RENZI E IO
Il mio piano di rinascita gelliano
Ce l’avevo nell’agenda, il royal baby. Altro che il piano di rinascita di Gelli. Di più. Volevo un vendicatore di questi vent’anni. L’ho avuto. Il parto dell’erede ha perpetuato la dinastia o il casato. L’anomalia è salva. No sciagure. No manette. Nessuna restaurazione protocollare. Una qualche felice inconsistenza, con le parole che se ne vanno per l’aria, resta tra noi sovrana. La superficialità sempre al potere. Il burbero e l’ipocrita sono dietro la lavagna: sinistra radicale, teppa antagonista e manettara, intellettuali dei nostri stivali, pedanti, scarpari, padroncini, sbirrame vario, mediocrati socialmente presentabili, tutti in castigo. Ci sia o non ci sia un patto tra quei due, e il patto c’è stato, ne è nato il putto dal puffo, tanto basta.
Ma non basta. Lezione di metodo nella follia. La serietà torna all’opposizione. La Repubblica resta monarchica, diventa babyarchica, continua il flusso ubuesque succeduto allo stato dei partiti costituzionali. Si va di corte in corte. Niente establishment con la sua allure. Siamo tutti paggetti, tutti mannequins, tutti puttane delle Cascine vivaddio. Niente piazzale Loreto, sopra tutto. Per il sangue del Cav. bisognerà aspettare. Forse è impiccato, ma a testa insù. Le sue ragazze furono oltraggiate, ma la resurrezione come mamme e spose tocca in sorte a tutte, assoluzione a parte. La signora El Marough, furbizia orientale, è redenta. Il royal baby ci sta salvando. Incombe la rispettabilità di Baden-Powell, il governo del boy scout, compimento impeccabile di mille incursioni malandrine. La patria non poteva chiedere di meglio, e poi chissenefrega della patria, che non è mai stata affare di patrioti, canaglie reputazionalmente avvantaggiate. Una generazione cialtrona, che si è sempre creduta céliniana, una generazione di grandissimi zozzoni travestiti da artisti e mammolette, merita questo bonario massacro dei suoi valori presuntivi, delle sue tessere di partito, delle quote sindacali, del suo cinema e della sua poetica, della sua estetica noiosa, dei suoi buoni pensieri e falsi, della sua opaca mentalità corrente.
A un pelo dal capolavoro
Chi è negato per la politica deve sapere come stanno le cose. Politologia per dummies. Il cuore è un organo difficile da tenere in mano (Giorgio Manganelli), ma con i fatti pubblici si può, si può andare al cuore dello Stato. Il giovane nazareno concorreva al quiz che il vecchio confezionava, modello americano tettine italiane. Era un concorrente della Ruota della fortuna, un competitore, non un Nemico di quelli per cui stravedono certi tromboni. Il pubblico si esprime attraverso il notaio, che conferma, la comunità è tutta un sorriso che striscia la notizia, sarà artificioso ma è gentile. Era spregiudicato fin da bambino, il piccolo Matteo, dove l’altro, vecchio paladino di Cesano Boscone, ha protratto l’infanzia del baby talk per le audience numerose usandola come arma per misurare la maturità di classi dirigenti fallite.
Ha il fuoco nella pancia, il nuovo nato, come l’altro, il babbo, brucia di megalomane ambizione. Ma è anche lui mite, alla fine, e ridanciano e innamorato del suo ostentarsi piacente al populazzo (definizione di Ludovico Ariosto). Il teatrino della Leopolda è l’equivalente digitale del cielo azzurro di Forza Italia, intrattenitori alla convention. Twitter è la strategia della verità che sa smentirsi da sola, senza l’aiuto dei fatti, noioÂsa propaggine dell’idealismo e dello storicismo: i nazareni mentono e rimentono, discostandosi dalla verità come protocollo di conformità .
