La selva oscura
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La selva oscura

Il grande romanzo dell'inferno

  1. 252 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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La selva oscura

Il grande romanzo dell'inferno

Informazioni su questo libro

Edizione speciale digitale: contiene un testo extra sul misterioso male di Dante Un autore tormentato dai versi di Dante, il cui segreto insegue da tutta la vita. Un amore che diventa ossessione, e lo spinge ad attraversare l'Europa sulle tracce del Poeta. In un remoto borgo dell'Alta Baviera, dopo anni di studi e riletture febbrili, sente il bisogno di raccontare: scrive dei thriller, scopre il successo e il grande pubblico. Ma l'ossessione continua. E lui decide di alzare la posta, lanciandosi nella sfida più difficile che un autore possa affrontare: riscrivere il più grande capolavoro della nostra letteratura, presentandolo ai lettori come un romanzo contemporaneo. Una sfida che attraversa sette secoli, un'avventura nella vita dell'uomo Dante e nei misteri della sua opera, che continua ad affascinare per la sua straordinaria modernità. Con l'energia e la raffinatezza di un narratore esperto, Francesco Fioretti ci conduce nell'Inferno dantesco come nel viaggio più incredibile di tutti i tempi, un viaggio che ha per destinazione il Male assoluto. Girone dopo girone, cerchio dopo cerchio, l'Inferno si dischiude con i suoi enigmi e le sue profondità, in un'ambiziosa operazione letteraria che racconta il Capolavoro dantesco mostrandolo ai lettori di oggi in tutta la sua spettacolare potenza.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2015
Print ISBN
9788817079204
eBook ISBN
9788858676714

