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Siete cordialmente invitati alle nozze di
Audrey McCarthy e Joseph Bourke
La sposa e lo sposo vi pregano di attenervi alle seguenti indicazioni:
• Le donne non indosseranno il bianco, compresi abiti, scarpe e/o accessori.
• Gli invitati non indosseranno capi acquistati da Coast e Karen Millen.
• Gli invitati sono pregati di consultare il sito internet www.laceconfetti.com/mccarthy-bourke; prendere visione della palette di colori scelta per il matrimonio e vestirsi di conseguenza.
• Gli uomini single non potranno essere accompagnati da donne sconosciute agli sposi.
• Gli invitati che vengono da fuori città alloggeranno nell’hotel che ospiterà il ricevimento (informazioni e prezzi sono consultabili al sito www.themanor.com).
• Il giorno della cerimonia nessun dono eccetto denaro contante o assegni. Per la scelta del regalo si consiglia caldamente di affidarsi alla lista nozze (vedi cartoncino allegato per i dettagli) o di effettuare un bonifico sul conto corrente cointestato degli sposi (le coordinate sono indicate sotto) entro la data del matrimonio.
Era più un editto che un invito, e Cara Clancy pensò che non aveva mai visto niente di più sgradevole. Sotto la data, l’ora e il luogo, impressa su una costosa carta da lettere c’era quella lunga lista di pretese, non si poteva chiamarle in altro modo.
Sapeva che la sua vecchia amica di università Audrey McCarthy era un’esibizionista, ma stavolta aveva davvero esagerato. Benché non fosse un tipo che si risentisse facilmente, Cara non poté fare a meno di innervosirsi per quella totale mancanza di tatto e buon gusto, per non parlare della sfacciata dimostrazione di avidità.
Altro che «in ricchezza e in povertà»…
Scuotendo la testa, recuperò il cartoncino citato nell’invito e rimase tutt’altro che sorpresa nel vedere che la lista nozze era stata fatta da Brown Thomas, uno dei negozi di lusso più costosi d’Irlanda. Naturalmente.
Una normale catena di negozi non era abbastanza per quei due. Prese l’appunto mentale di spulciare la lista in cerca dell’oggetto più economico. Era certa che non sarebbe stata l’unica a farlo.
Anche nel caso in cui gli invitati avessero scelto di non partecipare alla lista nozze, per chi lo avesse preferito la coppia era così magnanima da accettare una donazione.
Cara sgranò gli occhi. Che faccia tosta…
Comunicare il numero di conto corrente equivaleva ad avanzare una spudorata richiesta di denaro: da quando i matrimoni avevano smesso di essere l’unione di due persone che si impegnano a passare insieme il resto della vita per diventare una semplice questione di soldi e regali?
Avrebbe tanto voluto gettare la partecipazione nella spazzatura e scrivere a quei due che, quale dispiacere, non poteva partecipare a un evento che sembrava pensato apposta per riempirsi le tasche (e si sarebbe rivelato senz’altro utile per alleviare l’onere finanziario di un futuro divorzio), ma si rese conto che non era capace di farlo. Così la mise da parte per mostrarla a Shane, chissà cosa ne avrebbe pensato.
Probabilmente quello che ne pensava lei. Nonostante la famiglia facoltosa e l’educazione privilegiata (il padre, Gene Richardson, era un imprenditore edile di Dublino di enorme successo), il suo fidanzato era una persona tutt’altro che frivola e non amava le ostentazioni di ricchezza.
Non che Audrey McCarthy fosse ricca. Per quello che Cara ricordava, era piuttosto sicura che la sua vecchia amica venisse, come lei, da una famiglia operaia. Forse il futuro marito era un riccone? Ma anche se lo era, non avrebbero inviato richieste di carità mascherate da partecipazioni di nozze, giusto?
E a proposito, lo sposo chi era? Cara scorse rapidamente l’invito in cerca del nome. Ah, un certo «Joseph Bourke». Forse il signor Bourke non aveva avanzato alcuna richiesta per il giorno del matrimonio, o forse Audrey lo considerava semplicemente un altro accessorio delle nozze.
