Libro quarto
Ninì nel Ventuno, coi Falorni, i Bertini, i Sangiorgi e i Neri
Parte prima
1
Sempre, quando la nostra coscienza è inquieta, il passato torna ad aggredirci; e la nostra vulnerabilità è in rapporto alle debolezze a cui abbiamo soggiaciuto. Gli stessi moti di generosità , se ne abbiamo avuti, non sono serviti che a mascherare a noi stessi la nostra vigliaccheria. Come la sera dei fuochi artificiali: spentasi la girandola, il cielo appare terso e compatto; attorno c’è il grande silenzio, in cui rimbomba, più che l’eco, il ricordo dei battimani. Un attimo, la ragione distrugge il sortilegio. Ci si addormenta presentendo l’alba, la sua chiarità e la sua frescura, siccome il gallo ha cantato e dai nidi sorgono i primi bisbigli. Il fischio di un treno, è l’ultima presenza che avvertiamo, poi nel pieno del sonno ci desta il temporale. Così, cinque anni prima di stringere amicizia con Nella, allorché Ninì cominciava a persuadersi d’aver finalmente, sposando Adamo, dato un ordine alla propria vita, e che questa non dovesse mai più riserbarle esaltazioni e cocenti dolori, un seguito di circostanze, tali da incendiare un bosco o incenerirlo nel corso di una nottata, l’aveva costretta ad affrontare, già allora, la prova più terribile, fino a toccare il fondo delle contraddizioni di cui era impastata la sua natura, e della disperazione.
Rimandava di giorno in giorno l’idea di riannodare i rapporti con le vecchie amiche: avrebbe dovuto riceverle, e la casa non era in ordine come desiderava. Lei stessa, dopo aver formulato questo proposito, non si sentiva preparata. Le medesime facce e situazioni e malignità e piccoli intrighi che sapeva l’attendevano, solo a ricordarli, la scoraggiavano. Si trattava di ricominciare, per la seconda e terza volta, portandosi addosso il peso di altrettanti fallimenti che i visi della gente, sempre quelli, sembravano riflettere col segno del tempo che v’era inciso. In essi, cosa poteva trovare di nuovo? Unioni un tempo perfette, ora sfasciate, relazioni di fresca data; chi aveva avuto un altro figlio e chi abortito; qualcuno più ricco e altri sull’orlo della miseria. Il mondo che si andava assestando dopo la guerra, pur tra scoppi e stragi che insanguinavano le strade, non poteva non aver raggiunto anche le sale dei Commercianti, i tavolini di Doney e di Giacosa. Piuttosto che una distrazione, una fatica dovervi prestare interesse, mettersi in pari. "E tu?" "Oh, io…" Era una risposta da dare non ad Anna Maria o a Tina, a Sara Viterbo, a Bice Bellincioni, ma a se stessa. "Sono contenta, sto bene." Le sorelle Amici le avevano scritto un biglietto, si capiva che era stata di Tina l’iniziativa. "Come va, sempre in luna di miele? Si può venire a trovarti? Quando ti farai viva?" "Presto cara, non appena avrò finito di sistemare la casa e di rimettere in ordine, te la ricordi? la villa Sopravingone" ella si era affrettata a rispondere, ma senza ironia, da tempo avevano fatto pace, era affogato nei ricordi il giorno ch’erano venute in commissione, le piccole Amici, per spalleggiare Anna Maria, siccome lei stava portando Folco alla rovina! Ora quell’episodio si componeva nella sua memoria, comico e affettuoso, tutt’uno con l’altro, subito dopo la guerra, ch’erano salite a Vingone coi loro Folco e Giuliano, giovani eroi e giovani sposi! Un post-scriptum di mano di Anna Maria, l’aveva fatta sorridere e scuotere la testa. "Lo sai che Folco è la quarta volta che va a Milano e s’incontra con Mussolini? Avevi proprio ragione tu, e noi non ti abbiamo mai chiesto scusa abbastanza. A proposito, Luciana si sposa. A primavera. Non dovrai mancare assolutamente, d’accordo?" "Ci conto" c’era scritto, come di traverso, in un’altra calligrafia. Lo Scoiattolino s’era dimenticata di firmare. Ella aveva udito la sua fresca voce: "Zia Ninì, donna avvisata!". E come in una nebbia, nella strada piena di nebbia su cui il fiacre traballava, la sua voce ancora, ma lontana, ovattata: "È bello? Come Folco, per esempio?". Ma non s’accompagnava a questo ricordo, né pentimento né rimorso per quello che avrebbe potuto accadere se lui non fosse partito, piuttosto un’oscura rassegnazione. Te la saresti immaginata, Luciana, zia Ninì sposa, qualche mese prima di te, zia Ninì la guerriera?