1

Aveva trentacinque anni, dunque…
A metà del cammino della vita, si era ritrovato in una selva oscura.
Mi ritrovai, dice così: nel senso che solo allora si era accorto di esserci dentro, di aver smarrito la via. Ma in verità erano circa dieci anni – a dir poco – che navigava nel buio. Era, quando se ne accorse, il tempo propizio dell’Incarnazione, la prima luna piena dopo l’equinozio, nell’imminenza della Pasqua. Tempo di Resurrezione: dicono che Dio abbia creato il mondo all’ingresso del sole in Ariete e lui, anche se stava vivendo un periodo confuso della sua esistenza, era già maturo, ma ancora pieno di belle speranze. Non tutto, forse, era perduto. C’era ancora tempo per ricominciare. A metà della vita è quando le aspirazioni e i ricordi se ne stanno sospesi così, come sui due piatti d’una bilancia in perfetto equilibrio…
Lui a dire il vero la chiamava “speranza dell’altezza”… Puro desiderio di elevazione, di spingersi al di sopra di sé, di essere più di quanto era. Si accorse esattamente allora, con rammarico, che aveva dimenticato da tempo speranze di quel genere. Le aveva nutrite per tutto il periodo in cui era stato innamorato di Beatrice…
Cosa aveva fatto in quegli ultimi dieci anni, da quando lei era morta?
Aveva cercato a tentoni di dare un senso alla sua vita, ma in verità si era lasciato trascinare dagli eventi senza una direzione precisa, di qua, di là, dove ti porta il vento quando sei una piuma senza peso, e a volte andresti dovunque, pur di non restare solo, faccia a faccia con la tua disperazione: ed è proprio questa la via, sì, la più sicura per perdere la via…
Insensibilmente, come quando ci si addormenta… Il sonno della ragione… Avvertiva la sensazione di essersi smarrito, di aggirarsi in una selva oscura. Di trovarsi in un fitto sottobosco di rami e rovi, che lo frenava e risucchiava verso il buio. Non avrebbe neanche saputo dire come fosse arrivato fin là, senza riuscire più a venirne fuori…
La sua unica speranza di una via d’uscita, in quei dieci anni, l’aveva riposta nei libri che studiava, cercando affannosamente risposte ai problemi che lo ossessionavano. Si era appassionato alla filosofia morale, che se non altro sembrava promettere, alla fine di un percorso lungo e faticoso, la felicità mentale. Con Guido ne aveva parlato tante volte… E sapeva – almeno questo! – che la felicità è un prodotto della mente, non la trovi nelle osterie, lungo le curve di una donna o sulle bancarelle dei mercanti di tessuti. La felicità è lì da qualche parte, ce l’hai dentro, devi solo scavare, liberarti delle passioni o dei timori fuorvianti. Bisogna addestrare duramente il pensiero – e la parola – a concepirla, non c’è nient’altro e nessuno che ce la possa dare. Se ci si lamenta di qualcosa che ci manca o si dà la colpa a qualcuno che non ci ama, siamo fuori strada, non è così, non è questa la via per ritrovarci…
Era quello che sentiva, allora, ogni volta che apriva un libro di Boezio o Cicerone: che la notte passava, l’angoscia si leniva. Una strana serenità si impadroniva di lui. Leggeva, poi si guardava indietro, perché le buone letture è questo che fanno: leggi, e ti guardi indietro. E si sentiva come un uomo in fuga. Ma il fatto stesso di voltarsi, come un naufrago che contempla dalla riva la tempesta a cui è appena sopravvissuto, era per lui un grande passo avanti. Certo che poi, passato ad Aristotele, le cose si erano un po’ complicate, il linguaggio si faceva più preciso e più difficile, ma s’immaginò il suo percorso di letture come una strada in salita, un pendio abbastanza ripido da scalare, sulla cui cima, tuttavia, il sole stava sorgendo e lo aspettava. Il sole: la verità, il paradiso dei filosofi.
Non fosse stato che per le tre bestie, i tre animali feroci di Geremia, che vedeva ritratti nelle chiese, e che avrebbe rivisto l’anno dopo, rabbrividendo, in quella chiesa di Perugia.
La Lonza della lussuria, il Leone della superbia, la Lupa famelica dell’avidità.
Erano proprio questi i suoi peccati di allora. Dopo la morte di Beatrice non aveva più avuto pace: la vanità egocentrica della sensualità, l’ambizione sfrenata, il desiderio di arricchirsi. Ecco cosa lo allontanava ogni giorno di più dalla preziosa conquista della felicità mentale. In teoria lo sapeva da tempo che era la via sbagliata, ma a volte la cosa più difficile è proprio vivere come si vorrebbe, mettere d’accordo una volta per tutte i desideri e la volontà…
Il narcisistico bisogno di piacere, di far colpo sulle donne, di farle innamorare anche senza alcuno scopo, se non quello di sentirsi potente: una sciocchezza, ma quanto tempo della sua giovinezza aveva sprecato in funzione di una cosa così vana? L’ambizione smodata, la voglia di emergere, di essere sempre tra i primi, a tutti i costi e in tutti i campi… Tutto ciò che faceva nascondeva il desiderio di primeggiare, di vincere ogni disputa, di soddisfare un orgoglio senza fondo. Infine la volontà di arricchirsi, una passione totalizzante, che ti assorbe tutto, e che ti getta nella più cupa disperazione per un investimento sbagliato, o se una congiuntura negativa fa arenare un progetto su cui contavi riempiendoti di debiti.
La Lonza, il Leone, la Lupa. Da questi tre mali erano afflitti lui e l’umanità tutta. Ma fu solo allora che se ne accorse, in quella notte di luna piena, subito dopo l’equinozio: quelle bestie gli precludevano la speranza dell’altezza. Gli riempivano la testa di pensieri mediocri e maligni, distogliendo la sua attenzione da ciò che importava davvero, facendogli scambiare il presente per l’assoluto.
Stava precipitando al fondo di se stesso. Se ne accorse appena in tempo: prima che finisse il Giubileo.
