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La pioggia aveva impregnato i tetti e le facciate, le macchine e gli autobus, i marciapiedi e i passanti, la pioggia era dall’inizio della primavera che si abbatteva incessantemente su Londra. Mia era appena uscita da un incontro nell’ufficio del suo agente.
Creston era uno della vecchia scuola, di quelli che dicono sempre la verità , ma con classe.
Questa sua eleganza nel parlare gli valeva un certo rispetto, e spesso veniva citato durante le cene per le sue osservazioni sferzanti e mai offensive. Mia era la sua protetta, cosa che, in un ambiente feroce e spesso volgare come quello del cinema, le conferiva un potere enorme.
Quel giorno, Creston era andato alla proiezione privata del nuovo film di Mia e, poiché in simili circostanze le proibiva di accompagnarlo, lei l’aveva aspettato in ufficio.
Dopo essersi tolto l’impermeabile, Creston si era seduto in poltrona ed era andato subito al punto.
«Un po’ di azione, una spruzzata di romanticismo, una sceneggiatura ben cucita su una trama sfilacciata, ma a chi importa, di questi tempi?… Sarà un successo» le aveva detto per rassicurarla.
Mia lo conosceva troppo bene per non sospettare che ci fosse dell’altro.
Lei era magnifica, aveva proseguito Creston, un po’ troppo spesso nuda, la prossima volta sarebbe stato meglio evitare di mostrare il sedere una scena sì e una no, ci avrebbe badato lui per il bene della sua carriera, non ci voleva niente a farsi etichettare.
«Creston, con franchezza, mi dica cosa ne pensa.»
«Tu reciti alla perfezione, e visto che il tuo ruolo è quello che è, non è cosa da poco. Ciò detto, non se ne può più di film in cui i personaggi trascorrono l’autunno fra due tradimenti, tre adulteri e una tazza di tè. È un film d’azione, la cinepresa si muove di continuo e gli attori pure… che altro vuoi che ti dica?»
«La verità , Creston!»
«È una merda, mia cara, una bella merda che farà il pieno d’incassi, dal momento che tu e tuo marito vi dividete la locandina. Cosa che di per sé è già un evento, l’unico del resto. La stampa troverà strepitosa la vostra complicità sullo schermo, e ancor di più adorerà vedere te che gli rubi la parte della star, e questo non è un complimento, ma un fatto.»
«Nella vita reale la star è lui» ribatté Mia con un debole sorriso.
Creston si sfregò la barba, un suo gesto tipico che la diceva lunga.
«Come se la passa la coppia?»
«Non se la passa più, veramente.»
«Attenzione, Mia, niente sciocchezze.»
«Quali sciocchezze?»
«Hai capito benissimo. Va così male?»
«Girare insieme non ci ha riavvicinati.»
«Ecco, questo è esattamente quello che non voglio sentirti dire, almeno fino all’uscita del film. Le sorti di questo capolavoro dipendono dalla vostra sintonia come coppia, sullo schermo come nella vita.»
«Ha un copione per me?»
«Ce n’è qualcuno.»
«Creston, a me piacerebbe andare all’estero, lontano da Londra e dal suo grigiore, recitare un ruolo profondo, delicato, provare cose che mi emozionino, che mi facciano ridere, condividere un po’ di tenerezza, anche in un film di poco conto.»
«E a me piacerebbe che la mia vecchia Jaguar non mi lasciasse mai a piedi, ma il meccanico che se ne occupa mi dà del tu, non so se mi spiego. Ho lottato per costruirti una carriera, in Inghilterra hai un pubblico immenso, dei fan che pagherebbero per sentirti recitare l’elenco telefonico, cominci a essere apprezzata in tutto il mondo, i tuoi cachet sono indecenti per i tempi che corrono e, se questo film avrà il successo che immagino, presto sarai l’attrice più quotata della tua generazione. Quindi ti chiedo un po’ di pazienza, per favore. Siamo d’accordo? Tra qualche settimana fioccheranno proposte dall’America come le gocce di pioggia qui fuori. Entrerai nella corte delle grandi.»
«Delle grandi stronze che sorridono quando sono tristi?»
Creston si raddrizzò sulla poltrona e tossì.
«Di quelle, e di altre che sono felici. Per favore, non voglio più vedere quell’espressione corrucciata, Mia» aggiunse alzando il tono. «Le interviste dovranno avvicinarvi, te e tuo marito. Sarete costretti a sorridere così tanto durante la promozione che finirete per entrare nella parte.»
Mia fece un passo verso la libreria, aprì il portasigarette poggiato su un ripiano e ne prese una.
«Sai che detesto che si fumi nel mio ufficio.»
«Allora perché c’è un portasigarette?»
«Per le emergenze.»
Lei lo fissò e tornò a sedersi, la sigaretta spenta fra le labbra.
«Credo che mi metta le corna.»
«In un modo o nell’altro, chi non ce le ha, ormai?» ribatté lui dando uno sguardo alla posta.
«Non è divertente.»
Creston smise di leggere.
«Corna… di che tipo?» riprese. «Voglio dire, occasionali o fisse?»
«Cambia qualcosa?»
«E tu? Non l’hai mai tradito?»
«No. Insomma, una volta, un bacio. Il mio partner baciava bene, e io avevo bisogno che qualcuno mi baciasse. Era per la credibilità della scena, non è un vero tradimento, no?»
«È l’intenzione che conta. Qual era il film?» chiese Creston alzando un sopracciglio.
Mia guardò fuori dalla finestra e il suo agente sospirò.
«Bene, ammettiamo che ti tradisca. Cosa importa, se non vi amate più?»
«È lui che non mi ama più, io lo amo ancora.»
