La famiglia è la famiglia
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La famiglia è la famiglia

  1. 740 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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La famiglia è la famiglia

Informazioni su questo libro

La famiglia è la famiglia
Ricordi, sogni, incomprensioni, litigi e riavvicinamenti. Storie quotidiane, intime, familiari, raccontate da Catena Fiorello e raccolte in un unico e-box. CASCA IL MONDO, CASCA LA TERRA
Due sconosciute davanti a una vetrina di via Condotti. Basta uno sguardo perché un anno intero scorra nella mente di Vittoria. E come a un animale in pericolo, l'istinto le suggerisce un passo che solo una persona tenace come lei può osare. In un attimo ha deciso: la splendida donna che le sta accanto, Laura, anzi, Lalli, come la chiamava suo marito Alberto nei suoi teneri sms, deve diventarle amica. Avvicinarla con l'inganno, inventandosi una falsa identità, sarà la sua rivincita di moglie ferita, la chiave d'accesso alla verità su quel tradimento. E un modo per riaffermare la sovranità sul suo regno, di cui è sempre stata regina. Nessuno può toglierle ciò per cui ha lottato sin da ragazzina: un marito ricco, i suoi due meravigliosi figli, Eleonora e Matteo, baciati dalla fortuna e protetti da ogni male. E soprattutto la posizione che ha conquistato fuggendo da Squinzano, il paesino pugliese in cui è nata, e cancellando con un colpo di spugna il mondo di miserie dove è cresciuta. Ma questa volta non tutto andrà secondo i suoi piani. Sarà, infatti, proprio Laura, inconsapevolmente, a disegnare sul volto di Vittoria tratti del tutto nuovi e inaspettati, perché c'è un dolore più grande del tradimento, un dolore che può stravolgere un'intera esistenza. Eppure la donna a cui Catena Fiorello ha dato vita in questo suo nuovo romanzo troverà la forza di distruggere le sue certezze e di guardare oltre l'apparenza. Proprio lei, paladina delle apparenze, scoprirà infatti che per sentirsi viva non ha più bisogno di odiare. E che il mondo può cascare ma rialzarsi è possibile, attingendo a quella parte autentica di sé che solo le persone vere – come Vittoria è – hanno il coraggio di riconoscere. DACCI OGGI IL NOSTRO PANE QUOTIDIANO
Una bambina fa i compiti sul tavolo della cucina mentre il fuoco dei fornelli, lento e paziente, trasforma ingredienti semplici in cibo superbo. L'aria è satura di profumi, così intensi che negli anni non si sono dispersi e hanno continuato a sprigionare la loro magia. E spinto quella bimba, oggi una donna, a scrivere il diario della sua famiglia. «Sara, oggi si mangiano grilli?» gridava ogni giorno il padre rientrando a casa, pronto a sedersi a tavola con la moglie e i quattro figli, Rosario, Anna, Catena e Giuseppe. La piccola Catena per molto tempo ha frainteso lo scherzo immaginando un'invasione di insetti, finché ha avuto il coraggio di chiedere una spiegazione.
E oggi, raccontandoci quegli anni, ci confessa che crescere con una mamma che compie magie per far quadrare i conti è tutto fuorché una sfortuna. Perché a vincere è stata sempre la serenità unita alla forza di credere nel futuro, difendendo la propria dignità e valori ben più grandi del benessere economico. Perché la ricchezza era tutta nei piatti che mamma Sara ogni giorno metteva in tavola, ispirandosi unicamente alla sua fantasia, e che la sua viva voce ci ripropone oggi, amalgamati col sapore agrodolce dei ricordi. Ne è nato un libro intimo, commovente, ironico, affollato di personaggi che la penna di Catena Fiorello fa rivivere sulla pagina con la stessa intensit&agrav

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2014
Copertina: Catena Fiorelle: Dacci oggi il nostro pane quotidiano, BUR.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano…

