L'amore vero
eBook - ePub

L'amore vero

  1. 252 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

L'amore vero

Informazioni su questo libro

La vita è divisa in due da una linea d'ombra. Succede a tutti di varcarla. Nasciamo dal calore di un amore, se siamo fortunati cresciamo sostenuti dai genitori e da altri affetti, se lo siamo ancora di più queste relazioni continuano a darci sicurezza anche nell'età adulta. Ma, prima o poi, arrivano i lutti, le certezze si polverizzano, i legami si sciolgono. E, da un giorno all'altro, passiamo dall'essere figli al non esserlo più, ci ritroviamo orfani al mondo, soli nell'universo. È successo anche ad Anna Cherubini che, in un periodo relativamente breve, ha perso un fratello, poi la madre e infine il padre. Si è familiarizzata con la parola "morte". E, messa spalle al muro da queste vicissitudini, ha avvertito fortissima l'esigenza di abbandonarsi ai ricordi. Ne è nato un memoir potente ed emozionante che racconta di un padre funzionario del Vaticano, testardo e ruvido ma innamorato dell'arte e della lirica, di una madre che aveva le sue fragilità eppure era capace di sacrifici che oggi le donne non sanno più fare, di un fratello che voleva volare e purtroppo si è perso nel cielo, di un altro fratello che si perse a piazza San Pietro ma ora canta e salta negli stadi, delle anziane e particolari zie, della Bellezza della musica e di quella di Roma. Da questo irresistibile flusso della memoria, che fa piangere e sorridere, ed è pieno di poesia, scaturisce un libro che si legge come un romanzo, una grande saga familiare e insieme una riflessione sul senso della vita.

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a L'amore vero di Anna Cherubini in formato PDF e/o ePub. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2016
Print ISBN
9788817083492
eBook ISBN
9788858683484

