La scuola cattolica
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La scuola cattolica

  1. 1,290 pagine
  2. Italian
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La scuola cattolica

Informazioni su questo libro

PREMIO STREGA 2016.
EDIZIONE SPECIALE DIGITALE: contiene la versione integrale dell'ultimo quaderno di Cosmo che costituisce la parte nona di questo romanzo. Da questo libro il film con Benedetta Porcaroli, Valeria Golino, Riccardo Scamarcio, Jasmine Trinca e Fabrizio Gifuni. Roma, anni Settanta: un quartiere residenziale, una scuola privata. Sembra che nulla di significativo possa accadere, eppure, per ragioni misteriose, in poco tempo quel rifugio di persone rispettabili viene attraversato da una ventata di follia senza precedenti; appena lasciato il liceo, alcuni ex alunni si scoprono autori di uno dei più clamorosi crimini dell'epoca, il Delitto del Circeo. Edoardo Albinati era un loro compagno di scuola e per quarant'anni ha custodito i segreti di quella "mala educación". Ora li racconta guardandoli come si guarda in fondo a un pozzo dove oscilla, misteriosa e deforme, la propria immagine. Da questo spunto prende vita un romanzo poderoso, che sbalordisce per l'ampiezza dei temi e la varietà di avventure grandi o minuscole: dalle canzoncine goliardiche ai pensieri più vertiginosi, dalla ricostruzione puntuale di pezzi della storia e della società italiana, alle confessioni che ognuno di noi potrebbe fare qualora gli si chiedesse: "Cosa desideravi davvero, quando eri ragazzo?".
Adolescenza, sesso, religione e violenza; il denaro, l'amicizia, la vendetta; professori mitici, preti, teppisti, piccoli geni e psicopatici, fanciulle enigmatiche e terroristi. Mescolando personaggi veri con figure romanzesche, Albinati costruisce una narrazione potente e inarrestabile che ha il coraggio di affrontare a viso aperto i grandi quesiti della vita e del tempo, e di mostrare il rovescio delle cose.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2016
Print ISBN
9788817086837
eBook ISBN
9788858684023
Argomento
Literature

PARTE SETTIMA

Vergeltungswaffe

Capitolo I

Suonavano alla porta.
Suonavano.
Suonava il campanello della porta...
Mi riscossi, mi alzai dalla scrivania e andai ad aprire.
Era un piccolo prete dalla faccia onesta, i capelli rossi ben pettinati, lo sguardo limpido, la parlata nordica, venuto a impartire la benedizione pasquale alla casa.
Questa cerimonia mi imbarazza e se possibile la evito, non facendomi trovare in casa durante gli orari esposti nell’avviso che compare in portineria circa una settimana prima. Stavolta non ci avevo fatto caso.
Il prete chiese a bassa voce «Posso entrare?», e io non trovai alcuna ragione per dirgli di no. Restammo però nell’ingresso. «Sono padre Edoardo, piacere.» Stupore: padre Edoardo. Non avevo mai sentito di un prete che portasse il mio nome, suona... suona strano... più che Geremia o Roboamo.
Mi chiese chi altro abitasse nella casa e se tali ulteriori inquilini fossero presenti.
«No. Vivo solo.»
Ahimè.
«Capisco. Ma anche da soli può esservi felicità, serenità. E per questo preghiamo insieme noi due, intonando il Padre Nostro» e aprì le braccia tenendo i palmi delle mani rivolti verso l’alto, mentre io giunsi le mani intrecciando le dita, anche se temo che non si faccia più. Forse nessuno tranne qualche vecchietta oggi prega così. Mi sentii improvvisamente bambino, e chinai la testa, timoroso di non ricordare la preghiera, poi mi limitai a borbottarla, mentre padre Edoardo staccava le parole e le frasi in modo chiaro.
Terminato il Padre Nostro, il prete benedisse la casa spruzzando acqua santa a destra e sinistra, cioè, verso il mobile con l’Enciclopedia Treccani appartenuta a mio nonno e poi a mio padre e ora a me, quindi verso alcuni cartoni di vino accatastati lì per essere smaltiti.