Basta vederlo dall’antico Vespa, in breve anteprima, non dico che manchi solo la scrivania di ciliegio, ma quasi. Il tortellino è una citazione di D’Alema col risotto, ma siamo su pianeti diversi, il segno gastronomico è esornativo e fuorviante. Quello di Renzi, di pianeta, è lo stesso del Cav. (e non solo del Berlusconi delle origini, sebbene per lo stato nascente del fenomeno l’analogia si faccia identità senza riserve). Basta chiacchiere, è il momento del fare, l’Italia è grande e grossa e si difende, basta che i professionisti della tartina, o gufi, vengano messi a tacere, basta che si vada oltre i confini di destra e sinistra, che si unifichi intorno a una maggioranza che si vorrebbe assoluta, per decidere, il troncone buono e operoso del Paese, l’alleanza sociale di sostegno al progetto, cambiando l’assetto istituzionale nel frattempo, e poi mettendo in esecuzione il patto sociale per il cambiamento contro burocrazie e pietrificate culture di classe e di establishment. Berlusconi ebbe i voti delle periferie e degli operai, devastò la bolsa sicurezza di sé del Pci-Pds-Ds, arrivò a un pelo dal capolavoro di governare da sinistra essendo titolare di un blocco originario conservatore, e Renzi simmetricamente si gloria del consenso ricevuto dal ceto medio moderato intorno alla sua percentuale europea, che non può essere fatta solo di seguaci della sinistra e del Pd, insomma è a un pelo dal capolavoro di governare in senso riformista e innovatore, economicamente e socialmente a destra, ma dando soddisfazione al blocco di riferimento («Il nostro futuro sono gli insegnanti», che è il pendant di distinzione rispetto alla lectio del Cav. che vede il futuro negli imprenditori medi e piccoli). Renzi sta suscitando, et pour cause, le stesse antipatie feroci e ideotipiche evocate come spettri del passato dal Cav. Con la differenza che il suo punto di partenza non è la riunificazione di un blocco conservatore, ma la rivitalizzazione senza alternative palatabili del blocco di sinistra, nella sua versione mai sperimentata in Italia di una sinistra postideologica, generazionalmente connotata da un certo jemenfoutisme e dall’allegria: e volete che un vecchio e intemerato berlusconiano pop, come me, non si innamori del boy scout della Provvidenza e non trovi mesta l’aura di spregio che circonda di nuovo il caro leader?
Naturalmente, come è accaduto nel caso di Berlusconi, l’amore non è cieco. Può sempre far danni, ma può anche accompagnare una vecchiaia meno turpe di quella approntata per noi dai manettari delle procure tristi e dai comitati benecomunisti del Valle o dell’Ambra Jovinelli. Bisogna essere prudenti, cauti, procedere lentamente, non scoprirsi, ed è per questo che invece la facciamo sbrigativa, polemica, sapendo che nella rapidità e nel ritmo saremo fregati un’altra volta. Ma fregati, ho detto? Ho sbagliato. Renzi ha il divino tocco di chi legittimi per il solo fatto di esistere (grazie, scout) vent’anni di tormenti e di incertezze, tutti vissuti nella dignità di un buon servilismo professionale, così diverso dal servilismo procuratizio o establishmentario in voga nei circoli dell’Italia che piace. In più, per dirla con l’Avvocato compianto, se vince lui vinciamo tutti, se perde lui perde solo lui.
No? Ma queste sono poi fanfaluche, escogitazioni per non morire di noia. Resta la presenza politica inquietante ma provvidenziale dell’anomalo al comando, ché se poi vogliamo dirla tutta non poteva essere altro l’esito della rivoluzione antipartito, dello sbrocco antipolitico dei ceti medi riflessivi e dei loro successori, i somari del dottor Gribbels. La democrazia italiana aveva una sua scuola, una sua storia, un suo consumato e corroso sistema di riferimenti, e tutto è scomparso insieme alla cortina di ferro che la proteggeva; sostituirla con l’alleanza di media e magistrati della pubblica accusa, più squattrinati e titolari di bellurie, non poteva che danneggiare fino al midollo l’osso della politica; e la grande fantasia del populazzo sta nella sua capacità di far rivivere il sogno, il dream e l’ice cream, di due Grandi Innocenti che si fanno signori nell’aura di delitto.