Di grilli mi parlò mio padre molti anni fa.
Grilli commestibili, intendo.
Ero una ragazzina. Avrò avuto dodici o tredici anni; frequentavo le scuole medie ad Augusta – un paese in provincia di Siracusa, dove vivevo – ero alta, magra e soffrivo di crisi di identità. Mi sarebbe piaciuto essere bellissima e, invece, ero uno scopino alto, senza forme, con i capelli a caschetto e tanta voglia di diventare affascinante come Edwige Fenech.
La prima volta che mio padre accennò ai grilli, non capii il motivo della trovata. Perché proprio quegli insetti?
Ne immaginai un’invasione pacifica sulla tavola, pronta a farci compagnia; la scelta, comunque, appariva bizzarra.
Avevo fantasia, e mi impegnavo non poco a immaginare realtà parallele a quella che vivevo. Ma anche mio padre, se devo dire…
Fu la mia salvezza saper volare lontano – e volo ancora oggi – e reperire nel cielo della fantasia tutto ciò di cui avevo bisogno.
E se non fossi stata lo Scopino Volante che ero, oggi questa storia avrebbe un altro significato. E un altro sapore.
Invece, rimane immacolato il senso di quello che abbiamo vissuto e, come un viaggio che non vuole finire, dai grilli è partito, e ai grilli vorrebbe ritornare.

Menu Grilli

Quando mio padre rientrava a casa dalla caserma in cui lavorava – una piccola succursale della più grande caserma della Guardia di Finanza di Siracusa – un giorno sì, e l’altro pure, chiedeva con voce roboante a mia madre: «Sara, oggi si mangiano grilli?».
Davvero, all’inizio non riuscivo a interpretare, malgrado la mia creatività volante, quel dolce segreto che c’era tra loro. Una sorta di linguaggio degli innamorati, che faceva capire a mio padre, con poche parole, che cosa avesse cucinato quel tale giorno mia madre per tutti noi.
Era così bravo a ingentilire le frasi, lui, anche le più ovvie, o quelle dai contenuti più tristi, con caramello fuso e nocciole tostate. Parole di panna, che facevano venire l’acquolina in bocca, anche se parlava di argomenti spiacevoli.
Non una volta abbiamo dedotto dalle sue frasi, o dal tono della sua voce, che ci fosse un problema, o che ne sarebbe arrivato uno a stretto giro: un grattacapo imminente.
E per quanto riguarda i grilli, a dire il vero, l’utilizzo della metafora andò avanti per molto tempo.
Ora i ricordi sono sbiaditi, e non riesco a scovare nel rifugio del mio passato dettagli che mi riportino al giorno esatto, la data, in cui decisi di chiedere ragguagli.
Ma il momento sì, mi è chiaro: rivolsi la domanda a mio padre nel modo più semplice che si possa immaginare, e lui, serafico, mi spiegò che era la maniera più scanzonata per sapere se a tavola avremmo trovato leccornie da giorno di festa o piatti semplici di una famiglia con delle necessità: i grilli, appunto.
In casa nostra non si parlava mai di povertà.
La parola faceva paura a mia madre, e mio padre, che era molto paterno nei suoi riguardi, evitava con cura determinati sostantivi.
Come tutti gli innamorati, faceva ogni cosa per preservarla, proteggerla dai guai del mondo, e filtrare attraverso le sue braccia i dispiaceri della vita, riconsegnandole una realtà più morbida, tollerabile.
Mia madre questo l’ha capito; ancora più dal giorno in cui lui è andato via, e quelle braccia le son mancate per sostenere il peso della vita, affrontarla con le sue difficoltà, rendendola ancora più indifesa. Per questo, a noi figli, è scattato inevitabile l’istinto di protezione, alla maniera di nostro padre, nonostante la forza interiore che la mamma comunque possiede.
Ma si può essere infinitamente forti dentro eppure nostalgici al punto tale da non saperla usare quella forza, che rimane imbozzolata senza alcuna utilità. Mia madre è corazzata solo per reggere i suoi, di guai. Senza chiedere aiuto a nessuno, affronta le prove della vita che la riguardano, ma quando si tratta di noi figli, o dei suoi nipoti, riesce a trasformarsi nella bambina più indifesa del mondo.
Noi tentiamo di proteggerla, cercando di essere degni del compito che il papà involontariamente ci ha lasciato, sapendo bene che non è facile.
Ma la buona volontà è un valore; è su questo che contiamo.
E nella tolleranza di nostra madre.
Immaginavo, dopo i nostri discorsi, dei grilli amici, dei grilli buffi, dei grilli divertenti, dei grilli complici.
Ogni volta che papà lanciava quella domanda, aspettavo ansiosa di conoscere quale soluzione avesse trovato la mamma per la giornata. In pentola non finivano infatti mai grilli della stessa specie, e a volte era davvero sorprendente scoprire come mia madre avesse usato il suo ingegno di cuoca provetta per non annoiarci.
Non deve essere stato facile sfangarla, almeno osservando con una certa meticolosità il lavoro dei miei genitori in quegli anni. Se rivolgo uno sguardo critico al mio passato, credo di potere offrire a tutti e due una medaglia al valore, come educatori, esempi di vita e compagni di viaggio.
Un itinerario con molte fermate, cadute, attese, costellato di speranze e dispiaceri; eppure quello che è rimasto impresso nei nostri occhi è il loro sorriso.
E dunque significa che quella medaglia posso appuntarla senza indugi (non ne avrei comunque) sul petto di mia madre, e dedicarla alla memoria di mio padre, per essere stato il più grande fornitore di grilli divertenti della nostra vita.