Ero confuso e al tempo stesso contento che l’acqua santa arrivasse in casa mia, al momento giusto. Forse è sempre il momento giusto, non ve n’è mai uno sbagliato.
Padre Edoardo frugò nella sua cartella di cuoio nero. Mi porse un volantino con il programma delle funzioni pasquali in parrocchia. Non avendomici mai visto, forse immaginò che fossi un credente non praticante, o un cristiano pigro, o una pecorella smarrita o magari qualcuno traslocato da poco nel quartiere, oppure un ateo: e io non ero nessuna di queste cose e tutte queste cose insieme, al tempo stesso, ero. Immaginai che a quel punto mi avrebbe chiesto un’offerta per la benedizione, ma non lo fece, cosa che mi stupì e che apprezzai, pensando che toccava a me proporgliela in ogni caso. Mi toccai la tasca posteriore destra dei calzoni dove tengo le banconote ripiegate, non avendo mai posseduto un portafogli. Non so se il sacerdote si accorse del mio gesto per frenarlo oppure se avesse sul serio fretta, ma mi afferrò l’altra mano dicendo: «Sono terribilmente in ritardo e dunque devo scappare», scusandosi inoltre per l’insolito orario in cui si era presentato a casa mia.
E già, erano le otto e venti, ora di cena.
Fece scattare la fibbia della borsa e si congedò come avrebbe fatto uno scrupoloso professionista, un medico, per esempio, dopo una visita a domicilio.
Appena fu uscito tornai al computer e chiusi le pagine, accavallate, dei siti pornografici in cui stavo navigando quando aveva suonato il campanello. Quindi spensi il pc.
Il Venerdì Santo l’ho trascorso lavorando a una sceneggiatura. La storia che stavamo trattando era quella di un re il quale, morta la giovane moglie, si mette in testa la sciagurata e viziosa idea di sposare sua sorella: “carne della sua carne, fiato del suo fiato”. La ragazza, che si chiama Penta, si rifiuta, disgustata dalla proposta incestuosa. Ma il re non demorde. Vuole assolutamente farla sua...
«Se non ti frena il tuo onore di uomo, fallo almeno nel nome dell’affetto che ci lega fin da quando eravamo bambini.»
«Penta, è proprio questo che sogno, tutte le notti. Ed è per questo che ti desidero. Si tratta in fondo di tornare insieme come quando eravamo piccoli... giocare insieme, divertirci nello stesso letto... Solo, più stretti... un po’ più stretti... uno dentro l’altro, ecco tutto.»
Essendo stato respinto per l’ennesima volta, il re fa chiudere Penta in prigione, in una di quelle celle sotterranee chiamate “oubliette” (nome spaventoso) con una sola apertura sul soffitto da cui piove uno spiraglio di luce e che serve a calare il cibo per il prigioniero. La parte del corpo di Penta da cui il fratello è maggiormente attratto, in modo morboso, sono le mani: allora la ragazza, per non essere più desiderabile, se le fa tagliare da un servo...
La sera ho visto in tv la conclusione della seconda stagione di una serie ambientata ad Atlantic City, all’epoca del proibizionismo, tra uomini politici corrotti e gangster in ascesa. Malgrado abbondasse di nudi integrali e spietatezza, era condotta con molto acume nella costruzione della storia, con strepitosi attori e dialoghi, insomma quel genere di invidiabile prodotto commerciale girato e interpretato da dio. Ma l’episodio finale è una mattanza. Cercano di ammazzare il protagonista, Steve Buscemi, senza riuscirci, allora altri gangster volano in suo soccorso dando il via a una strage. I mitra a tamburo fiammeggiano nella notte. Sventramenti e fucilate in faccia. Un reduce della Grande Guerra, il cui volto è mascherato a metà per nascondere l’orrenda ferita che lo sfigura, penetra in un bordello e uccide sette persone per prelevare un bambino tenuto in custodia dalla nonna, eroinomane, che qualche puntata prima aveva ammazzato un suo amante, scelto apposta perché identico al figlio morto, annegandolo nella vasca da bagno, dopo averci scopato e averlo drogato con una dose mortale. Il vero cattivo di questa seconda stagione, che nelle puntate precedenti avevamo visto impegnato in ogni sorta di efferatezze (tra cui quella di decapitare a colpi di vanga un uomo sepolto fino al collo nella sabbia, perché colpevole di aver perso in mare un carico di whisky), muore pugnalato alla schiena mentre sta pisciando sulla spiaggia.