1

La mia borsa

GIUGNO 2015
Immaginavo ci fosse sempre una colonna sonora, un tema musicale di qualche tipo ad accompagnare le cose che capitavano, anche le più banali. Proprio come nei film.
Nel tempo mi sono dovuta ricredere, ma quel tipo di musica gode ancora di un certo spazio nelle mie giornate.
Mi sono fatta delle playlist anche di duecento brani, ogni volta salti nel passato, capriole nel futuro, affondi nel presente, e le ascolto mentre faccio tutto il resto, in casa.
Ci sono dei maestri – Morricone, Rota, Buonvino – che per quanto mi riguarda hanno messo in note tanti giorni d’estate, con il vento che lasciava entrare dalla finestra i petali dei fiori, le foglie degli alberi, l’odore di pietra riscaldata e di focaccia bianca, appena fatta.
Succede ancora, quasi quotidianamente. Solo che ora, almeno secondo me, insieme a quelle note ci sono sempre i pensieri, le valutazioni, le idee illusorie sulla relatività del tempo. Succede soprattutto nella data dei compleanni, e quei resoconti sono come le candeline, come il brindisi, come gli auguri. Si infiltrano tra le foto vecchie, lo schermo acceso, le pagine scritte del lavoro in corso. Quest’anno è un programma sui luoghi italiani sconosciuti, da inviare entro sera per le riprese di domani, roba di lavoro.
Dopo usciremo con le amiche, prosecco o vino bianco fresco, formaggi al miele e sedani. Parleremo delle nostre cose e magari ci faremo un po’ di risate, con quella voglia di essere allegri che ci promettiamo a ogni compleanno.
I miei bambini correranno insieme agli altri bambini per la piazza. «Auguri mamma, ti voglio bene» è ripetuto in due disegni diversi che mi consegnano prima che usciamo. Gli dico che sono veramente bellissimi: «Mai visti dei disegni più belli» e appendo tutto sulla parete sopra il letto. Bacio entrambi sulle guance, sulla testa e sulle mani, mentre ho una lente a contatto sì e una no, e loro hanno una sola scarpa perché l’altra non si trova, come sempre, cose di casa. Alla fine le scarpe ricompaiono e io riesco a cacciarmi nel secondo occhio la seconda lente a contatto. I riassunti delle vite si fanno meglio con dieci decimi.
Quando ho le lenti a contatto, nella mia borsa ci sono cinque paia di occhiali: quelli per la miopia, che indosso per la maggior parte del tempo, poi un paio con le lenti da sole graduate, uno da sole non graduato, infine due paia per leggere da vicino.
Della miopia mi accorsi in seconda media, quando la professoressa di educazione musicale tracciò sulla lavagna il pentagramma con sopra le note da cantare tutti in coro. A parte che ero già stonata di mio, cantai malissimo perché quelle note per me erano sfocate, disperse tra righe e spazi incrociati.
«La Musica deve essere la vostra nuova lingua, il vostro senso della vita…» esclamava enfatica la Cardarelli o Caldarelli, o come si chiamava. Aveva i capelli gialli, sempre freschi di tintura fatta in casa, gli orecchini a pendaglio che dondolavano a ritmo di crome e biscrome.
All’ennesima stecca che feci, chiesi a una mia compagna di prestarmi i suoi occhiali da vista. Me li provai soltanto, senza badare all’estetica della montatura: Ray Ban a goccia ancora di moda negli anni Ottanta che stavano male a tutti, ancora peggio alle ragazzine. Una volta appoggiati sul naso e modellate le stanghette flessibili, i miei occhi non furono più un luogo come tanti di fronte a cui si succedevano cose sfocate. Diventarono invece soggetto, ossia videro, cercarono, capirono. Sulla lavagna c’era la traccia giusta, la linea melodica da cantare bene, o provarci.
«Questa è la Co-no-scen-za!» esclamava enfatica la Cardarelli o Caldarelli. La musica, tutta la musica, secondo lei, era il senso in più, il colore più intenso da dare alla vita. Poi però, quando si avvicinava a me, la prof non sembrava più così sicura dei suoi insegnamenti: «Ma per te son parole inutili. Tu sei sorda!».
«Io? Sono sorda…?»
Lei intendeva un sordo metaforico, forte della sua pelliccia di volpe vera, adatta secondo lei a fare metafore.
«O sei sorda, oppure a te la musica ti fa proprio schifo. Non la capisci, canti le note come fossero parole a vanvera… Che peccato!»
E mentre lo diceva, i suoi occhi truccati andavano a bucare i miei, che infatti… «È che non vedo molto bene le note…»
«Le note non si devono vedere con gli occhi, come tutte le cose che contano nella vita! E comunque, che peccato!»
Le veniva così bene, quell’espressione, che era difficile dirle altro. E dopo, con un ghigno, si chiudeva tutta tra i peli della sua volpe morta, a pensare male di me, di altri, delle nostre famiglie, di tutti quelli che per qualche motivo lei aveva deciso che non amavano la musica, ossia il vero senso della vita, che peccato!
Roma. Anni Ottanta. Scuole medie affollate di ragazzini nati negli anni Settanta.
La prof Cardarelli o Caldarelli diceva così, che non ci piaceva la musica, anche se sapeva che io, come i miei compagni, andavo a lezione di pianoforte già da un paio d’anni, senza troppa passione ma con impegno, curiosa e un po’ contenta delle prime melodie che riuscivo a tirar fuori. In quella scuola media avevano istituito la “sezione musicale” e io la frequentavo, con i corsi di musica gratis il pomeriggio e per il momento ancora nessun talento straordinario emerso.