Politologia per dummies.
Craxi. Il Cav. Renzi. E io
Certe volte mi sputo in faccia. E non c’è niente tra me e me. Lo sputo arriva. Mi dico: Berlusconi, già era il colmo per un signorino della Terza Internazionale detta Komintern. Mi dico: Renzi, addirittura. Capisco Craxi: bastardo, angelo e demonio, era una lue ereditaria, approdo insicuro e nevrotico ma ragionevole per un ex comunista. Serviva a compensare la perdita dell’innocenza criminale, i famosi ideali della tua gioventù cantati dal malinconico Berlinguer. Ma Berlusconi e Renzi abitano altrove. Vengono da qualche incanto. Come hai fatto, cazzo? Bettino con il suo ceto di avvocati meridionali e di amministratori avidi di vita e di oro, eterna vecchiaia del socialismo come programma minimo, con la sua banda di pokeristi che avevano alzato la posta e dicevano «piatto!» quasi ogni giorno, disperdeva l’accademia teorica e moralista dell’infanzia. Disperdeva l’aria saccente della velleità totalitaria, aveva l’istinto dell’oggi, escludeva il domani che canta. Conosceva in politica il valore dei soldi, diffidava di tutti, se ne fregava di piacere, voleva puro potere, ma diviso, affrettato, pragmatico, anticomunista. Apriva le porte del peccato, era tutto un machiavello, rifirmava Concordati, interdiceva l’eterna velleità di affamare i preti, a suo modo era Principe e Stato nuovo.
Craxi era un tuo vicino di casa. Ma a dare conto dell’amore lungo e fedele per Berlusconi, a parte Francesco Saverio Borrelli che stabiliva lui il tracciato per contrasto, ci sarebbero volute due o tre vite. Mi piacciono gli uomini e le donne capaci: la politica la realizzano, oltre che immaginarla e predicarla. I miei idoli sono tutti figure di vigilia della caduta, gente da Triduo pasquale senza resurrezione. Sono rischiosi simulacri della sconfitta imminente, sempre. La loro rigenerabilità , la riproduzione cromosomica, è esclusa in linea di principio. In anni di malavita l’ho messo in rima: prima lo statista del maggioritario venuto da Milano, poi l’icona pop delle libertà civili e intrinsecamente frodatrici, odiatissimo piacione, dominatore dell’immaginazione pelosa del Paese. Che botta, quando il nano di Parigi lo derise. Quando fu fottuto con il suo stesso consenso. Invece di ritirarmi a ignobiltà privata, a frittata quasi fatta, con il di più di una condanna definitiva e pena irrogata, ecco il piccolo chimico da Firenze, quel Matteo che si era escluso dal fronte legale antiberlusconiano, quel ragazzo che gioca alla Fortuna nella ruota femmina, e per questo lo ha sostituito, l’arcinemico, alleanÂdosi con lui contro l’egemonia di mediocri e sventurati.
Quando Craxi cadde ero nel partito di Salò. Un modo di rendere omaggio al diritto di resistenza, alla memoria di chi resisteva quando era martirio, da una parte e dall’altra. In quel tempo non potevo mettere il muso fuori casa. La sconfitta aduggia l’italiano, lo intristisce e lo rende tristo, gli fa venire la pelle d’oca, lo induce al peggio, lo incita alle monetine, al linciaggio, all’infelicità della piccola barbarie. Poi, quasi subito, venne la dichiarazione d’amore e di anticomunismo nello splendore del trentadue pollici, e tutto cambiò nell’Italia-Paese-che-amo.
Un nanosecondo. Ribaldo moschettiere di un’Italia...