
eBook - ePub
La bottega di magia
Un neurochirurgo alla scoperta della via segreta del cuore
- 280 pagine
- Italian
- ePUB (disponibile sull'app)
- Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub
Informazioni su questo libro
Con un padre alcolizzato e una madre invalida, Doty ha vissuto la propria infanzia sulla strada. A dodici anni, nel retro di una piccola bottega di magia, un'anziana e misteriosa signora gli svela il segreto della felicità , salvandogli la vita. Gli insegna una serie di esercizi miracolosi, che hanno il potere di alleviare il dolore e rivelare le sue aspirazioni più profonde. In cambio, gli chiede solo di trasmettere le sue tecniche a chi ne ha bisogno: "Aprire il proprio cuore può essere doloroso, ma è l'unico dono che possiamo farci l'un l'altro". Doty dedicherà gran parte delle sue ricerche a cercare di capire cos'è successo in quel retrobottega, e a riflettere su come con la sola "intelligenza del cuore" possiamo trasformare le nostre vite. Grazie agli strumenti delle neuroscienze e alla sua storia personale di resilienza, esplora la forza dell'autocontrollo, della concentrazione e della visualizzazione, per insegnarci concretamente a sviluppare il potere magico che ognuno di noi ha dentro di sé.
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Informazioni
Prima parte
Nella bottega di magia

1
Magia vera
Lancaster, California, 1968
Il giorno in cui mi accorsi di non avere più il pollice era iniziato come qualsiasi altro in quell’estate tra la seconda e la terza media. Passavo il tempo a vagare in bicicletta per la città , anche se a volte faceva così caldo che il manubrio ardeva come un fornello acceso. Avevo sempre in bocca un sapore di polvere, secco e pungente come gli arbusti e i cactus che lottavano per sopravvivere sotto il sole cocente del deserto. La mia famiglia non era ricca e io spesso avevo fame. Non mi piaceva avere fame. Non mi piaceva essere povero.
L’unico evento degno di nota nella storia di Lancaster era stato il superamento della barriera del suono da parte di Chuck Yeager alla vicina base aeronautica di Edwards, una ventina di anni prima. Gli aerei sorvolavano la città tutto il giorno, per i collaudi e l’addestramento dei piloti. Mi domandavo come doveva essersi sentito Chuck Yeager ai comandi del Bell X-1 a velocità Mach 1 mentre compiva la sua impresa. Quanto doveva essergli sembrata piccola e triste Lancaster da lassù, a quattordicimila metri di altezza, mentre sfrecciava a una velocità ritenuta impossibile. Sembrava piccola e triste anche a me, da soli trenta centimetri da terra, con i piedi sui pedali della bici.
Quella mattina mi ero accorto che il pollice non c’era più. Sotto il letto conservavo una scatola di legno che conteneva i miei tesori più preziosi: un quadernetto con i miei schizzi, qualche poesia segreta e un’accozzaglia di appunti sulle più strambe curiosità che avevo scoperto, per esempio, che ogni giorno nel mondo vengono rapinate venti banche, che le lumache possono dormire per tre anni di fila, che nello Stato dell’Indiana è illegale dare sigarette alle scimmie.
Nella scatola c’era anche una vecchia copia di Come trattare gli altri e farseli amici di Dale Carnegie, con l’angolo piegato in corrispondenza della pagina che elencava i sei modi per farsi benvolere.
Li sapevo a memoria.
1. Interessatevi sinceramente agli altri.
2. Sorridete.
3. Ricordate che per l’altro il suono più importante e più dolce che c’è è il suo nome.
4. Siate buoni ascoltatori, incoraggiate gli altri a parlare di se stessi.
5. Scegliete argomenti interessanti per chi vi sta di fronte.
6. Fate in modo che gli altri si sentano importanti e cercate sempre di ottenere questo risultato con la massima naturalezza e sincerità .
Quando parlavo con qualcuno mi sforzavo di attenermi a quelle regole, ma sorridevo sempre a bocca chiusa perché da piccolo ero caduto battendo il labbro superiore sul tavolino del salotto e mi erano caduti gli incisivi da latte. A causa di quell’incidente uno dei denti davanti mi era cresciuto storto e marrone. I miei genitori non avevano i soldi per farmelo curare. Mi vergognavo di quel dente scuro e storto, quindi cercavo di tenere sempre la bocca chiusa.
Oltre al libro, nella scatola di legno c’erano tutti i miei trucchi di magia. Un mazzo di carte segnate, alcune monetine truccate da cinque centesimi che potevo trasformare in pezzi da dieci, e l’oggetto più prezioso in mio possesso: un mezzo pollice di plastica in cui si poteva nascondere un foulard di seta o una sigaretta. Quel libro e i trucchi magici erano molto importanti per me: erano regali di mio padre. Dopo molte ore di esercizio avevo imparato a tenere la mano in modo che il pollice sembrasse mio e a infilarci dentro il foulard o la sigaretta senza dare nell’occhio, per far credere che fossero spariti per magia. Riscuotevo grande successo con amici e vicini di casa. Ma quel giorno il pollice non c’era. Svanito nel nulla. Che seccatura.