Ancora concentrata sull’idea del matrimonio, Cara cominciò a fantasticare su come sarebbe stato sposare Shane, se un giorno lui si fosse deciso a chiederglielo.
Sapeva con certezza cosa avrebbe risposto e sapeva anche che il loro grande giorno sarebbe stato una vera celebrazione di amore reciproco, niente a che fare con quello che sembrava aver organizzato Audrey McCarthy.
Cara e Shane stavano insieme da quasi tre anni. Si erano conosciuti a cena a casa di un amico comune ed era scattata subito un’intesa perfetta. Lui era divertente e flemmatico, e aveva un pungente senso dell’umorismo che lei trovava irresistibile. Per non parlare del fatto che era un uomo bellissimo: biondo, occhi verdi e un fisico possente da rugbista, eredità dei tempi in cui giocava al Blackrock College. Prima della fine di quella serata la chimica tra loro era diventata quasi palpabile e se Shane l’avesse invitata a uscire, non aveva alcun dubbio, lei non avrebbe esitato un secondo. Alla fine l’invito era arrivato, ed era spuntato il germoglio di un amore che sarebbe sbocciato di lì a pochi mesi.
Con il suo metro e mezzo di altezza, Cara si sentiva piccola tra le braccia di Shane, ma soprattutto si sentiva protetta.
Posò lo sguardo su una fotografia sul tavolino lì accanto; l’avevano scattata l’inverno precedente e li ritraeva insieme durante un weekend a Barcellona. Sorrise: al momento giusto Shane le avrebbe fatto la domanda. A ventinove anni, Cara era certa di aver trovato l’uomo perfetto. Il matrimonio era lo sbocco naturale per loro, giusto?
Distolse l’attenzione dall’argomento matrimonio e si dedicò a organizzarsi dopo una giornata passata in ufficio. Sistemò la custodia del portatile sul tavolino da caffè, pronta per il lavoro extra che l’aspettava più tardi.
Data la sua indole artistica e creativa, Cara adorava fare la graphic designer alla Octagon Design, una piccola azienda di Greygates, il piccolo sobborgo costiero di Dublino in cui era cresciuta. In più aveva un rapporto meraviglioso con il suo capo, Conor Dempsey, che lei conosceva da sempre perché anche lui era di lì, ed era fiera di non essere una di quelle persone che si lamentano di continuo perché il capo è una spina nel fianco o le prende di mira. Conor rispettava lei e il lavoro che svolgeva per l’azienda, e di conseguenza le lasciava carta bianca, o quasi.
Diede un’occhiata all’orologio e si accorse che Shane sarebbe rientrato a momenti. Pur essendo l’esatto opposto di quella che poteva definirsi una regina della casa, era abbastanza sicura di riuscire a mettere insieme una zuppa al pomodoro… anche se in scatola.
Entrò nella cucina piccola e stretta del loro accogliente bilocale e iniziò a trafficare, ma non prima di aver aperto una bottiglia di rosso per farla respirare mentre aspettava Shane. L’appartamento non era per niente sfarzoso, ma aveva un che di moderno ed elegante, in sintonia con il loro stile di vita. Appena fuori dal centro di Dublino, la casa era in una posizione comoda a entrambi per andare al lavoro, ma anche ideale per godersi la frenetica vita di città che tutti e due amavano. Dopo aver scelto di non seguire le orme del padre nel settore dell’edilizia, Shane aveva studiato da commercialista e lavorava in uno studio in centro, a poche fermate di metro dall’ufficio di Cara a Greygates. Quando l’anno precedente avevano scelto quella casa, l’avevano fatto consapevoli che quel gesto era la prova concreta dell’impegno che si erano presi l’uno verso l’altra e verso un futuro da costruire insieme, un passo alla volta.
Dopo qualche minuto udì la porta d’ingresso aprirsi, e i fruscii familiari di Shane che si sbarazzava di giacca e ventiquattrore prima di raggiungerla in cucina.