Era una sera della settimana santa, ed era deluso per la via senza sbocco in cui gli sembrava di trovarsi e per ciò che stava accadendo a Firenze, perché intuiva già come sarebbero andate a finire le cose. Sua moglie e i suoi figli erano a letto, e lui, sveglio nella sala del camino, assisteva allo spegnersi del fuoco.
Si alzò inquieto, di punto in bianco, e si diresse allo scaffale dei suoi libri. Prese l’Eneide di Virgilio, un bel manoscritto rilegato in pelle. Si usava così, fare le sortes vergilianae: si formulava mentalmente una domanda e si apriva a caso l’Eneide per trovare risposte ai dubbi del momento. E lui, davanti alla fiamma che si indeboliva, chiuse gli occhi e chiese a Virgilio come uscirne. Aprì a caso il volume, puntò l’indice. Poi lesse:
Questo il bivio: a destra
la via che va verso le mura del grande Dite,
la via per noi verso l’Eliso; a sinistra quella che mette
alle pene dei dannati e all’empio Tartaro…
Raggiungere l’Eliso, la salvezza, passando davanti alle mura di Dite, la città infernale. Questo il viaggio, si disse. Virgilio sembrava suggerirgli che era quello il suo destino: ritrovare il bene dopo avere attraversato tutto il male, arrivare in Paradiso passando per l’Inferno. Forse il dolore che aveva provato non era stato vano. Forse, in quell’epoca di smarrimento collettivo, il suo compito consisteva proprio nel raccontare il viaggio…
Oppure Virgilio lo vide davvero, che lo rimproverava mentre si affliggeva assillato dalla Lupa. Lo vide apparire nella notte al chiaro di luna, pallido, con la voce fioca.
«Ti prego, aiutami» gli avrebbe detto, «chiunque tu sia, uomo o fantasma.»
«Non homo, homo iam fui, et parentes mei fuerunt lombardi. Mantova mi ha partorito…»
Allora lo riconobbe, chinò lo sguardo riverente mentre l’altro continuava: «Nacqui nella tarda età di Cesare, ma vissi al culmine dei tempi, sotto il buon Augusto. Fui pagano, e poeta: cantai del giusto figlio di Anchise che assistette all’incendio di Troia e sopravvisse… A differenza di te, che evidentemente non sai percorrere la via, aspra all’inizio, che ti condurrebbe alla felicità, e risprofondi continuamente nell’abisso dell’insensatezza…».
Arrossì, torcendosi le mani per la vergogna. «Ti prego» gridò, «in nome di tutta la mia devozione al tuo libro, che cerco ogni volta che un dubbio affligge la mia anima… Da te ho imparato con fatica a limare i miei primi versi: ti prego, aiutami, dammi tu la risposta! Lo vedi, mi arrabatto tra questi goffi tentativi di emergere in politica, sono indebitato fino al collo, ho bisogno di denaro, la Lupa maledetta mi strangola, e io…»
«Non è questo il problema» lo interruppe Virgilio. «È un altro il viaggio che devi compiere in questo mondo che ha smarrito la via. Il resto si sistemerà da sé, ma la cosa più urgente, per te, è ritrovare te stesso. I creditori, dici, la Lupa maledetta? Se ti fai risucchiare da pensieri di questa sorta, credimi, non hai più vie d’uscita. La Lupa è così: è insaziabile e tiranna, se ti attrae nella sua orbita distruggerà inevitabilmente la tua vita spirituale, trascinerà i tuoi pensieri in un vortice senza scampo, e si tirerà dietro ogni tipo di male: sono tante le bestie a cui s’accoppia. Ma si annienterà da sola, dammi retta. Oppure verrà un cane da caccia, un Veltro, che la respingerà definitivamente nel brodo primordiale di invidia da cui è stata generata.»
«Un cane da caccia?» chiese lui, confuso.
«Un uomo nato tra poveri panni di feltro, come i pastori. Un nuovo Davide, non avido di terra e di denaro, riscatterà la povera Italia, strangolata dai debiti e dalle speculazioni delle sue banche. Per quanto riguarda te, invece, ti consiglio di seguirmi, per la tua salvezza. Se vuoi ti faccio da guida. Ti mostrerò il territorio eterno del bene e del male, ti farò attraversare tutte le condizioni possibili dell’anima: le sofferenze senza scampo e senza speranza di chi è già morto prima di morire, e quelle terapeutiche di chi non ha perso ancora la speranza dell’altezza. Più in là non posso andare, si entra in un territorio che non mi compete. Ho vissuto in quell’età sospesa tra la morte degli dei pagani e l’avvento della spiritualità cristiana. Ho vissuto nell’età dell’uomo, e solo l’uomo posso mostrarti. Ma ti basterà a ritrovare Beatrice dentro di te, te la ricordi? E con lei potrai avventurarti nei regni vertiginosi della luce…»
«Sì, ti prego» disse lui, «se è questa la via per sfuggire a questo e a mali peggiori, portami dove dici, fino alla soglia di san Pietro…»
Fu così che iniziò la sua avventura.
Mettersi a percorrere tutti i sentieri dell’anima, la gioia e il dolore, la speranza e la disperazione, il caos disarticolato e la dolce sinfonia delle sfere. Immaginarsi l’uomo dal punto di vista dell’Assoluto. Non importa se le cose stessero esattamente come lui se le immaginava: era importante che il punto di vista fosse quello dell’essere che noi chiamiamo “Dio”, l’Amore che muove gli astri e i pianeti, l’energia che pervade l’universo e ci attraversa, quello che lui chiamava “l’Intelletto universale”, che si propaga nel cosmo dove più, dove meno, come la luce, e che nelle stanze del cerebro si fa pensiero, e come tale può più o meno essere con esso in sintonia… Quando si fa luminoso come un’esplosione di gioia, quando si oscura e si addensa come la colpa…
E poi doveva raccontarlo, questo viaggio, perché ognuno possa rifarselo da sé e a suo modo. Per liberare i viventi già in questa vita dalla miseria della loro condizione e portarli per mano alla felicità. Per questo ha scritto il libro: perché fossimo felici.
Fu così che iniziò la sua avventura.
Virgilio s’incamminò e gli fece cenno di seguirlo.
E lui gli tenne dietro.

