Perla del deserto
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Perla del deserto

  1. 480 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Perla del deserto

Informazioni su questo libro

Miranda, pittrice surrealista americana, vive da anni in Mazrooq, paese immaginario del Medio Oriente, dove si è trasferita quasi per gioco da Seattle. Conquistata dal luogo e dal suo popolo ha dato vita a una scuola di disegno per un gruppo di donne musulmane. Un giorno, nella medina della città, questa trentenne selvatica e coraggiosa incontra Finn, l'ambasciatore inglese, ed è l'amore a prima vista che cambia la vita. Miranda è così accolta nella gabbia dorata della rappresentanza diplomatica: l'ambasciata è bellissima, luogo di privilegi immenso e perfetto dove potersi dedicare totalmente alla pittura, ma è anche un mondo di divieti, convenzioni, etichette ferree, costante sorveglianza. Col tempo, rinunciare alla libertà per amore di Finn le pesa meno, soprattutto dopo la nascita della piccola Cressida. Quel che però Miranda non immagina è che quella poca libertà che le è rimasta stia per svanire del tutto: rapita durante un'escursione con due amiche, viene segregata in un accampamento piantato tra colline aride e isolate, sotto la sorveglianza di un gruppo di ribelli. Sarà la comparsa di una piccola orfana a ribaltare ogni ruolo: da prigioniera a madre adottiva, Mira cercherà un nuovo senso al proprio dolore. Nato dall'esperienza di vita dell'autrice, Perla del deserto è un romanzo trascinante, costruito su un fitto gioco di flashback e cambi di prospettiva, che offre un punto di vista femminile sul Medio Oriente e sui rapporti con l'Occidente, mentre sullo sfondo si susseguono gli scenari suggestivi del mondo arabo e dei suoi contrasti.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2016
Print ISBN
9788817083836
eBook ISBN
9788858683279

Parte seconda

GENNAIO 2007
Miranda
Con le buste della spesa in mano, svoltò in un vicolo di ciottoli senza nome della Città Vecchia. Stava scendendo il crepuscolo, e per poco non travolse Finn. Lui se ne stava in piedi in mezzo alla strada, un’isola in mezzo al fiume di umanità che gli scorreva tutt’intorno, e conversava con un mazrooqi in uniforme. I ragazzini gli giravano attorno infastiditi coi loro carretti carichi di manghi, mentre donne dall’aria ombrosa si affrettavano verso le case in pietra calcarea lì intorno. In una città di uomini vestiti di bianco, lui indossava un completo gessato con una cravatta a girasoli. Difficile non notarlo.
Miranda camminava con gli occhi fissi al selciato, un po’ per evitare gli sguardi degli uomini, un po’ per non slogarsi una caviglia sull’acciottolato sconnesso. Le cinque buste di plastica piene di melagrane, cipolle, pomodori e arance cominciavano a segarle i polsi, perciò era ansiosa di arrivare a casa.
Vide Finn appena in tempo, ma quando uno dei sacchetti oscillando andò a sbattergli contro una gamba l’uomo accanto a lui sobbalzò e infilò una mano sotto la giacca.
«Mi scusi» disse Miranda, curiosa di chi fosse il tizio che veniva a fare spese nei mercati della Città Vecchia in completo gessato. «Spero che non le vengano facilmente dei lividi.»
Lui rise. «No, però mi perdo facilmente, che poi è il motivo per cui sto in mezzo alla strada. Ha idea di dove sia il suq dell’argento? Cerco un regalo.» Parlava inglese. Inglese inglese. Anche se, prima di urtarlo con il suo carico di frutta assortita, le sembrava di averlo sentito parlare in arabo con il tizio che aveva accanto.
«È praticamente impossibile spiegarglielo. Le strade non hanno nome.» Sembrava deluso. «Però posso mostrarglielo. Se ha voglia di seguirmi nel labirinto.»
«Solo se poi promette di riportarmi fuori.»
«Mi chiami pure Arianna.»
«La cosa non è proprio rassicurante.»
«Teseo ne è uscito sano e salvo.»
«Ma era un uomo orribile. Questa storia mi rattrista ogni volta che la sento.»
Lo rattristava? Diventava triste per un mito greco? Che razza di uomo andrebbe in giro a confessare una cosa simile? Già le piaceva.
Miranda lanciò un’occhiata al mazrooqi che era rimasto alla sinistra di Finn e la guardava accigliato. Si sentì rabbrividire.