Le origini

Sarina Galeano, mia madre, è nata a Giardini Naxos il 16 ottobre del 1935, da Maria Cimasa e Raffaele Galeano.
Prima di lei, era già venuto al mondo Achille, morto a quattro anni di tetano, e Pippo, il fratello tanto amato.
La vita di mia madre, soprattutto nell’infanzia e adolescenza, fu un sentiero lungo il quale di rose e gigli bianchi non se ne videro mai. Una serie di spinose avventure, tutte impregnate di povertà e sofferenza, fecero di lei una bambina sperduta e piena di paure.
La miseria, la morte di sua madre in giovane età, un padre severo e introverso, una nonna troppo arcaica nei modi di fare, le incognite dell’immediato domani e, infine, i bombardamenti degli americani, non furono certo lo scenario migliore per immaginare un futuro felice.
La sua vita e quella dei suoi familiari si svolgeva all’interno di un’unica stanza nella zona di San Giovanni, a Giardini. Nove metri quadrati in cui concentrare la vita di quattro persone: mia mamma, sua nonna Natalizia, chiamata da tutti Natala, nata a Piedimonte Etneo (giovane vedova di un uomo morto in Argentina – uno dei tanti che tentò la fortuna laggiù), lo zio Pippo, e Nina, una cugina compagna di sventura, orfana di madre come lei. Mia nonna Maria e sua sorella Grazia furono infatti vittime della stessa malattia: la tubercolosi. Tutte e due giovani e bellissime, come le ricorda chi ebbe modo di conoscerle.
Mia madre era piccola quando rimase orfana, aveva circa sei anni, e della sua non ricorda nulla.
Nemmeno del giorno in cui arrivò il telegramma che avvisava della sua morte, e lei stava giocando davanti alla porta di casa. Ignara di tutto, troppo piccola per decifrare, continuò a saltare sulla corda anche dopo.
E sorrideva, mentre le parole del postino si perdevano nell’aria di un dolce autunno siciliano. Pippo, invece, aveva captato qualcosa, ma si era voltato da un’altra parte, seccato. Non voleva sapere di più, ingannarsi sarebbe stato meglio.
E poi, a lui, toccava proteggere sua sorella. Era per lei, e per la speranza che si dovevano l’un l’altro. Un buono da usare, se fosse piovuto fango all’improvviso. Ancora una volta.
Quello che rimane oggi ai due fratelli è un portamonete nero (semi-borsetta); un pezzo di pelle tagliato a rettangolo, scucito sui bordi, con una fibbia di ferro oramai sfaldata, arrugginita, e una vagonata di rimpianti per quello che non fu.
In quel borsellino, mia nonna custodiva la miseria che riusciva a mettere da parte dalla sua stessa miseria.
E che cosa poteva resuscitare da quella montagna di pidocchi?
Miseria, concentrata all’ennesima potenza.
La vita di mia nonna fu un vero e proprio coacervo di sventure.
Sposata a mio nonno Raffaele, calzolaio, e uomo di rari gesti d’affetto, conobbe solo l’atroce amica povertà.
Niente da offrire ai suoi figli, tantomeno a se stessa; passava le giornate a ingegnarsi su come affrontare l’ennesima giornata, e mettere da parte qualcosa da mangiare per i tempi più duri. ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Copyright
  3. Casca il mondo, casca la terra
  4. Dacci oggi il nostro pane quotidiano