CAPITOLO DUE
Un’altra. Quel pensiero la ossessionava. Non era in quel modo che aveva sognato la sua vita. Desiderava una famiglia, le sue giornate divise tra gli impegni dei figli e quelli del lavoro. Per fortuna, faceva quello che le era sempre piaciuto. La sua professione era diventata una valvola di sfogo. L’aiutava a distrarsi e le regalava grandi soddisfazioni.
Erano le tre del pomeriggio e Sara era nel suo studio, seduta alla scrivania ingombra di riviste d’arredamento e campionari di tessuti. Stava aspettando un cliente, il primo dei tre appuntamenti della giornata. La passeggiata a Villa Borghese con Andrea non era servita a tranquillizzarla. Come se fare quattro passi con suo marito avesse il potere, per incanto, di mettere a tacere le sue paure e i dubbi sul loro rapporto.
La notte precedente avevano fatto l’amore. Era avvenuto tutto meccanicamente, come succedeva spesso negli ultimi mesi. Sara era nel periodo fertile e in cuor suo sperava che quella sarebbe stata la volta decisiva. Un forte senso di ribellione la scosse, come una bufera di vento che fa vibrare una finestra sui suoi cardini, minacciando di infrangere i vetri. Nel suo caso era il cuore a essere ridotto a pezzi. Non poteva continuare in quel modo e una decisione, la più sofferta che avesse mai dovuto prendere nella vita, incominciò ad affacciarsi nella sua mente. Non se la sentiva più di continuare il matrimonio con Andrea. Aveva la sensazione di essere arrivata al capolinea. Tre anni d’inutili tentativi per avere un figlio erano abbastanza. Troppi. Avrebbe dovuto farlo prima. Amava alla follia il marito e sarebbe stato difficile lasciarlo, ma sapeva che era la cosa più giusta. Andrea si sarebbe fatto una nuova vita, si sarebbe innamorato di un’altra donna e un giorno sarebbe diventato padre. Se lo meritava, dopotutto, e lei glielo doveva. Sarebbe stato il suo ultimo atto d’amore: se non poteva dargli un figlio, gli avrebbe almeno regalato la libertà e la possibilità di averne uno. Era profondamente ingiusto che lui rinunciasse alla paternità per colpa sua.
Il trillo del citofono la costrinse ad alzarsi dalla poltroncina girevole per andare a rispondere. Era Giacomo De Paolis, il cliente che aspettava. De Paolis era un giovane notaio che aveva acquistato di recente una villa sulla Cassia e aveva chiesto a Sara di riorganizzare gli spazi interni ed esterni della sua nuova, bellissima dimora. Da uomo esigente e pignolo qual era, spesso le sue idee contrastavano con quelle di Sara, ma alla fine riuscivano sempre ad arrivare a un compromesso sulle soluzioni d’arredo; dopo tanti mesi di collaborazione, Giacomo aveva imparato a fidarsi di lei e apprezzava il suo buon gusto. E non solo quello. Tra loro si era instaurato un rapporto confidenziale, di rispetto e fiducia reciproci.
«Quando finiremo la casa sono sicuro che mi mancherai. Sarò costretto a comprarne un’altra per continuare ad avere la tua consulenza» le ripeteva spesso Giacomo.
Scherzava, naturalmente, ma le sue parole celavano una mezza verità: Sara sapeva di non essere indifferente al suo cliente e, se non avesse tenuto a bada la sua corte discreta, lui avrebbe oltrepassato certi limiti.
Quel pomeriggio De Paolis doveva scegliere i tessuti dei divani e delle tende dell’ampio salone. Il giovane notaio aveva optato per uno stile moderno e confortevole, così Sara gli aveva consigliato degli arredi dalle linee squadrate, proponendo materiali di grande qualità, toni pacati ma con guizzi improvvisi di colore. La casa era splendida. Lasciandosi alle spalle il fulgore del giardino si entrava nell’elegante salone reso sontuoso dal pavimento in marmo bianco e nero. Al pianoterra, dov’erano situati il salotto con una zona conversazione e un angolo per la tv e la suite per gli ospiti, era ancora il chiarore del marmo a esaltare l’ariosa cucina con un’isola per la colazione.
Salendo la scala in rovere e ghisa, inondata dall’alto dai raggi dorati provenienti da un lucernario, si accedeva alla zona notte e allo studio; tutti e due gli ambienti erano spalancati sul riposante verde del parco, da dove si scorgeva, oltre gli alberi, il paesaggio urbano disegnato sullo sfondo opalino del cielo.
«Salve, Giacomo» lo accolse cordialmente Sara.
«Scusa il ritardo, ma c’è un traffico pazzesco oggi. Più del solito» disse Giacomo.
«Colpa dello sciopero dei mezzi pubblici» gli ricordò lei.
«Non lo sapevo. Ecco spiegato il caos.»
«Non mi risulta che tu prenda mai un autobus né la metropolitana. Ti sposti sempre in macchina» gli fece notare Sara. «Come avresti potuto saperlo?»
Lui sorrise. «Hai ragione. Ad ogni modo ce l’ho fatta ad arrivare da te.»
Sara sorrise e lo fece accomodare dall’altra parte della scrivania.
«Vuoi un caffè?»
«No, grazie, l’ho appena preso. Sono ansioso di vedere i tessuti che hai scelto per i divani.»