«Ho interrotto qualcosa? Stavate parlando…»
«Oh no. Mukhtar sta solo… Lui… be’, abbiamo tutto il tempo per parlare. Non si preoccupi per lui.»
Miranda aggiustò la presa intorno ai manici delle buste e si avviò. «Da questa parte.» Camminarono in silenzio per un po’, Miranda percepiva la presenza di Mukhtar alle loro spalle.
«Mi scusi, che maleducato» disse finalmente lui. «Mi chiamo Finn.»
«Miranda. Guida turistica delle celebrità.»
L’uomo sorrise. «Io non sono certo una celebrità.»
«La gente normale non va in giro con una guardia del corpo. Nemmeno quaggiù.»
«Guardie del corpo, per essere precisi. Oggi mi pare di averne una decina.»
Miranda si guardò intorno, ma riuscì a vedere solo Mukhtar. «Devono essere bravi.»
«Lo sono, sì.»
Miranda si voltò un istante a osservarlo. Capelli ricci castano chiaro, occhi color nocciola, fossette su entrambe le guance. «Allora, cos’è? Un attore filantropo, un oligarca russo, un ministro degli Esteri occidentale?»
«Nulla di tanto eccitante, temo.»
Miranda attese alcuni istanti, ma lui non aggiunse altro.
«Oh, andiamo. Davvero non me lo dice?»
«E perdere la mia aria di mistero? Mai.»
«Vuole arrivare al suq dell’argento o preferisce perdersi in un labirinto di viuzze contorte in cui passerà il resto dei suoi giorni?»
Lui ci rifletté un istante. «Faccio solo in modo di non sembrare vecchio e noioso prima ancora di poter parlare con lei.»
«Ma sta parlando con me, proprio adesso. Le do tempo finché non trova il suo regalo, ma non la riporto indietro se non mi dice chi è.»
«Affare fatto. Se anche lei fa lo stesso, s’intende.»
«Lo stesso?»
«Dirmi chi è lei.»
Miranda sorrise. «Faccio solo in modo di non sembrarle stramba e fricchettona prima ancora di poter parlare con lei.»
«D’accordo. Parliamo, allora.»
Gli fece fare la strada lunga. Le strade della Città Vecchia erano un tale labirinto che da solo non ce l’avrebbe mai fatta. Non voleva che la conversazione finisse. I sacchetti non le sembravano più tanto pesanti, la stanchezza era svanita. Si sentiva allegra e spigliata.
«Sapeva che la Città Vecchia è stata ricavata tutta dalla stessa formazione rocciosa? Se lei fosse un gigante, potrebbe sollevarla tutta insieme e usarla come centrotavola.»
«O come casa giocattolo per bambini.»
«Più come una città giocattolo.»
«Chissà quanto tempo c’è voluto. Sbozzarle una ad una.»
Finn allungò la mano verso il muro freddo accanto a lui. Lì intorno erano tutti simili, alti e inamovibili.
«Generazioni. Generazioni di persone per le quali non era importante vederle finite prima di morire.»
«Mi domando quand’è che l’abbiamo persa, quella pazienza.»
Miranda fece spallucce. «È uno dei motivi per cui detesto l’architettura moderna. Così frettolosa. Secondo me, dopo i romani è andato tutto a peggiorare. Guardo questa città, questa scultura millenaria, e poi guardo i nuovi condomini e la case di lusso che stanno costruendo nei sobborghi, e mi chiedo: sarebbe questo il progresso?»
«Dunque le piace questo posto.»
«Questa città mi ha stregata. Al punto che non riesco ad andarmene.» E come poteva andarsene da un posto che era esso stesso un’opera d’arte? Rispettava la cultura che aveva saputo creare una cosa del genere. Il Mazrooq aveva i suoi difetti, ma aveva quella città, e la preservava.
«Vedo che ha gusti rétro.»
«Medievali» rincarò lei. «Ma non in politica.»
«A quale politica si riferisce?»
«Non vorrà rovinarsi il pomeriggio, vero?»
Mentre camminavano, Miranda salutò diverse persone: vicini di casa, negozianti, professori dell’università cittadina.
«È chiaro che vive qui da un bel pezzo.»
«Sono quasi tre anni.»
«Sola?»
«Nemmeno una guardia del corpo.»
«Davvero coraggiosa.»
«Non sono una persona importante.»
«Per qualcuno deve pur esserlo.»
«Non più.» Non dopo che Vícenta se ne era andata, no davvero.