Lei, con il capo chino, stava imburrando il pane e si preparava a metterlo in padella, quando lui entrò.
«Ah… quale capolavoro d’arte culinaria emana questo profumino?» scherzò Shane. «Si tratta forse di sandwich grigliati al formaggio e zuppa di pomodoro? Ah, quanti ricordi riaffiorano alla mia memoria… tutti di quando avevo cinque anni. Sei davvero una regina dei fornelli in incognito» disse, avvicinandosi a lei e abbracciandola da dietro.
Cara scoppiò in una risata nasale. «Già, sono proprio il tipo di cuoca che ti fa venire in mente tua madre.» Stretta in quell’abbraccio, si voltò in cerca del suo viso e gli stampò un bacio sulle labbra. Era alto quasi un metro e novanta, e con quel suo fascino biondo Cara lo trovava irresistibile. Il battito le accelerava ancora ogni volta che la baciava.
«Mmm…» Shane le sospirò tra i capelli. «Veramente mia madre non ha mai preparato i sandwich al formaggio, ci pensava Lillian.»
Lillian era la tata. Shane era cresciuto in un’enorme casa all’interno di una vasta tenuta di campagna fuori Kildare. Dire che era di famiglia ricca sarebbe stato riduttivo, e i suoi genitori, in particolare la madre Lauren, amavano fare sfoggio del loro denaro e del loro status. Il fatto che in questo il suo fidanzato fosse diverso era una delle cose che ammirava di lui.
Shane le diede un altro bacio veloce sulla fronte, poi la sciolse dall’abbraccio e si allontanò di qualche passo per controllare svogliatamente la posta. «Wow, e questo cosa diavolo è?»
Quando Cara notò che aveva in mano la partecipazione di nozze di Audrey McCarthy, scosse la testa. «Lo so. Di cattivo gusto, vero?»
Shane lesse l’invito, con gli occhi sempre più sgranati a ogni frase.
«Giuda ballerino.» Scoppiò in una sonora risata. «Gli invitati single non possono presentarsi accompagnati da donne sconosciute agli sposi? Ma questi chi sono?»
Cara si avvicinò alla credenza e tirò fuori due calici. «Be’, io conosco solo la sposa.» Riempì i bicchieri di vino e, bevendo un sorso, ne porse uno a Shane. «Guarda qui. Hanno messo anche il numero di conto corrente.» Indicò la riga con le cifre in fondo all’invito.
«È davvero di cattivo gusto. Dove hai incontrato questa ragazza? A un evento di raccolta fondi? Pare conosca molto bene il concetto.»
«Finiscila» ridacchiò lei assestandogli un colpetto. «Quando mai mi hai vista partecipare a una raccolta fondi? Mi scambi di nuovo per tua madre…» Buttò l’invito sul bancone. «Non siamo costretti ad andare a quel matrimonio; in realtà, preferirei non andarci.»
«Dai, non dire così, ci andremo e ce la spasseremo» disse Shane, perfido. «Non vorrai perderti le sculture di ghiaccio, o le colombe, o l’orchestra di cinquanta elementi che accompagna la bellissima sposa mentre avanza lungo la navata in un abito che probabilmente vale quanto questa casa!»
«Sembri molto preparato su quello che succede di questi tempi ai matrimoni» scherzò lei. «Comunque, non sono ancora convinta di volerci andare. Quando ho aperto l’invito e ho letto tutte quelle pretese… Francamente, sono stata tentata di dire a Audrey McCarthy dove poteva infilarsi la sua lista nozze e il suo numero di conto. E potrei anche far finta di niente se non fosse che ho l’armadio pieno di abiti di Coast e Karen Millen; e quella vorrebbe impedirmi di indossarli?» Se Audrey si aspettava che lei spendesse altri soldi per comprare un vestito nuovo, poteva scordarselo. Era un periodo di ristrettezze per tutti, quindi una richiesta del genere era un’assurdità. «Seriamente, pensavo fosse finita l’epoca di queste idiozie.»
