
- 212 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Teorema Catherine
Informazioni su questo libro
Colin è un ex bambino prodigio, forse genio della matematica, forse no, che nella sua giovane vita è uscito con diciannove Catherine. E tutte l'hanno piantato. Così decide di inventare un teorema per prevedere l'esito delle relazioni d'amore, ed evitare di farsi spezzare il cuore per l'ennesima volta. Ma nella vita si incontrano più eccezioni che regole. E anche tante ragazze speciali che non si chiamano Catherine.
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Informazioni
Print ISBN
9788817088121eBook ISBN
9788858684306
John Green è il pluripremiato autore di romanzi in vetta alla classifica del “New York Times”. Tra i riconoscimenti ricevuti, la Printz Medal, il Printz Honor e l’Edgar Award. È stato due volte finalista al LA Times Book Prize. Insieme al fratello ha fondato Vlogbrothers, uno dei canali Youtube più seguiti al mondo. Il suo sito è johngreenbooks.com, il suo account Twitter @realjohngreen.
Colin è un ex bambino prodigio, forse genio della matematica, forse no, che nella sua giovane vita è uscito con diciannove Catherine. E tutte l’hanno piantato. Così decide di inventare un teorema per prevedere l’esito delle relazioni d’amore, ed evitare di farsi spezzare il cuore per l’ennesima volta. Ma nella vita si incontrano più eccezioni che regole. E anche tante ragazze speciali che non si chiamano Catherine.
Teorema Catherine
Teorema Catherine
Traduzione di Lia Celi

Grazie alla professoressa Antonella Franconi, insegnante di matematica al liceo scientifico del Collegio San Carlo di Milano, per la preziosa rilettura.
Titolo originale: An Abundance of Katherines
© 2006 John Green
© 2009 RCS Libri S.p.A., Milano
© 2009 RCS Libri S.p.A., Milano
Prima edizione digitale Vintage 2016 da edizione Rizzoli Vintage marzo 2016
ISBN 978-88-58-68430-6
In copertina: fotografia: © plainpicture
Art Director: Francesca Leoneschi / theWorldofDOT
Art Director: Francesca Leoneschi / theWorldofDOT
www.rizzoli.eu
Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore.
È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.
È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.
A mia moglie Sarah Urist Green, anagrammaticamente (e senz’acca):
Regina tra russe,
strega in arsure,
serena tu sgarri
in gare su Sartre.
Guerra tra sensi?
Urge restar sani.
Su, narra segreti!
Serse tra Ungari
rese urna gratis.
Saran resti: urge
stregare un Rais.
Serena tra grisù
stesure arrangi
(se serri tu grana…).
Urrà! Tre assegni!
«Ma il piacere non è possedere la persona. Il piacere è questo.
Condividere la stanza con il tuo avversario.»
Philip Roth, La macchia umana
(uno)
Il mattino dopo aver conseguito il diploma di scuola superiore ed essere stato piantato per la diciannovesima volta da una ragazza di nome Catherine, Colin Singleton, noto ragazzo prodigio, si fece un bagno. Colin aveva sempre preferito i bagni alle docce; una delle sue regole generali di vita era: “Non fare mai in piedi ciò che puoi fare anche sdraiato”. Appena l’acqua fu calda, si infilò nella vasca, e si sedette a osservare con sguardo stranamente assente l’acqua che pian piano copriva il suo corpo. Centimetro dopo centimetro, l’acqua gli salì lungo le gambe, incrociate e ripiegate nella vasca. Colin riconobbe, sia pure fiaccamente, di essere troppo lungo, troppo grande per quella vasca da bagno: sembrava un uomo già abbondantemente sviluppato che gioca a fare il bambino.
Mentre l’acqua cominciava a lambire il suo torso asciutto ma ipotonico, pensò ad Archimede. Quando aveva circa quattro anni, Colin aveva letto un libro su Archimede, il filosofo greco che, immerso nel bagno, aveva scoperto che il volume di un corpo corrisponde al peso dell’acqua da esso spostata. A questa scoperta, Archimede avrebbe gridato “Eureka!”1 e si sarebbe messo a correre nudo in strada. Il libro diceva che in molte importanti scoperte c’era stato un momento Eureka. E siccome già a quel tempo Colin sognava di fare molte importanti scoperte, quando quella sera sua madre tornò a casa la interrogò in proposito.
«Mammina, io avrò mai un momento Eureka?»
«Oh, tesorino» disse lei, prendendogli la mano. «Cos’è successo?»
«Voglio avere un momento Eureka» disse Colin, così come un altro bambino avrebbe manifestato il desiderio di una Tartaruga Ninja.