Era talmente assorbita dalla conversazione con Finn che solo dopo cinque o sei incroci si rese conto di vedere sempre gli stessi uomini agli incroci. Non portavano uniformi ma pantaloni con giacche e camicie a maniche lunghe invece del tradizionale thobe, e tutti avevano grossi zaini dall’aria sospetta. Alcuni camminavano davanti a loro, e di tanto in tanto sparivano nella folla per ricomparire all’incrocio successivo. Dato che era lei a condurre Finn, si domandò come facessero a sapere che strada prendere. Mukhtar era rimasto per tutto il tempo al fianco di Finn. E ce ne erano altri che li seguivano. La colpì l’eleganza di quella coreografia.
Quando si immersero nella bottega preferita di Miranda nel suq dell’argento, Finn si mise subito a chiacchierare in un arabo fluente col commesso, un omino minuscolo, facendo domande sui gioielli in vendita, sul tempo, sulla città. Sembrava un gigante in quell’antro piccolo e buio, dove stava chino per non sbattere la testa contro il soffitto. Miranda era ammirata dalla sua capacità di emanare fascino anche in quella goffa posizione; dopo qualche minuto, il commesso sparì dietro una tenda di perline di plastica e riemerse dal retrobottega con due bicchierini di tè e un piatto di biscotti. «Sembra di casa, qui» gli disse Miranda sorseggiando il tè.
Finn sorrise, passandosi tra le dita un filo di perline. «Io sono di casa dappertutto.»
Dopo che lei l’ebbe aiutato a scegliere una collana di coralli e argento con orecchini abbinati per sua zia, lui le domandò dove abitasse. Gli indicò un arco di pietra in fondo a un vicolo in discesa, più o meno nella direzione di casa sua. «Si gira a sinistra laggiù, poi a destra dopo la pasticceria, poi due volte a sinistra, a destra, dopodiché si arriva in una piazza col miglior fasooleah della città, poi di nuovo a sinistra e poi dritto fino a un cancello ricoperto di buganvillea. È cordialmente invitato per un tè.»
Non era stata sua intenzione invitarlo a casa, ma le parole le erano uscite di bocca da sole. Si può invitare per un tè un uomo con dieci guardie del corpo? Non lo sapeva. Sarebbero venuti anche loro? Le sarebbe servita una teiera più grande.
«Temo che non sia possibile. Oggi è la giornata nazionale di non so cosa, e non posso sottrarmi a un impegno in serata. Un’altra volta, magari. Ecco.» Infilò la mano nella tasca della giacca. «Il mio biglietto da visita. Sono qui solo da una settimana, sono certo che lei ha ancora molto da insegnarmi. Inoltre lei è l’unica che sia riuscita a farla in barba alla mia squadra e ad avvicinarsi tanto da ferirmi.»
«Non l’ho ferita, è stata la melagrana. Sa che qui il possesso di armi non è adeguatamente regolamentato. E in ogni caso, non mi pare stia zoppicando.»
«Sto zoppicando dentro. Ora devo andare. I ragazzi cominciano ad agitarsi.» Le diede la mano, che era calda, sottile e asciutta, e sparì nella folla.
Miranda abbassò gli occhi sul biglietto da visita che aveva in mano. FINN FENWICK, AMBASCIATORE BRITANNICO.
Quando arrivò, non c’era nessuno in casa. «Madina?» chiamò. «Mosi?» Niente. Nessuno. Bene. Mise su l’acqua per il tè e abbandonò sul bancone i sacchetti della spesa. Le melagrane erano grosse e gialle, con lucide macchie rosa sui lati. Se ne fece rigirare una fra le mani, sentendo i semi che premevano attraverso la buccia. Se Madina fosse stata in casa, avrebbe avuto la tentazione di raccontarle di Finn, invece Miranda voleva tenere tutto per sé quel pensiero ancora per un po’.
Da quando Vícenta se ne era andata, la casa era diventata un crocevia di anime perdute e vaganti. Non per sua volontà. Le era sempre piaciuto vivere sola; non cercava coinquilini. Erano loro a bussare alla sua porta, come gatti randagi. Adesso non poteva nemmeno immaginare la propria vita senza quel flusso continuo di amici in casa, giorno e notte.
Aveva conosciuto Madina in palestra. Era una palestra per donne dei quartieri ricchi, e Miranda ci andava per la prima (nonché ultima) volta. In quel Paese le palestre non è che andassero proprio di moda, e le poche che esistevano oltre a quelle degli alberghi di lusso avevano attrezzature ridotte all’osso. Aveva provato la cyclette e il vogatore, entrambi rotti, poi si era accontentata di uno dei due tapis roulant. Erano le uniche macchine funzionanti della palestra, oltre a una piattaforma vibrante che, a detta del personale, ti scrollava via il grasso dal corpo.