Così ho celebrato il mio Venerdì Santo. Con molto sangue. Finto. Il terzo giorno, Pasqua, volevo andare ad ascoltare la messa di padre Edoardo, ma per un equivoco di orario (era entrata in vigore l’ora legale), l’ho mancata.
Passa un anno a scrivere questo libro, e torna Pasqua, una Pasqua alta, quasi a fine aprile. Nessuno si spiega perché la Pasqua vagabondi in quel modo per la primavera.
E circa una settimana prima di Pasqua, si è di nuovo materializzato alla porta padre Edoardo, verso le sette e mezzo di sera, quando il portone dabbasso è chiuso, e se qualcuno suona a casa vuol dire che si trovava nel palazzo, qualcuno l’aveva fatto entrare, come succede coi promotori delle compagnie telefoniche, i testimoni di Geova e i volontari Unicef. Vedendo il bel viso onesto di padre Edoardo mi sono di colpo reso conto che era passato un anno, era passato un anno (diobuono, e io che cosa ho combinato?).
«Buonasera, caro signore, sono qui per la benedizione pasquale, non le dispiace se entro?»
«Certo, venga» gli dissi facendomi da parte e mi sentii felice del suo arrivo. Sostammo nell’ingresso, come la volta precedente. Per essere uno che conduce una missione pastorale, padre Edoardo appariva comunque imbarazzato della sua iniziativa. Più imbarazzato di me che ne ero il destinatario. Ebbi la sensazione che non si ricordasse di me, mentre io ricordavo vividamente il nostro incontro di un anno prima: del resto, non si può proprio dire che quella visita, che pure tanto mi aveva colpito sul momento, mi avesse spinto ad avvicinarmi alla sua parrocchia: in verità, varie volte mi ero recato a Sant’Agnese, ma sempre al baretto all’interno di quel meraviglioso complesso, tra le catacombe, la bocciofila, i campi di basket, sotto gli alberi, tra qualche tavolino di pensionati che parlano di politica con gli accenti del paese di origine o giocano a carte, e dove il gestore è un civilissimo vecchio con gli occhi azzurri.
A messa a Sant’Agnese ci andai solo per il funerale di mio padre, tanti anni fa...
(Non contano quei brandelli di liturgia a cui si assiste quando, volendo visitare una chiesa, si scopre che vi è in corso la funzione e allora ci si siede in una delle ultime panche...)
Comunque, alla messa di padre Edoardo, mai.
Quanti anni avrà? pensai, trentacinque? Ha l’aria di uno studente, anche se i suoi capelli sono grigi... o di quel biondo cenere così delicato e stinto da sembrare grigio.
La cenere, una cosa spenta, chiara, fredda, eppure il segno che, lì, c’è stato un fuoco.
Ma un anno fa, non aveva i capelli rossi? Possibile che mi confonda? O era invecchiato di colpo? «Se lei lo desidera, darei la benedizione.»
«Io...»
«Solo se vuole... me lo dica lei...»
«Io... io, padre, non sono credente. Ma forse...»
Non era chiaro nemmeno a me se quel “forse” si dovesse applicare alla mia affermazione di non credere in Dio, della qual cosa non sono affatto convinto. Per cui mi domando se sia possibile sostenere allo stesso tempo di non credere, ma anche di non credere di non credere, insomma, di non essere affatto convinto che Dio esista, ma tantomeno che non esista: non parlo del fatto in sé, che Lui esista o no, ma solo che io ci creda o non ci creda.