Mesi, come in un’interminabile, assurda luna di miele, tra le mura della sua vecchia casa di città , che malgrado i diversi parati, la diversa disposizione dei mobili, le cure di Armida, le attenzioni di Adamo, era rimasta uguale. Lei poltriva; ora si sentiva stanca senza una ragione, ora l’emicrania la tormentava; ora aveva perduto il suo sano appetito: la capacità di macinare il cibo di cui un tempo si era mostrata volgarmente orgogliosa. Aveva ripreso in mano qualche libro, più spesso il Notturno, e non riusciva a voltar pagina, a seguire il filo di un discorso: quello poi, martellante, allucinato. Plà cati cuore era la pagina su cui tornava, "e le riflessioni a proposito della morte e della vita". Una lettura che l’aveva esaltata e che adesso le risultava ostica, faticosa. L’ozio, l’indolenza, la conquistavano e l’avvilivano. Vissuta fino ad allora in una continua tensione nervosa, questo torpore, quest’ebetudine, "come dev’essere l’addormentarsi sotto la maschera del cloroformio", la sfibrava. Adamo l’aveva convinta ad andare da un medico: non ricordava d’essersi mai fatta visitare, forse da bambina, si era curata da sé anche la spagnola. "Oh, i dottori, li conosco!" Eppure, docilmente, vi si era lasciata condurre, gli aveva raccontato ordinatamente "la sua storia", gli aveva detto dei suoi disturbi, e la sua vera età . N’era tornata con la prescrizione di qualche scatola di iniezioni. Dei ricostituenti, è naturale, un po’ di calcio, un po’ di valeriana! Aveva avuto come un guizzo della sua antica baldanza: "Non è per caso, dottore, l’età critica che si avvicina?". "A trentacinque anni? Ma una donna come lei, è nel fiore della vita." "Come me? Cioè?", stava per replicare, ma vide Adamo che sorrideva, compiaciuto, e si sentì disarmata. In realtà , qualcosa lentamente franava dentro di lei, sopraffatto dall’inerzia in cui aveva preteso di abituare il proprio spirito. A volte, ella avendone coscienza, si sentiva distrutta. Soltanto il cognac, piuttosto delle medicine, poteva ancora sollevarla, permettendo al suo sangue di circolare come un tempo, prepotente ed aggressivo: sussulti che la sua opposta volontà soffocava. Adamo la spingeva ad uscire, a distrarsi; le proponeva di andare al cinematografo, al teatro, a sedersi da Gilli o al Gambrinus o sulla terrazza della Rosa dopocena, dal momento ch’essa non si decideva a riprendere la sua vita di prima, "a frequentare come una volta" le diceva, "le tue conoscenze, le tue amiche". Ella gli opponeva la propria stanchezza, il lutto per il padre: era ipocrita ma credibile, e un po’ mentendo, un po’ finendo per persuadersi lei stessa: "Si sta tanto bene qui soli" gli rispondeva. "Le conoscenze, le amiche, cosa credi comporti il frequentarle? Nient’altro che della fatica." Né riceveva né vedeva nessuno, se non lui e Armida, sempre più silenziosa e devota, un po’ ingrigita, spenta, ma sempre piena di energia, infaticabile nella cura della casa, nelle premure di cui la ricopriva: questa sua creatura, la più fidata, ed alla quale, ora, anche volendo, non avrebbe avuto più nulla da confidare, sia pure con uno sguardo d’intesa, "come una volta". Nulla; o appena, che sparisca la bottiglia del cognac, avvicinandosi l’ora che rientra il padrone. Nessuno; aveva soltanto accettato un paio di volte, poiché capiva gli avrebbe fatto un "piacere enorme", venisse a pranzo Franco. Il piccolo Bufera, era ormai un giovanotto, e come il babbo parlava un tempo di Adamo:
"È il mio braccio destro" ora Adamo diceva. "Mi diventa sempre più prezioso. Ha preso la licenza da esterno alle Commerciali, con tutti sette e otto. L’otto proprio risolvendo un problema sulla partita doppia. Ma quello che più conta è che, anche per lui, è una gran parte della sua vita, il magazzino."
Ne parlava, come ne aveva sempre parlato, come di un figlio.
"E in certo senso, posso dire di averlo tirato su io. Gli morì il padre ch’era ancora un moccioso, non so se ti rammenti come."
Era un anarchico, il padre di Bufera; e innocente o colpevole che fosse, si trovava in prigione, per via d’un attentato che comunque la polizia aveva fatto in tempo a sventare. Lo trasferivano di carcere, anzi, dalle Murate al domicilio coatto, forse a Lipari o a Ponza, quando tentò di evadere: in un momento che i carabinieri erano distratti, si buttò giù dal treno in corsa per cui, cercando la libertà , si era ucciso.