«D’accordo. Allora ti dico subito che punterei sui colori neutri per i due sofà frontali e, al contrario, sceglierei un vivace blu china per i due pouf rettangolari.» Sara prese il campionario per mostrargli il canapone grezzo e poi aprì quello dei velluti.
«L’abbinamento mi piace» approvò De Paolis.
«Vedrei un paio di cuscini dello stesso blu buttati sui divani, con un grosso bottone centrale» propose.
«Perfetto. E le tende?» chiese.
«Giocherei anche qui sui toni chiari. Devono essere eteree, quasi impalpabili per permettere di filtrare la luce all’interno. La stanza è a pianoterra, quindi scarterei dei tendoni pesanti. Sei d’accordo?»
«Certo.»
«Tende a pacchetto?» suggerì.
Giacomo scosse la testa vigorosamente. «No. Sono poco pratiche. Ogni volta smontarle per il lavaggio sarebbe un problema.»
Sara rise. «Ti occupi di solito tu di questo lavoro a casa?» lo punzecchiò.
«No. Ma la mia filippina non è una volpe. Andrebbe in tilt davanti a un sistema intricato di fili da sfilare e rinfilare nelle asole giuste.»
«Dai, non ci vuole un cervello da scienziato.»
«L’alternativa quale sarebbe?»
«La classica tenda a binario. Ma scarterei questa soluzione. Le tue finestre sono alte. Pensa che bell’effetto sarebbe un pannello di lino squadrato che scendesse giù dal soffitto, ornato sui tre lati da un largo bordo di stoffa dalla tonalità più scura.» Sara aveva già mente anche i dettagli.
«Riesci sempre a essere molto convincente.»
Sara scrollò le spalle. «Il mio è solo un suggerimento. A te spetta la scelta finale.»
«E va bene. Mi hai convinto. Vada per le tende a pacchetto» capitolò. «E adesso vediamo se anch’io sono così bravo a convincere te.»
Lei gli rivolse uno sguardo interrogativo. «A fare che cosa?»
«Ad accettare un invito a cena a casa mia.»
Sara rise per coprire l’improvviso disagio. «Perché dovrei venire a cena da te?» chiese di rimando.
«Perché mi farebbe piacere trascorrere una serata in tua compagnia» dichiarò con sincerità.
Era meglio mettere subito le cose in chiaro. «Giacomo, ti prego. Sono una donna sposata. Non mi sembra il caso.»
«Non fraintendere. Una cena tra amici. Tutto qua.»
«Non ha senso. Lo trovo fuori luogo.»
«Scusa. Come non detto, allora. Amici come prima, d’accordo?»
Lei rise. «Non mi sembra di avere litigato. Adesso torniamo al nostro argomento principale. Tende a pacchetto, allora. Sei convinto?»
«Convinto. Inoltra l’ordine al tappezziere e sollecita i tempi della consegna. Il salone senza tende sembra spoglio. Non vedo l’ora che sia completo.»
«Non preoccuparti, il mio tappezziere di fiducia è preciso e puntuale. Farà un buon lavoro, vedrai. E il tuo salone sarà ancora più bello.»
«Non ho dubbi. Senza il tuo intervento la mia casa non sarebbe quella che è adesso.»
Giacomo De Paolis si alzò per andare. In quel preciso istante squillò il suo cellulare e lui infilò la mano in tasca per prenderlo. Guardò il display, ma rifiutò la chiamata. «Un rompipalle» commentò. «Può attendere. Lo chiamerò più tardi.»
Si allungò per darle un bacio sulla guancia, ma lei si scostò e gli tese la mano.
«A presto, Giacomo. Ti chiamerò quando avrò notizie dal tappezziere. Buona serata.»
Lui le strinse la mano, quindi la ritrasse e, in silenzio, raggiunse la porta. «Buona serata, anche a te.» Si girò e aggiunse: «E se ci ripensi riguardo alla cena, sai dove trovarmi».
Ma Sara non poteva cambiare idea. Se fosse successo, sarebbe stato come entrare nella tana del lupo. E lei avrebbe fatto di tutto per evitarlo.
Rimasta sola, controllò il grande orologio moderno appeso sulla parete di fronte a sé. L’appuntamento con Giacomo De Paolis le aveva portato via più tempo del previsto. Per fortuna anche il cliente successivo era in ritardo. Aveva la fastidiosa sensazione che quella sera sarebbe rientrata a casa dopo le otto.
Erano già le otto e quaranta quando infilò la macchina in garage e salì dalla scala interna che conduceva all’appartamento. Inserì le chiavi nella serratura che era chiusa con quattro mandate, segno che Andrea non era ancora rincasato. Accese la luce e una lampada Liberty illuminò il soggiorno, abbandonò la borsa sul divano e si diresse in camera. Crollò a sedere sulla poltrona e con un calcio lasciò cadere le scarpe décolleté. Era esausta, dopo un’intera giornata fuori casa. Si portò le mani dietro la nuca e prese a massaggiarsi il collo. In quel momento avrebbe desiderato sulla sua pelle le mani di Andrea. I suoi baci, le sue dolci parole. Respinse immediatamente quel pensiero. Non c’era mai quando aveva bisogno di lui e presto non avrebbe più fatto parte della sua vita. Doveva abituarsi all’idea di non averlo al suo fianco. Anche se le faceva molto male.
Il lontano trillo del telefonino la costrinse ad alzarsi per raggiungere la borsa. Si guardò attorno, sforzandosi di ricordare ...