Dopo le medie avrei frequentato una Scuola di Musica seria, con tanto di divisa blu e tesserino appuntato sul maglione, con scritti nome e strumento scelto. Era un Conservatorio privato fondato e gestito da una suora che si chiamava niente di meno che suor Dolores e aveva gli occhiali in montatura metallica e la veste azzurra (di quelle che secondo la superstizione dei romani si dice portino fortuna, mentre quelle nere o viola si dice portino male). La Scuola di Musica Tomaso Ludovico da Victoria era legata al Vaticano, dove mio padre lavorava, ed era la stessa dove aveva studiato Emanuela Orlandi. Credo che tutti sappiano chi sia: una quindicenne scomparsa nel 1983 e sul cui mistero, in quanto figlia di un dipendente del Vaticano, si è detto di tutto e di più. La verità è che non esiste una verità su di lei, e che nessuno sa che fine abbia fatto.
Studiavamo solfeggio, armonia, canto corale, e il mio strumento era il pianoforte, mentre quello di Emanuela era stato il flauto traverso. C’erano stati pochi mesi di scarto tra quando lei era stata rapita e quando io mi ero iscritta alla sua scuola. Non ci eravamo incontrate e non avremmo mai suonato insieme.
Studiare musica era davvero come avere una vita in più ed era anche vero che bisognava sentirla, altro che vederla! La strega della Cardarelli o Caldarelli aveva ragione, me ne resi conto col tempo. Tanto più che quelle note bianche, sfocate sulla lavagna, appoggiate sulle cinque righe, avrebbero accompagnato tutta una serie di attimi e di anni. Penso che servirebbero occhiali per tutte le cose, per mettere a fuoco meglio. All’epoca non lo sapevo ancora ma sarebbe stato bello poter scorgere in futuro tracce di pentagrammi, canzoni e musiche anche tra le separazioni, i lutti e i litigi. Le musiche più amate avrebbero sottolineato quei lutti e quelle separazioni come momenti significativi, da vivere e semmai da toccare. Per quanto strano possa sembrare, in spagnolo suonare si dice tocar, appunto, e la musica per me era un tocco continuo di istanti vissuti o ancora da vivere. Anche quelli belli, certo, mica solo i lutti e i giorni orrendi.
A dodici anni immaginavo sempre scene del futuro accompagnate dalle note e tutto mi sembrava più possibile, la vita era uno spettacolo tutto da fare, colonna sonora compresa. Davanti a un film intenso e commovente mio padre diceva: «Certo che la musica fa tanto eh, fa tanto. La musica fa tutto». E lui non aveva mai saputo suonare niente.
«Grazie» dissi alla compagna a cui avevo chiesto gli occhiali, dopo aver letto bene le note e aver capito tante più cose della vita.
«Zero cinquanta» disse l’oculista che mi visitò davanti a mia madre. Voleva dire mezza diottria di miopia.
«Deve mettere gli occhiali?» chiese lei.
«Eh sì. Anche perché la miopia peggiora. Ma vedrà, quando sarà grande si metterà le lenti a contatto e allora sarà una ragazza come le altre!»
Mia madre annuì, ma poco convinta: «Scusi, ma anche con gli occhiali sarà una ragazza come le altre, o no?».
Anche lei aveva sempre portato gli occhiali, in quanto miope come me, e non aveva mai pensato che questo significasse avere un problema rispetto alle altre donne. Per tutti gli anni successivi non l’ho mai pensato neanche io.
Passai almeno tre pomeriggi con mia madre in un negozio di ottica che si chiamava Calò, vicino a San Pietro, ossia anche vicino casa nostra, visto che abitavamo a pochi passi dalla grande piazza. Mi provai migliaia di montature, e nessuna mi sembrava andasse bene. Alla fine ne scelsi una di tartaruga con le lenti tonde, tipico stile di allora. Le note musicali sulla lavagna da quel momento sarebbero state chiare sempre.
«Bella!»
Mario, ossia mio padre, mi vide con gli occhiali e disse così. Da quando ero piccola mi aveva sempre chiamata in quel modo, Bella. A volte mi lasciava dei biglietti, anche solo di scherzo, e il mio nome era quello, scritto proprio con la maiuscola.
«Sembri una dottoressa!»
Da allora, dal momento degli occhiali, mi chiamò sempre “Dottoressa” e non più “Bella”, senza chiedersi quali titoli di studi avrei mai acquisito e quanto sarei diventata bella o brutta crescendo.
In generale dentro la borsa ho varie lenti a contatto usa e getta, piccole confezioni di lenti monouso che decido di mettermi anche all’improvviso, di solito quando ho un appuntamento di lavoro, oppure un altro appuntamento che richiede un miglioramento estetico estemporaneo.
Quando sono a Roma, mi capita che sono per strada, accosto il motorino a un angolo e faccio la solita operazione dai tempi del liceo: tiro fuori il flaconcino di soluzione salina, sciacquo la lente monouso e me la caccio nell’occhio con l’indice. A parte che vedo male di mio, succede anche che dei granelli di polvere o degli anarchici batteri mi graffino il bianco dell’occhio, il che fa un male cane. Allora inizio a lacrimare come se invece della lente avessi ficcato nella sclera un pezzo di vetro, il trucco mi cola sulla guancia, piango senza piangere e tanto nessuno ci fa caso, perché a Roma non si fa caso quasi a niente, tanto meno a qualcuno che piange sul motorino accostato a un lato della strada. Alla fine, tra una soffiata di naso e un ritorno a un qualche campo visivo precedente, mi sembra di avere gli occhi più grandi e lo sguardo più acceso, dunque posso andare.