Lei gli diede un colpetto con il dorso della mano sulla guancia e sorrise: teneva il viso così vicino al suo che Colin riusciva a sentirne il profumo di caffè e di trucco. «Ma certo, Colinuccio mio. Certo che lo avrai.»
Ma le madri mentono. Fa parte delle loro regole di ingaggio.
Colin inspirò profondamente e scivolò giù, immergendo la testa. Sto piangendo, pensò, e aprì gli occhi per guardare attraverso l’acqua irritante, piena di bagnoschiuma. Mi viene da piangere, perciò di sicuro sto piangendo, ma non posso saperlo perché sono sott’acqua. Invece non stava piangendo. Stranamente, si sentiva troppo depresso per piangere. Troppo ferito. Era come se lei si fosse portata via la parte di lui che sapeva piangere.
Tolse il tappo dalla vasca, si alzò, si asciugò e si vestì. Quando uscì dal bagno i suoi genitori erano seduti insieme sul suo letto. Non era mai un buon segno quando i suoi genitori si trovavano nella sua stanza nello stesso momento. Nel corso degli anni questo aveva significato varie cose:
1. Tua nonna/nonno/zia-Suzie-tu-non-l’hai-mai-conosciuta/oh-ma-credimi-era-tanto-buona/oh-che-peccato, è morta/o.
2. Stai trascurando lo studio per colpa di una ragazza di nome Catherine.
3. I bambini nascono da un atto che un giorno troverai molto interessante ma che per ora ti ispirerà un certo disgusto, e inoltre a volte le persone usano gli organi da cui nascono i bambini per compiere atti che non servono a fare bambini, come ad esempio scambiarsi baci su parti del corpo diverse dal viso.
Non aveva mai significato:
4. Mentre eri nella vasca ha telefonato una ragazza di nome Catherine. Ti chiede scusa. Ti ama ancora, ha commesso un terribile errore e ti aspetta di sotto.
Ciononostante, Colin non poteva fare a meno di sperare che i suoi genitori fossero nella sua stanza per comunicargli notizie del tipo quattro. In genere era un pessimista, ma tendeva a fare un’eccezione per le Catherine: qualcosa gli diceva sempre che sarebbero tornate da lui. L’amore per Catherine, la sensazione di essere riamato, scaturì dal suo intimo e lo invase. Colin sentì il sapore dell’adrenalina in fondo alla gola. Forse non era finita, forse avrebbe sentito ancora la mano di lei nella sua, e udito la voce di lei, forte e rauca, affievolirsi in un sussurro per dirgli ti-amo, in fretta e sottovoce, come lo diceva sempre. Diceva ti amo come se fosse un segreto, un segreto immenso.
Suo padre si alzò e gli andò incontro. «Catherine mi ha chiamato sul cellulare» disse. «Era in pensiero per te.» Colin sentì la mano di suo padre sulla spalla. Fecero entrambi un passo verso l’altro. Si abbracciarono.
«Siamo molto preoccupati» disse sua madre. Era una donna piccolina coi capelli ricciuti e castani, a parte un’unica ciocca bianca sulla fronte. «E sorpresi» aggiunse. «Cos’è successo?»
«Non lo so» disse con un filo di voce Colin, col viso sulla spalla del padre. «È che lei… ne ha abbastanza di me. Si è stufata. Così mi ha detto.» Allora sua madre si alzò, e fu tutto un abbracciarsi, braccia ovunque, con lei che piangeva. Colin si districò dagli abbracci e si sedette sul letto. Lo assalì un enorme bisogno di uscire dalla sua stanza, subito. Sentiva che se non l’avessero lasciato andare sarebbe esploso. Letteralmente. Budella sulle pareti, e quel suo prodigioso cervello tutto spadellato sul copriletto.
«Be’, a questo punto dobbiamo sederci con calma ed esaminare le tue opzioni» disse suo padre. Esaminare era il suo forte. «Non per cercare sempre il lato buono delle cose, ma pare che quest’estate avrai più tempo libero. Che ne diresti di un corso estivo alla Northwestern?»
«Ho proprio bisogno di stare un po’ da solo, almeno oggi» rispose Colin, sforzandosi di mostrarsi calmo, così se ne sarebbero andati e lui non sarebbe esploso. «Possiamo esaminare le opzioni domani?»
«Ma certo, amore» disse sua madre. «Staremo in casa tutto il giorno. Scendi quando te la senti. Ti vogliamo tanto bene, sei così speciale, Colin, non puoi cambiare opinione su te stesso solo per colpa di quella ragazza, perché tu sei il ragazzo più straordinario, più geniale…» E a quel punto, il ragazzo più straordinario e più geniale schizzò in bagno e vomitò anche le budella. Un’esplosione, più o meno.