Stava correndo a velocità moderata, osservando rapita una donna corpulenta con le pieghe delle cosce che rimbalzavano scosse dalle vibrazioni della piattaforma, quando Madina era salita sul tapis roulant di fronte al suo. Anche se Miranda non stava guardando in quella direzione, era stato difficile non notarla. I folti capelli neri non erano coperti, ma legati in una coda di cavallo. Era molto scura, color caffè, con zigomi pronunciati e occhi enormi. Era bellissima. Ma non fu questo a colpire Miranda appena la vide. No, la prima cosa che notò fu che la ragazza indossava una maglietta nera con la scritta I’M A VIRGIN a caratteri bianchi. Una vecchia maglietta. Non era una cosa che si vedeva tutti i giorni per le strade di quella o di altre città musulmane.
Fu lei a rivolgere la parola a Miranda per prima. «Come funziona quest’affare?» disse in un inglese perfetto. «Non voglio mica fare ginnastica davvero.»
«È una palestra» puntualizzò Miranda. «La gente ci viene per fare quello. La piattaforma è un discorso a parte» disse indicando la donna vibrante.
La ragazza si mise a ridere. «Io ci sono venuta per incontrare delle ragazze. Non conosco nessuno.» Miranda ripensò fugacemente a quando anche lei andava in palestra sperando di incontrare ragazze, ma sospettava che le intenzioni della sconosciuta fossero meno peccaminose. Ma non si poteva mai sapere.
Ansimando lievemente (la città è a quasi duemilacinquecento metri sopra il livello del mare, perciò anche uno sforzo minimo fa venire il fiatone), Miranda le spiegò come impostare la macchina e poi si presentò.
«Madina» disse la ragazza. «In arabo vuol dire città.»
Aveva diciannove anni ed era arrivata solo nove giorni prima dal Kenya, dove viveva con la madre somala e il padre italiano. Al momento aveva una stanza in affitto da una famiglia della Città Vecchia, ma vivere con i mazrooqi la inibiva. «Voglio solo divertirmi un po’» disse. Non era il motivo più frequente per cui la gente veniva in Mazrooq. Ma subito aggiunse: «Sono venuta anche per capire meglio la religione islamica. O almeno è quello che ho raccontato ai miei». Aveva cominciato a frequentare le lezioni all’università locale, e anche lì già si annoiava. «Gli insegnanti sono un vero strazio. Così seriosi! E poi, tutto quel nero. Almeno noi musulmani africani un po’ di stile ce l’abbiamo. Se ti copri i capelli, puoi metterti tutti i colori che vuoi.»
Parlava come un’adolescente americana, anche se non aveva mai messo piede fuori dall’Africa. Parlava swahili, somalo, italiano, arabo e inglese. Tutti in modo fluente. Miranda si sentì un vero asino a conoscere solo inglese, francese e qualche parola di arabo. Gli americani sono un disastro in fatto di lingue straniere.
Uscirono dalla palestra insieme, la maglietta scandalosa di Madina nascosta sotto le pieghe abbondanti di un abaya, e Miranda le scrisse il suo numero di telefono e le diede delle indicazioni di massima su come raggiungere casa sua. Con questa storia delle strade senza nomi, bisognava arrangiarsi usando come punti di riferimento le numerosissime moschee.
Due giorni dopo, tornando a casa dalla piscina dell’Intercontinental, trovò un biglietto di Mosi, un amico keniota che lavorava al ministero dell’Istruzione e che si era trasferito da lei dopo che Vícenta era andata via. Tanto perché tu lo sappia, ora abbiamo un gatto, aveva scritto, e una figlia adolescente.
Madina aveva trovato questo batuffolo bianco che zoppicava in una stradina vicina a casa loro. «È piccola» la supplicò. «Non occuperà molto spazio.» In effetti era talmente piccola da stare nel palmo scuro della mano di Madina.
«Non è questo il problema.» La Città Vecchia era piena di gatti randagi, quasi tutti con la scabbia e un mucchio di altre malattie. Quella micina dall’aria innocente poteva avere in corpo batteri e virus sufficienti a uccidere tutti i presenti.
«Po...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Parte prima
  4. Parte seconda
  5. Epilogo
  6. Ringraziamenti
  7. Indice