Mio fratello non era in casa, tanto per cambiare, ma immaginai che l’avesse preso lui o che almeno sapesse che fine avesse fatto. Non avevo idea di dove passasse le giornate, ma decisi di prendere la bici e di andare a cercarlo. Quel pollice era la cosa più preziosa che avessi. Dovevo riaverlo indietro. Pedalai lungo la Avenue I, una zona in cui non passavo spesso in bici perché, a parte quelle file di negozi, c’erano soltanto campi, erbacce e reti metalliche per un chilometro e mezzo. Vidi un gruppo di ragazzi più grandi davanti al supermercato, ma constatai con sollievo che mio fratello non era con loro. Di solito, se lo trovavo in mezzo agli altri significava che lo stavano picchiando e avrei dovuto fare a botte con qualcuno per difenderlo. Aveva un anno e mezzo più di me, ma era più minuto, e ai bulli piace prendersela con chi è più debole. Accanto al supermercato c’era un ottico, e poco oltre una bottega che non avevo mai visto: il Cactus Rabbit Magic Shop. Mi fermai sul marciapiede e guardai attraverso il parcheggio. La facciata era composta da cinque vetrate con una porta sulla sinistra. Il sole si rifletteva sulle vetrine sporche e non riuscivo a vedere se ci fosse qualcuno dentro, ma mi avvicinai con la bici a mano, sperando che fosse aperto. Chissà se vendevano pollici di plastica e quanto costavano. Non avevo soldi, ma potevo comunque dare un’occhiata. Appoggiai la bici a un palo di fronte alla bottega e guardai i ragazzi davanti al supermercato. Non parevano essersi accorti di me né della mia bici, quindi la lasciai lì e spinsi la porta d’ingresso. All’inizio sembrava bloccata, poi, come per un colpo di bacchetta magica, si aprì senza difficoltà . Entrando sentii trillare un campanello.
La prima cosa che vidi fu un lungo bancone di vetro ingombro di mazzi di carte, bacchette magiche, bicchieri di plastica e monete dorate. Addossati alle pareti c’erano pesanti casse nere, di quelle che si usano per i giochi di prestigio, e grandi scaffali strapieni di libri sulla magia e l’illusionismo. C’erano una ghigliottina in miniatura in un angolo e due scatole verdi per il trucco della persona segata in due. Una donna di mezz’età dai capelli castani e mossi con gli occhiali calati sulla punta del naso stava leggendo un libro tascabile. Sorrise continuando a leggere, poi si tolse gli occhiali, alzò la testa e mi guardò con un interesse che nessun adulto mi aveva mai dimostrato.
«Mi chiamo Ruth» disse. «E tu?»
La sua espressione era così cordiale, e gli occhi così gentili e di un marrone così caldo, che non riuscii a non ricambiare il sorriso, nonostante il dente storto.
«Jim» risposi. Il mio secondo nome è Robert, e fino a quel momento tutti mi avevano sempre chiamato Bob. Ma a quella domanda, non so perché, risposi «Jim». E così mi sarei chiamato per il resto della vita.
«Be’, Jim, sono molto contenta che tu sia venuto.»
Non sapevo che cosa dire, e lei continuava a fissarmi negli occhi. Alla fine sospirò, ma in modo più felice che triste.
«Come posso aiutarti?»
Ebbi un attimo di vuoto mentale. Non ricordavo più perché fossi entrato in quella bottega e mi sentii come quando ci si dondola troppo all’indietro su una sedia e si rischia di cadere. La donna aspettò paziente, sorridendo ancora, finché non trovai le parole per rispondere.
«Il mio pollice» dissi.
«Come, scusa?»
«Avevo un pollice di plastica, l’ho perso. Lei ne ha?»
Mi guardò e fece un’alzata di spalle, come se non capisse di che cosa stessi parlando.
«Per la magia. È un trucco. Sa, il pollice di plastica.»
«Ti svelo un piccolo segreto» disse la donna. «Non so niente di trucchi magici.» La guardai stupefatto: ero circondato da gadget e oggetti di scena di ogni genere. «La bottega è di mio figlio, che al momento non c’è. Sono qui a leggere aspettando che rientri da una commissione. Non so proprio niente sulla magia e sui pollici, devo ammetterlo.»
«Non fa niente. Tanto mi stavo solo guardando intorno.»
«Ma certo, fa’ pure. E dimmi se trovi quello che cerchi.» Scoppiò a ridere. Non ne capii il motivo, ma era una bella risata che mi fece sentire felice, chissà perché.
