CAPITOLO VENTUNO
Una settimana dopo
«Claudio, Claudio.»
Bea chiamava il suo collega senza ricevere risposta. Attraversò il piccolo corridoio che separava i loro uffici e piombò davanti alla sua scrivania. «Vorrei inviare un biglietto di ringraziamento a Charlotte e Anthony. Che ne pensi?»
Bea lo trovò con la testa china sul telefono e le cuffie sulle orecchie. Si rese conto che Claudio non aveva sentito nemmeno una parola di quello che aveva detto.
Girò intorno alla scrivania e gli sfilò le cuffie. «Tra un po’ verrà Adele in persona a chiederti i diritti d’autore, se non la smetti di ascoltare Someone Like You.»
«È che un altro come lui non lo trovo, mentre lui mi dimenticherà con la velocità di un fulmine.»
«Allora smettila di fissare quel telefono e chiamalo.» Bea si sedette sulla scrivania a braccia conserte in attesa di una risposta.
«No, non lo chiamerò. Una telefonata non cambierebbe la situazione e non accorcerebbe la distanza.» Claudio sospirò allontanando il cellulare.
«Forse non dovrei ringraziarli, gli sposi, perché in fondo dopo Positano ho due collaboratori col cuore infranto. A proposito, hai notizie di Ginevra? È ancora malata?» chiese Bea.
«Tu non puoi parlare» disse Claudio eseguendo un mezzo giro con la sedia per posizionarsi davanti a lei. «Siete fastidiosi, tu e il tuo anello che fa più luce della cometa di Halley.» E con un gesto della mano le spostò la mano sinistra.
«Oh! Sei solo una vecchia zitella invidiosa, ma ti voglio bene lo stesso.» Bea si slanciò in avanti per abbracciarlo e scoppiarono entrambi a ridere.
Il fragore delle loro risate fu interrotto da un frenetico calpestio di tacchi che avanzavano verso l’ufficio di Claudio.
Dopo pochi secondi entrò Ginevra, eterea, avvolta in un cappotto bianco. Nonostante il tempo grigio e umido non aveva un capello fuori posto, ed era l’unica che riuscisse a portare i collant chiari senza sembrare una suora, pensò Bea.
Quell’aspetto così curato però non celava la malinconia che traspariva dai suoi occhi. Aveva reagito meglio quando era stata mollata da Gianguido all’altare.
Il giorno dopo il rientro da Positano aveva comprato una bottiglia di vino francese e si era presentata a casa sua. Il vino scorreva nei calici insieme ai dettagli della storia con Carl. Ginevra le aveva raccontato di quello che aveva sentito la mattina del matrimonio e dei suoi sentimenti per Carl. «Possibile che una persona che conosci da così poco tempo possa entrarti nell’anima? Ci sono persone che non ci riescono per una vita intera» aveva commentato.
Bea aveva ascoltato e aveva fatto forza all’amica, ripromettendosi che sarebbe andata a fondo della vicenda.
«Ehi, miss Corneliani, sei di ritorno dalla Fashion Week?» la accolse Claudio abbracciandola.
«Ciao, ragazzi, come va?» chiese lei sorridendo.
«Uhm, lei non considerarla, e se ti fa vedere l’anello fingiti interessata» ironizzò Claudio, che aveva preso Ginevra per la vita e l’aveva fatta sedere davanti alla sua scrivania.
Ginevra scoppiò in una fragorosa risata. «Sei sempre il solito, per questo ti voglio così bene.» Gli sorrise e gli pizzicò dolcemente la guancia. Proruppe in un sospiro e terminò la frase. «Per questo mi mancherai.»
Nella stanza calò il silenzio.
«Che vuol dire che ti mancherà ?» chiese Bea.
«Sono venuta a parlarvi. Ci ho pensato tanto e ho deciso di prendere in mano la mia vita. Lascio Milano. Il mese prossimo mi trasferirò a Parigi. Mi sono iscritta a un corso di fashion management e ho già trovato lavoro come consulente d’immagine.»
Finalmente era determinata: la Ginevra remissiva degli ultimi mesi era uscita di scena, rifletté Bea. Le andò incontro e l’abbracciò.
«Se è questo quello che vuoi, io ti sostengo al cento per cento. Ci sarebbe solo un’ultima cosa che dovresti fare per me.»
«Lo farò senz’altro.»
«Non te lo chiederei se non fosse importante, ma c’è questo nuovo cliente che è molto esigente sullo styling del matrimonio. Dovresti incontrarlo tu. L’appuntamento è domani pomeriggio in un hotel in centro.»
«Dammi tutti i dettagli, me ne occuperò volentieri.»
«Bene» disse Bea. «Che ne dite di andare a pranzo fuori? Dobbiamo brindare a Parigi.»