2

Il giorno se ne andava.
L’imbrunire, come sempre, sottraeva alle fatiche diurne tutti gli altri esseri animati.
Lui solo invece (perché Virgilio non era che un’ombra, o forse una proiezione della sua anima affannata) si disponeva ad affrontare la sua lacerante esperienza, la guerra interiore tra il cammino attraverso il male e la pietà per i peccatori; ed era pronto a registrare tutto nella memoria, che raramente inganna. Si appellò alle Muse, prima di cominciare, perché lo aiutassero a ricordare fedelmente ogni dettaglio di ciò che avrebbe deciso di vedere. Per la memoria è una bella prova di nobiltà ricordarsi non solo le cose reali, ma persino i sogni o le visioni.
Prima ancora di cominciare fu assalito, però, da un forte senso di frustrazione, e già stava per desistere. Lui chi era – si chiese – per ambire a tanto? Sarebbe mai stato capace di scrivere il poema che aveva ideato? Avrebbero detto tutti che era un gran presuntuoso, che si era messo a fare qualcosa di troppo grande per chiunque, non solo per lui. E poi, se era il primo a dubitare delle proprie capacità, figuriamoci gli altri… Infine si disse che non aveva particolari missioni da portare a compimento, che non era un personaggio storico di grande rilievo (come capita a me che ve ne rinarro il viaggio; qualcuno di voi, infatti, forse se lo sta già chiedendo: chi diavolo è? Perché proprio lui?…).
Certo da parte sua Virgilio aveva raccontato la discesa agli inferi di Enea, dalla cui progenie, però, sarebbe discesa la gens Iulia, fino a Cesare, dal quale sarebbe nato l’Impero universale, provvidenziale per la larga diffusione in Occidente del cristianesimo. E la storia che si narrava del rapimento in cielo di san Paolo, anche quella aveva un suo senso: san Paolo, ricettacolo della scelta divina, aveva una funzione di primo piano nel grande disegno della storia della salvezza. Ma lui perché? Non era né Enea né san Paolo, né un eroe antico né un apostolo o un santo dell’era cristiana. Chi avrebbe mai prestato fede alle sue parole? Che titolo aveva per scrivere un’opera così ambiziosa? Non era nemmeno magister a Bologna… Sarebbe stato considerato un folle, sarebbe stato deriso dai contemporanei e dimenticato dai posteri…
Era già sul punto di disvolere ciò che aveva appena voluto.
Ma l’ombra di Virgilio era ancora là, si era fermata poco più avanti, e subito cominciò a parlargli: «La tua anima è avvilita» gli disse; «e questo succede spesso agli esseri umani, ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Copyright
  3. Prologo
  4. 1
  5. 2
  6. 3
  7. 4
  8. 5
  9. 6
  10. 7
  11. 8
  12. 9
  13. 10
  14. 11
  15. 12
  16. 13
  17. 14
  18. 15
  19. 16
  20. 17
  21. 18
  22. 19
  23. 20
  24. 21
  25. 22
  26. 23
  27. 24
  28. 25
  29. 26
  30. 27
  31. 28
  32. 29
  33. 30
  34. 31
  35. 32
  36. 33
  37. 34
  38. Nota dell’Autore e ringraziamenti
  39. Visioni e veleni