Mi aggirai per la bottega osservando le pile di carte magiche, il materiale di scena e i libri. C’era persino una teca piena di pollici di plastica. Sentivo gli occhi della donna su di me, sapevo che mi stava fissando, ma non come il negoziante dell’alimentari sotto casa nostra, che mi piantava sempre addosso i suoi occhi sospettosi, nella convinzione che volessi rubare qualcosa.
«Vivi qui a Lancaster?» mi chiese Ruth.
«Sì, ma dall’altra parte della città . Ero venuto qui a cercare mio fratello, ho visto questa bottega e ho deciso di entrare.»
«Ti piace la magia?»
«La adoro» risposi.
«E perché?»
Volevo dire soltanto che la trovavo affascinante e divertente, ma mi uscì di bocca tutt’altro. «Mi piace potermi esercitare e diventare davvero bravo in qualcosa, mi piace sentire di avere il controllo. Che il trucco funzioni oppure no dipende solo da me. Non ha importanza cosa dicono gli altri, cosa pensano o cosa fanno.»
Ruth tacque per qualche istante, e mi vergognai subito di quella confessione.
«Capisco che cosa intendi» disse poi. «Parlami del trucco del pollice.»
«Be’, infili questo pollice di plastica sopra il tuo e il pubblico crede che sia quello vero. Devi nasconderlo un po’, perché se lo guardi bene si capisce che è finto. Dentro è vuoto, e lo puoi spostare sul palmo dell’altra mano, così.» Mi esibii nel gesto classico del prestigiatore, facendo scorrere le dita le une sulle altre. «Senza farti vedere sposti la punta nell’altra mano, dopodiché ci puoi infilare dentro un piccolo foulard o una sigaretta, poi fai di nuovo questo gesto e rimetti il pollice finto su quello vero. Ora c’è dentro la cosa che hai nascosto, e sembra che l’hai fatta scomparire per magia. Oppure puoi usarlo nel modo opposto, per far apparire qualcosa dal nulla.»
«Ho capito» disse Ruth. «E da quanto conosci questi trucchi?»
«Da qualche mese. Mi esercito ogni giorno, a volte per pochi minuti e a volte per un’ora. Ma tutti i giorni. All’inizio era molto difficile, anche con il manuale. Ma poi diventa sempre più facile. Ci riuscirebbe chiunque.»
«Mi sembra un buon trucco, ed è bello sapere che ti eserciti, ma sai perché funziona?»
«In che senso?»
«Perché secondo te questo trucco funziona? Mi hai detto che si vede benissimo che il pollice è finto, e allora perché la gente ci casca?»
All’improvviso si era fatta molto seria, e aveva proprio l’aria di volere che le insegnassi qualcosa. Non ero abituato a sentirmelo chiedere, tantomeno da un adulto. Ci pensai su per un momento.
«Forse funziona perché il prestigiatore muove le mani con tanta destrezza che riesce a ingannare la gente. È importante distrarre gli spettatori durante un gioco di magia.»
Rise. «Distrarre. Ecco, perfetto. Sei molto saggio. Vorresti sapere perché secondo me il trucco funziona?» Aspettò la mia risposta: di nuovo mi sembrò strano che un adulto volesse un permesso per dirmi qualcosa.
«Certo.»
«Secondo me funziona perché le persone vedono solo quello che pensano ci sia, e non quello che c’è davvero. Questo trucco del pollice funziona perché la mente si comporta in modo strano: vede quello che si aspetta di vedere, cioè un vero pollice, quindi lo vede. Il cervello, per quanto indaffarato possa essere, in realtà è molto pigro. Hai ragione quando dici che la gente si distrae molto facilmente. Ma non per i gesti delle mani. Spesso le persone che assistono a un gioco di prestigio non sono davvero lì. Ripensano a qualcosa che hanno fatto ieri, o si preoccupano di ciò che potrebbe succedere domani, quindi non sono concentrate sullo spettacolo: come potrebbero vedere il pollice di plastica?»
Non capivo bene cosa stesse dicendo, ma annuii. Mi ripromisi di rifletterci in seguito. Mi sarei ripetuto le sue parole per coglierne il senso.
«Non fraintendermi: credo nella magia, ma non in quella basata su trucchi, trabocchetti e mano lesta. Quella che mi interessa è di un altro tipo. La conosci?»
«No, ma sembra bella» risposi. Volevo che continuasse. Mi piaceva sentirmi coinvolto in una vera conversazione. Mi sentivo importante.
«Sai fare qualche trucco con il fuoco?»
«Be’, il trucco del pollice si può fare anche con una sigaretta accesa, ma non ci ho mai p...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Introduzione. Le cose belle
- Prima parte ~ Nella bottega di magia
- Seconda parte ~ I misteri del cervello
- Terza parte ~ I segreti del cuore
- Ringraziamenti
- Indice