Non era stata una buona idea andare in metro con un paio di scarpe tacco dodici e una gonna a tubo che limitava anche i movimenti più basilari. Dopo aver atteso un taxi per quaranta minuti, Ginevra si era arresa e aveva infilato le scale della fermata Conciliazione. L’umidità aveva creato una patina scivolosa a terra, e arrivare al Gran Luxury Hotel fu una vera impresa; in alcuni tratti le sembrò di pattinare, concentrata com’era a scansare la folla che transitava in zona Duomo all’ora di punta.
Prima di entrare nell’hotel rimirò la propria figura riflessa in una vetrina. I capelli erano ancora in piega. Merito dei consigli di Michela, pensò tra sé. I collant non erano smagliati e le scarpe asciutte. Trasse un lungo sospiro e si preparò ad affrontare il suo ultimo impegno per Nozze da Sogno. Non vedeva l’ora di trasferirsi a Parigi e lasciarsi tutto alle spalle. Non voleva più parlare né di Gianguido né di Carl, e avrebbe potuto farlo solo in un posto nuovo, dove nessuno la conosceva.
Il Grand Luxury Hotel era un albergo di design, tra i più lussuosi in città . Attraversò la hall costellata di mobili d’acciaio, imboccò un lungo corridoio con il pavimento industriale grigio fumo e varcò la soglia del bar, dove l’attendeva il signor Bramanti. Bea le aveva confermato tutti i dettagli la mattina stessa, dopo aver sentito il cliente.
«Lo riconoscerai facilmente» le aveva detto Bea fornendole una descrizione sommaria dell’uomo.
Si guardò intorno: nel bar c’era solo una persona. Si trattava di un uomo piuttosto alto, seduto di spalle. Aveva i capelli sale e pepe e sotto il pullover blu a collo alto si intravedevano spalle ben definite e larghe.
Ginevra si ravviò i capelli con le mani e si diresse verso di lui.
«Signor Bramanti?» chiese, ma quando poté vederlo in volto sbarrò gli occhi e non riuscì a completare la frase. «Che ci fai tu qui?» Si sentì avvampare mentre la rabbia le montava dentro. Il signor Bramanti non era altri che Carl.
«Ho bisogno di parlarti.»
«Che scherzo è questo? Bea me la paga.» Con un gesto pieno di stizza si girò per lasciare il bar.
Carl allungò il braccio e le bloccò il polso. «Aspetta» disse tirandola a sé.
Ora erano vicinissimi. Quel contatto risvegliò in Ginevra tutte le sensazioni che aveva provato a Positano, sepolte sotto un mare di lacrime. «Ti ho già detto che non ho più niente da dirti» sibilò.
«Io ho tanto da dirti e ho chiesto aiuto a Bea, non arrabbiarti con lei.»
«Non hai proprio niente da dirmi che io non sappia già .» Si divincolò dalla sua presa e si sedette di nuovo sullo sgabello.
«So quello che hai sentito quella mattina. Ti sei fatta un’idea sbagliata.»
«Davvero? Vuoi dire che forse non è vero che sei ancora innamorato di tua moglie e che ti concedi solo delle scappatelle?»
«Non nego di nutrire ancora dei sentimenti per Gwen, ma ormai sono andato avanti. Lei sarà per sempre importante per me, ma sono passati cinque anni dalla sua morte e sono rassegnato.»
«E hai fatto tutta questa strada solo per dirmi questo?»
Affondare di nuovo in quegli occhi di ghiaccio fu un pugno allo stomaco. Erano limpidi come il mare di Positano. Ripensare ai pochi momenti che avevano trascorso insieme fu una stilettata in pieno petto.
«No. Sono venuto a dirti che non sono mai stato pronto a rifarmi una vita fino a quando non ho conosciuto te.» Carl si sporse in avanti e le prese di nuovo la mano. Iniziò ad accarezzarla come se stesse toccando qualcosa di prezioso. Quel tocco la fece tremare.
«Non ti sei ribellato quando ti ho scaricato la mattina del matrimonio» ribatté Ginevra, mentre il muro di difese che aveva eretto andava sgretolandosi.
«Lo so. Ma credevo che quella fosse la tua volontà .» Carl si alzò in piedi e si avvicinò a lei. «Ho continuato a pensare a te giorno e notte» proseguì appoggiandole una mano sul volto di porcellana, «poi ho capito che quando l’amore arriva non devi lasciartelo scappare.»
Ginevra schiuse leggermente le labbra e sentì il profumo di Carl sempre più vicino. Quel semplice tocco l’aveva mandata in estasi.
«Quindi io non sono come tutte quelle che cacci la mattina seguente?»
«Sei stata la prima donna con cui ho dormito dopo cinque anni» mormorò lui baciando le labbra di Ginevra, che si abbandonò tra le sue braccia.
«Ti amo, Ginevra Corneliani» sussurrò Carl staccandosi da lei ...