirizzo» intimò il colombiano puntandogli contro il coltello.
«Calle de Nieremberg, dalle parti di López de Hoyos. Ma non penso sia molto facile arrivare, la zona è piena di sbirri.»
«Tu non ti preoccupare.»
«Su quel Carlos non si sa niente, in strada» aggiunse Mexico.
«Meno sai su di lui e meglio starai. Credimi» tagliò corto l’altro. «Ora, se vuoi vivere, dammi i...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Prefazione di Massimo Carlotto
  5. Personaggi
  6. Prologo Carcere di Valdemoro, Madrid
  7. PRIMA PARTE - Paradiso
  8. SECONDA PARTE - Purgatorio
  9. TERZA PARTE - Inferno
  10. Epilogo Cinque mesi dopo
  11. Ringraziamenti