Creston aprì un cassetto della scrivania, tirò fuori un posacenere e sfregò un fiammifero. Mia inspirò una lunga boccata e lui si domandò se fosse il fumo ad arrossarle gli occhi, ma si astenne dal chiederglielo.
«Era lui la star, e tu una debuttante. Ha recitato la parte del pigmalione, e l’allieva ha superato il maestro. Per il suo ego non dev’essere stato facile gestire la cosa giorno dopo giorno. Attenta alla cenere, tengo molto al tappeto.»
«Non dica così, non è vero.»
«Certo che sì. Non dico che non sia un buon attore, ma…»
«Ma cosa?»
«Non è il momento, ne riparleremo più tardi, ho altri appuntamenti.»
Creston fece il giro della stanza, tolse delicatamente la sigaretta dalle mani di Mia e la schiacciò nel posacenere. La prese per le spalle e la condusse alla porta.
«Presto reciterai dove vorrai. A New York, Los Angeles, Roma. Nel frattempo, non fare stupidaggini. Ti chiedo solo un mese, ne va del tuo futuro. Me lo prometti?»
*
Lasciato Creston, Mia si era fatta portare in taxi a Oxford Street. Quand’era in preda alla malinconia, e nelle ultime settimane accadeva sempre più spesso, era solita andare a passeggiare in quella animata via dello shopping.
Camminando tra i reparti di un grande magazzino, aveva provato a chiamare David, ma ogni volta era scattata subito la segreteria.
Cosa stava facendo, in quel tardo pomeriggio? Dov’era finito da due giorni? Due giorni e due notti senza notizie tranne quel messaggio sulla segreteria telefonica del loro appartamento. Un messaggio laconico, in cui lui le diceva di non preoccuparsi, che andava solo a rigenerarsi in campagna. Lei però stava facendo tutto il contrario.
Rientrata a casa, aveva deciso di prendere in mano la situazione. Non avrebbe mostrato il minimo sconcerto, al ritorno di David. Sarebbe rimasta calma e padrona di sé, senza fargli supporre neanche per un istante che si fosse annoiata in sua assenza, e soprattutto senza fargli domande.
Dopo aver detto di sì a un’amica che la invitava ad accompagnarla all’inaugurazione di un ristorante, Mia aveva deciso di farsi bella. Se voleva, anche lei era capace di far ingelosire David. E poi, tanto valeva essere circondata da sconosciuti piuttosto che starsene a casa a deprimersi.
Il ristorante era immenso, la musica assordante, la sala affollata, impossibile parlare con qualcuno o fare un passo senza strusciarsi addosso agli altri. Chi poteva trovare piacevole una serata del genere?, pensò preparandosi ad affrontare quella marea umana.
Quando erano giunte all’entrata, avevano lampeggiato i flash. Ecco perché la sua amica aveva insistito tanto: sperava di finire nelle cronache mondane di qualche rivista. Per assaporare una fugace celebrità . Maledizione, David, perché mi lasci a vagare da sola in posti del genere? Te la farò pagare con gli interessi, signor Ho-bisogno-di-rigenerarmi.
Il suo telefono squillò, un numero privato. A quell’ora, era di certo lui. Come avrebbe fatto a sentirlo, in quella confusione? Se fossi un cecchino, abbatterei il dj, pensò Mia.
Si guardò attorno, era a metà strada fra l’entrata e le cucine. La folla la trascinava, ma decise di procedere controcorrente. Rispose e gridò: «Non attaccare!» Per essere una che si è ripromessa di far finta di niente, cominci bene, bella mia.
Aprirsi un varco, spingere via la tizia che se la tira appollaiata sui tacchi e l’idiota che la corteggia. Pestare i piedi a quella spilungona scheletrica che si dimena come un’anguilla, aggirare il ganzo da balera che la scruta come una preda. Divertiti, amico, ho l’impressione che abbia voglia di chiacchierare con te. Solo dieci passi all’entrata.
«Resta in linea, David!» Ma sta’ zitta, scema.
Supplicare con lo sguardo il buttafuori perché la aiuti a uscire di lì.
Finalmente fuori, l’aria fresca, la relativa calma della strada. Allontanarsi dalla calca che aspetta di entrare in quell’inferno.
«David?»
«Dove sei?»
«A una festa…» Con che faccia tosta mi fai questa domanda?
«Ti diverti, amore?»
Ipocrita! «Sì, è abbastanza carino qui.» Questo trucchetto dove l’hai scovato?
«E tu» imbecille, «dove sei…» … da due giorni?
«Sulla strada verso casa. Torni presto?»
«Sono in taxi…» Trovare un taxi, presto, un taxi!
«Credevo fossi a una festa.»
«Stavo andando via quando hai chiamato.»
«Probabilmente arriverai prima di me, se sei stanca non mi aspettare, è ancora tutto bloccato. Londra è diventata davvero impossibile!»
Sei tu che sei diventato impossibile, come osi dirmi di non aspettarti? Sono due giorni che non faccio altro.
«Lascerò una luce accesa in camera.»
«Magnifico, ti bacio, a presto.»
Il marciapiede bagnato, le coppie sotto gli ombrelli…
… e io qui, sola come una cretina. Domani, film o no, cambio vita. Anzi no, non domani, stasera!
2
Parigi, due giorni dopo.
«Perché quella giusta è sempre l’ultima chiave del mazzo?» protestò Mia.
«Perché la vita è fatta male, altrimenti la tromba delle scale non sarebbe immersa nel buio» rispose Daisy illuminando meglio che poteva la serratura col telefonino.
«Sono stufa di amare l’idea di qualcuno, voglio una realtà che mi corrisponda; voglio il presente, soltanto il presente.»
«E ...