Le cerimonie nuziali sofisticate e le manie di protagonismo erano diffuse nell’Irlanda degli anni della Tigre Celtica, quando le banche erano ben felici di concedere prestiti per soddisfare certe stravaganze, tipo l’elicottero per gli sposi, ma per fortuna la recessione aveva messo la parola fine al peggio.
«Dovresti fregartene di questa gente.» Shane scosse la testa e si interruppe per un istante. «Neanch’io ho mai capito tutte queste coppie che si indebitano fino al collo soltanto per un giorno. E di questi tempi, poi. Capisco che il matrimonio sia un evento importante, ma in fondo non dovrebbe essere incentrato sulla promessa fatta alla persona che stai sposando, piuttosto che sulla smania di impressionare qualche parente che neanche conosci facendo arrivare del caviale beluga da Mosca?»
Cara sorrise. Era per questo che lo amava così tanto; la pensavano allo stesso modo su molte cose ed erano sempre in perfetta sintonia.
«Sapevo che c’era un motivo se sto con te. Sei così intelligente.»
«E io so che c’è un motivo se sto con te. Purtroppo non ha niente a che fare con le tue doti di cuoca.» Annusò l’aria e, mentre Cara si voltava ad appoggiare il calice sul bancone, le diede una leggera gomitata. «Mi dispiace darti questa notizia, ma credo che i tuoi sandwich al formaggio si siano bruciati.»
«Oh, no!» esclamò lei, riportando immediatamente l’attenzione sui fornelli. Tra le risate di Shane, afferrò la padella e l’allontanò dal fuoco. Il formaggio era annerito e aveva un aspetto davvero poco invitante.
Shane inarcò le sopracciglia. «Quindi, che si fa? Indiano o thai?»
Cara arrossì con aria colpevole. «Immagino che un take-away sia una buona idea, a questo punto.»
«Sono d’accordo.» Lui sorrise attirandola a sé, e le stampò un bacio sulla fronte. «Saper cucinare è comunque una qualità altamente sopravvalutata. Non preoccuparti, io so che hai una bella voce al telefono.»
«Ah! Anche Conor lo dice sempre» replicò lei ridendo, e si allungò verso il telefono.
Il volto di Shane si adombrò nel sentir nominare Conor, e Cara si maledì per aver tirato fuori quel nome. Shane non era mai riuscito a capire fino in fondo la stretta relazione che aveva con il suo capo. Il loro rapporto di lavoro era poco ortodosso, non si poteva negare, ma d’altronde Conor l’aveva presa con sé appena uscita dall’università, quando la Octagon era agli inizi, e adesso lavoravano insieme da quasi dieci anni. Malgrado il fatto che Conor avesse il doppio degli anni di Cara, Shane continuava a sentirsi a disagio riguardo al rapporto informale che loro due avevano instaurato. Forse perché era ancora single, bello da morire e con gran parte della popolazione femminile di Dublino ai propri piedi.
Per la verità, Cara non l’aveva mai considerato nient’altro che il suo capo, ma Shane non ne sembrava convinto.
Gli fece l’occhiolino, nella speranza di distrarlo da quell’ultimo commento. «È bello sapere di avere almeno qualche qualità positiva.»
Mentre lei digitava il numero del ristorante indiano in fondo alla strada, Shane riprese in mano la partecipazione di nozze. «“La sposa e lo sposo vi pregano…”» lesse ad alta voce, scuotendo la testa. «Almeno noi non finiremo così.»
Cara aspettava che le rispondessero dal ristorante, ma alle parole di Shane si voltò di scatto verso di lui. Cosa accidenti voleva dire?
«Scusa, cos’hai detto?» gli chiese.
Lui sostenne il suo sguardo con fermezza. «Ho detto che… non ho nessuna intenzione di finire così.»
«Oh» fece lei. Ma non ebbe il tempo di approfondire, perché qualcuno rispose al telefono.
Mentre faceva l’ordinazione, tutt...