E allora? Ci credo o non ci credo?
Padre Edoardo sorrise, impietosito dalla scarsa baldanza che avevo messo nel proclamare il mio ateismo.
«Guardi che se non vuole, non ce n’è bisogno» disse il sacerdote, «siamo qui in amicizia...»
«Mi dica lei, padre...»
«Che cosa?»
Volevo che... volevo che lui mi dicesse... volevo che fosse lui a decidere se era il caso di benedire l’appartamento. In fondo, non basta, affinché una cosa venga fatta, che a crederci sia quello che la fa?
«Intendo dire... se lei pensa che abbia senso... cioè, benedire la casa di un non credente... allora facciamolo. Però me lo dica lei se è giusto... magari è assurdo.»
«Assurdo?»
Lo sguardo di padre Edoardo, non mi vergogno a dirlo, mentre mi poneva questa domanda, era angelico. Sul serio, mi sembrava costui la prima persona buona, seria, onesta, semplice, che incontravo da anni, senza ombre, senza secondi fini, persino priva di quella leggera ipocrisia che come un profumo pungente e un po’ stomachevole emana da chi si dedica esclusivamente al bene. Al bene altrui.
«Qualcuno vive in questa casa oltre a lei?»
Scossi la testa. La stessa domanda me l’aveva rivolta l’anno prima. Forse il prete immaginò che io volessi essere consolato di questa mia solitudine, e può darsi che il senso del mio scuotere la testa senza dir nulla fosse appunto questo. Ero confuso e soggiogato da quella presenza angelica. Non sopportavo, quasi, di trovarmi accanto a una persona virtuosa, ne ero ipnotizzato.
«Ci vengono i miei figli, ma mica tanto spesso...» aggiunsi, per precisare che non vivevo come un eremita, «qualche amico... la mia donna...»
Pensai che con quest’ultima informazione il mio ritratto di cattivo cristiano fosse completo. Ma so benissimo che è proprio di questa figura che i buoni sacerdoti, i buoni pastori, vanno alla ricerca, ne sono, per così dire, ghiotti. Padre Edoardo poteva fare eccezione? Sì, la fece. Non disse infatti nulla, né per portarmi dalla parte giusta né per lasciarmi dove stavo.
Sorrise in modo dolce.
«Be’, una casa, comunque sia, ha una personalità... e rispecchia quella di chi ci abita. Ha lo stesso spirito...»
«Guardi, io qui o altrove, per me è lo stesso.»
«Cioè?»
«Mi sento un ospite.»
Il piccolo sacerdote mi guardò stupito.
Forse pensava che stessi così male da approfittare di quella visita inattesa per lanciare un appello, una richiesta di soccorso. Forse pensò che fosse normale per uno come lui vivere nella solitudine della sua vocazione, ma non per uno come me che non l’aveva affatto, una vocazione. Perché questi figli, perché questa donna non vivevano insieme a me? Già, perché no? Me lo chiedevo anch’io. Quale ne sarebbe la ragione?
E perché mai costui mi dice, pensava forse il prete mio omonimo, perché mi dice di sentirsi ospite in casa sua, di essersi sentito un ospite in tutte le case che ha abitato?
«È strano» disse, «si direbbe che lei non sia attaccato a niente... è così strano... e secondo me non è vero.»
«No che non è vero, infatti» risposi scuotendo di nuovo la testa.
Sorrise appena.
«E comunque, questa casa degli abitanti, occasionali, come dice lei, ce li ha...»
«Sì, sì... abitanti occasionali.» Una perfetta definizione.
Esclamai allora, con una specie di improvvisa allegria, che aveva senso benedire la casa, in fondo, se non io direttamente, qualcuno avrebbe potuto riceverla, quella benedizione, anche solo passando qualche ora lì dove abitavo come un gerarca a riposo, o un professore troppo preso dai suoi astratti studi perché altri esseri umani avessero voglia di convivere con lui.