«Oh, Colin!» gridò sua madre.
«Ho solo bisogno di stare da solo» insisté Colin dal bagno. «Per piacere.»
Quando ne uscì, se n’erano andati.
Nelle quattordici ore successive, senza interruzioni per mangiare, bere o vomitare ancora, Colin lesse e rilesse l’annuario scolastico che aveva ricevuto appena quattro giorni prima. Oltre alla solita fuffa da annuario scolastico, conteneva le firme di settantadue compagni. Due erano solo nome e cognome, sessantadue accennavano alla sua intelligenza, venticinque dicevano “Peccato che non ci siamo conosciuti meglio”, undici dicevano “Che spasso averti avuto nel corso d’inglese”, sette comprendevano le parole “sfintere pupillare”2 e, incredibilmente, diciassette finivano con “Rimani il figo che sei!”. Colin Singleton non poteva rimanere un figo più di quanto una balena potesse rimanere magra o il Bangladesh rimanere un Paese ricco. Quei diciassette stavano scherzando, presumibilmente. Ci rimuginò sopra, e si chiese come fosse possibile che venticinque suoi compagni, alcuni dei quali erano andati a scuola con lui per dodici anni, potessero desiderare di conoscerlo meglio. Come se non ne avessero avuto la possibilità.
Ma soprattutto, in quelle quattordici ore, lesse e rilesse la dedica lasciata da Catherine XIX:
Col,
a tutti i posti dove siamo stati. A tutti quelli in cui andremo. E a me, che ti sussurro ancora, ancora, ancora e ancora: ti amo.
Sarò sempre la tua C-a-t-h-e-r-i-n-e
Alla fine il letto gli parve troppo comodo per il suo stato mentale, così si sdraiò sulla schiena, le gambe aperte stese sul tappeto. Anagrammò sarò sempre la tua e trovò una frase che gli piacque: amala tu, represso. E se ne rimase lì disteso, incapace di reprimere il suo amore, a ripetersi mentalmente la dedica che sapeva ormai a memoria. Voleva piangere, ma invece sentiva solo un dolore dietro il plesso solare. Piangere è aggiungere qualcosa: piangere è tu-più-le-lacrime. Ma la sensazione che Colin provava era l’esatto – e orribile – contrario del pianto. Era tu-meno-qualcosa. Continuava a pensare a una sola parola, sempre, e sentiva quel dolore bruciante proprio sotto la cassa toracica.
Faceva male come il peggior calcio nel sedere che avesse mai ricevuto. E sì che ne aveva presi tanti.
1 Greco: “Ho trovato.”
2 Vedi più avanti.
(due)
Continuò a fargli male fino a poco prima delle dieci di sera, quando un oriundo libanese grassoccio e irsuto piombò nella stanza di Colin senza bussare. Colin voltò la testa e lo fissò con gli occhi a fessura.
«Che cavolo è ’sta roba?» chiese Hassan, quasi gridando.
«Mi ha piantato» rispose Colin.
«Ho saputo. Senti, sitzpinkler,3 mi piacerebbe consolarti, ma in questo momento ho la vescica così piena che potrei spegnere un incendio.» Hassan passò davanti al letto e aprì la porta del bagno. «Dio, Singleton, cos’hai mangiato? Puzza di… AHHH! VOMITO! VOMITO! UAAAH!» E mentre Hassan gridava, Colin pensò: Ah. Già. Il water. Dovevo tirare l’acqua.
«Perdonami se l’ho fatta fuori» disse Hassan, una volta rientrato. Si sedette sul bordo del letto e diede un amichevole calcio alle prostrate membra di Colin. «Cacchio, ho dovuto usare tutt’e due le mani per tapparmi il naso, e il Mazzapicchio dondolava in libertà. Bel batacchio del cacchio.» Colin non rise. «Diobono, devi essere proprio giù, perché (a) le battute sul Mazzapicchio sono il mio forte e (b) come si fa a dimenticare di tirare lo sciacquone dopo aver vomitato?»
«Vorrei solo infilarmi in un buco e morire.» Colin parlò rivolto alla moquette color crema, senza nessuna emozione palpabile.
«Oh, ragazzi» disse Hassan, espirando piano.
«Tutto quello che volevo era essere amato da lei e fare qualcosa di significativo nella mia vita» disse Colin. «E invece guarda, insomma, guarda.»
«Sto guardando. E ti assicuro, kafir,4 che quello che vedo non mi piace. Neanche quello che annuso, peraltro.» Hassan...
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