Da vecchia farò ancora queste cose. Mi guardo in borsa e quel “vecchia” è già scritto. Infatti ci sono anche degli occhiali da presbite, per leggere da vicino. A volte questi occhiali da presbite li metto anche sopra quelli da miope, i miei figli mi guardano ed entrano in contatto con l’idea della clinica psichiatrica in cui mi verranno a trovare un giorno.
Insomma, ho bisogno degli occhiali da quel giorno della seconda media in cui, provandone un paio per sbaglio, vidi perfettamente le note, vidi la musica e tutta la vita futura mi sembrò bella, anche se non l’avrei mai potuta vedere bene a occhio nudo.
Una volta ho sentito dire che le persone miopi non sono veramente intelligenti, nel senso latino del termine intus legere, ossia leggere dentro, cosa improbabile dal momento che loro non leggono neanche da fuori. E anche che le donne miopi non sono mai veramente sexy, perché a livello energetico la miopia viene collegata agli antipodi della sensualità. Inoltre, la miopia è uno sguardo fuori fuoco, fuori tempo, sfocamento dell’anima, del sentire. Siamo così, non vediamo mai le cose al momento giusto, arriviamo dopo, sbagliamo misura, sbagliamo tutte le scelte che contano.
«Tu nella vita hai sbagliato tutto… Dottoressa!» diceva mio padre con la stessa scioltezza con cui mi chiedeva di passargli il cestino del pane.
Pertanto, noi che abbiamo questo difetto dovremmo indossare gli occhiali sempre e quindi non spogliarci mai veramente. Niente bellezza della nudità completa, quella non possiamo concedercela, ecco perché siamo meno sensuali. Pensieri, questi, elaborati con le amiche sui treni, nelle sale d’aspetto degli aeroporti, sui ponti delle navi o in attesa di un passaggio in autostop, di notte, all’alba, nei lunghi giorni senza tempo delle giovinezze lontane. Succedeva ai tempi delle vacanze nelle isole greche che facevamo quasi ogni estate. Si stava in topless sugli scogli a canticchiare la melodia del film Mediterraneo, all’epoca. E io senza occhiali vedevo sfocato anche l’orizzonte, con una sensazione beata di incertezza su tutto. Era confortevole non avere definiti i contorni delle cose.
Al di fuori dei miei, mi sono rimasti in borsa anche gli occhiali di mio padre Mario, per leggere da vicino. Non hanno niente di particolare, fanno parte degli altri mille che lui teneva sparsi in casa, in macchina, nel negozio d’antiquariato che aveva creato per passione. Comprava tutto in quantità esagerata, sempre, dagli oggetti antichi ai giornali, alle camicie a quadretti, alle confezioni di merendine per noi quando eravamo ragazzi, le Girella e le Kinder Ferrero, ai pacchi giganti di patatine per i miei bambini, ai pacchi di riso per fare il sushi…
«Ma che cosa sarebbe, poi, questo susi?» mi chiedeva seduto in macchina con lo sportello aperto, sotto la mia finestra, mentre io tiravo fuori dal suo bagagliaio scatoloni pieni di quei pacchi di quel riso a lui sconosciuto e che però aveva trovato in promozione alla Coop o al Despar. Aveva una specie di passione per i supermercati, ci passava le ore invernali, e ancora di più le ore estive in cerca di aria condizionata. Comprava pacchi esagerati di roba e me la portava, senza chiedersi mai se mi serviva o mi sarebbe piaciuta, e nemmeno se avevo posto dove metterla, così tanta.
Agli stessi supermercati, appunto, comprava occhiali da vista sempre in quantità all’ingrosso.
«Ne avrò cento di occhiali, eppure non ce l’ho mai a portata di mano quando servono, come le penne vicino al telefono quando devi segnare un numero!»
Era già il 2015 e a casa sua lui aveva ancora il telefono col filo, perché il cordless gli sembrava troppo moderno. Sempre avuto questo brutto vizio di non adeguarsi alle cose comode che il tempo ci regala, tenersi quelle scomode e brutte per pura nostalgia, o pigrizia nel cambiamento.
Io intanto frugo in borsa tra Big Babol dei miei figli scartate, Moment Act usciti dalla confezione,...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. 1. La mia borsa
  4. 2. Ciao, babbo. Barcarola
  5. 3. Violino o pianoforte
  6. 4. Il gioiellino
  7. 5. È successo
  8. 6. Voci
  9. 7. La linea d’ombra
  10. 8. Chi sono? Sono un poeta
  11. 9. Tempo addietro
  12. 10. Tra un treno perso e l’altro
  13. 11. La mia Holly Hobbie
  14. 12. L’amore vero
  15. 13. Dalla Ghita
  16. 14. Roma dall’alto
  17. 15. Il mare a San Pietro
  18. 16. L’armadio dei segreti
  19. 17. In volo sopra il mondo
  20. 18. Gli anni buoni
  21. 19. Estati
  22. 20. Io da grande
  23. 21. Sara e Umberto
  24. 22. Umberto e Samuel
  25. 23. We Are The World
  26. 24. Riders of passionate lives
  27. 25. Da grandi
  28. Ringraziamenti
  29. Indice