«E allora, benediciamo questa casa, vuole?» chiese padre Edoardo con quella domanda rituale che ha già avuto una risposta prima che venga formulata, come quando ci si sposa, e che però bisogna venga formulata lo stesso, occorre si stacchi come un suono preciso dalle labbra...
«Sì, lo voglio» dissi ed ero veramente felice che lui lo facesse, che mi benedicesse. Era una benedizione, ciò di cui aveva bisogno quel posto, sì, una benedizione.
Padre Edoardo tirò fuori dalla sua sottile borsa, che fino ad allora aveva tenuto sotto braccio come un impiegato che porta con sé i documenti da un ufficio all’altro, l’occorrente: un foglietto, con un’immagine antica stampata su un lato, che mi porse, e l’aspersorio. Quindi, fissando un certo angolo dell’ingresso di casa mia, tra una poltroncina di velluto rosso e il mobile massiccio con la Treccani, si fece il segno della croce, recitando «Nel nome del Padre, del Figlio... e dello Spirito Santo», con quella breve pausa prima di nominare il terzo ineffabile mistico personaggio. Non saprei se perché lui era così vicino a me, fianco a fianco, oppure per la formula che mi sarei sentito un verme se l’avessi lasciato solo a recitare, o per il gesto, che oggi fanno quasi soltanto i calciatori entrando in campo per sostituire un compagno esausto o infortunato, mi segnai anch’io, a gesti larghi, mormorando «Nel nome del Padre, del Figlio... e dello Spirito Santo», con un mezzo secondo di ritardo rispetto all’altro Edoardo.
And the three men I admire most
The Father, Son and the Holy Ghost
They caught the last train to the coast
The day... the music died...
«Sa, mi chiamo anche io Edoardo...» dissi quando il prete ebbe terminato.
«Ah! Ma davvero...!» Forse si era ricordato di me, della visita di un anno prima. Indicò il foglietto che avevo spostato dalla mano destra alla sinistra quando mi ero segnato, e ancora stringevo in maniera infantile, come aspettando ulteriori istruzioni. «Ci sono gli orari degli incontri di preparazione alla Pasqua... e poi delle funzioni pasquali, naturalmente.»
«Ma certo... grazie...» e guardai il foglietto, lo girai: sul retro era stampigliata una orazione, e tutto il resto.
«Be’, magari, verrò... cioè, ci vedremo... a una di queste...» dissi, desideroso di partecipare, di andarci davvero, ma al tempo stesso di non sbilanciarmi troppo, come quando mi invitano a una qualche manifestazione culturale, presentazioni di libri, mostre. «Se posso, se non sono fuori Roma... verrò senz’altro.» «Cercherò di fare un salto...»
Con una deliziosa diligenza da seminarista, che mi intenerì, sempre indicando il foglietto, in fondo, una riga in calce «... E comunque, se ci fossero delle variazioni o per essere sicuro» suggerì coscienzioso padre Edoardo, «può consultare il sito internet della parrocchia.»
Sicuro, il sito internet...
«Credo proprio che lo farò.»
Qualcosa mi diceva che non sarei andato.
E infatti resto come paralizzato per tutti i giorni che precedono la Pasqua, il Venerdì Santo non mi accorg...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Indice
  3. Frontespizio
  4. Parte Prima. Cristiani e leoni
  5. Parte Seconda. Flesh for Fantasies
  6. Parte Terza. Vittoria è farvi soffrire
  7. Parte Quarta. Lotta di interessi in un contesto di diseguaglianza
  8. Parte Quinta. Collettivo M
  9. Parte Sesta. La spalla mancante
  10. Parte Settima. Vergeltungswaffe
  11. Parte Ottava. Le confessioni
  12. Parte Nona. Cosmo
  13. Parte Decima. Come alberi piantati lungo il fiume
  14. Nota
  15. L’ultimo quaderno di Cosmo