"Sì, ma" Adamo diceva "era una persona specchiata. Esiste, questo genere di uomini, che per le loro idee sacrificano tutto: lavoro affetti vita… Successe quando Franco era entrato da un paio d’anni in magazzino. Non so se il babbo te l’abbia mai raccontato."
No, il vecchio Batignani, a quel tempo, avrebbe forse voluto informarla, ma essa non l’ascoltava. E ora che il suo interesse per quanto accadeva in Ditta non era diverso da allora, doveva invece dimostrare dell’attenzione, almeno!
Tu sei stato ‘a dozzina’ dalla mamma di Franco?»
Per circa due anni, sì, mi affittava una camera ammobiliata. Poi, come tu sai, lei doveva risposarsi.»
E che donna è? Un giorno o l’altro la dovrò pur conoscere, adesso no per carità .»
Lei?» diceva Adamo. È una donna che ha affrontato la vita col coraggio di un leone. Ora, purtroppo, a causa sembra di una malattia di reni, si trascina a fatica per la casa.»
Col secondo marito non è stata fortunata?»
Eh no» egli sorrideva appena. Tanto è vero che non s’è mai risposata. Questo te l’ho raccontato io, e più d’una volta, te ne sei scordata? Doveva, risposarsi, ma, o lui o lei non ho capito chi fu a ripensarci. Certo è che lui, ch’era un imbianchino come il padre di Franco, finì per emigrare in Argentina e non s’è più fatto vivo.»
E subito "accantonando queste miserie per fortuna", riprendeva a lodare Franco.
Non ha diciotto anni, li compie questo mese, credo, ma ha il cervello di un uomo maturo. Dacché morì suo padre: era un bambino irrequieto, vivo, una vera bufera, già , e cambiò da così a così, a poco a poco. Oh vivo e inquieto è restato, è giovane, vorrei vedere. Ma è cresciuto attento, riflessivo, specialmente riguardo al lavoro. La politica, lui non lo tenterà mai. Voglio dire nel modo che ha distrutto suo padre. Quando ne parla, al massimo gli cavi di bocca che individualisti e anarchici si può essere in differenti maniere, senza per questo vendersi l’anima, dice. Ormai è il mio "ministro". Ma anche il ragazzo che si prese anni fa per le commissioni spicciole e per le pulizie, Vasco, viene su bene. E come a quei tempi Franco guardava me, ora che sono io il principale» diceva Vaschino è come si volesse modellare su Franco. Per esempio, non so se ti ricordi, Franco si ribellava a sentirsi chiamar Bufera, ecco, questo, a chiamarlo Valiski, ti guarda storto. È passata un’altra generazione.»
Già » lei conveniva. Un’altra generazione ancora.»
Noi non s’è fatto in tempo, a fare la guerra» Franco disse una delle poche volte che fu loro ospite. E a certi miei amici gli dispiace come se ci avessero rimesso una gamba, come gli si fosse chiuso ogni avvenire. A me sembra di non aver perso nulla. Mi sembra, al contrario, che la guerra cominci proprio ora.»
Cosa intendi?» Adamo lo provocò.
Ma quanto succede nel mondo, al di là del magazzino.»
E tu, da che parte stai?» Ninì disse.
Egli parve riflettere avanti di rispondere, come accorgendosi di avere per distrazione imboccato una strada sbagliata e si guardasse intorno per orientarsi. Ma subito, con noncuranza, sorridendo:
Se debbo essere sincero, un’opinione precisa non ce l’ho. Non ce l’ha, escluso che per gli affari, neanche il signor Adamo, vero signor Adamo? un’idea precisa».
Adamo scuoteva la testa divertito. Fu allora lei a provocarlo, "questo piccolo saccente", senza malanimo, per inerzia: Hai detto la guerra comincia ora, una considerazione politica, e io ti ho semplicemente chiesto da che parte stai, cioè cosa ti detta l’istinto, nessuno pretende tu abbia idee precise». Rammentò chi e cos’era stato il padre di Franco. Alla tua età si è presi d’assalto dai sentimenti, ed è giusto tu li coltivi.»
Il ragazzo, con la puntigliosità e la logica, "dopotutto infantili", della sua risposta, la sorprese: Io invece credo che a diciott’anni si sia in grado di ragionare. Perciò ho anche detto: ‘se debbo essere sincero’. Essere sinceri, a mio parere, significa non raccontarsi bugie! Aver chiaro il dire e l’agire, trovarsi all’altezza insomma, mi capisce signora? Ecco perché, rispetto alla politica, sul lavoro mi trovo più in equilibrio: quello che via via mi si propone lo so fare, non è vero signor Adamo?»
Se non ti offendi» disse Adamo. Sembrava volerlo baciare in fronte. Sei un gran bufera!»
Era alto magro, pieno di vivacità , e di salute: più si dimostrava ossequiente, educato, più trapelava, suo malgrado, questa sua naturale irrequietezza; e come se il rispetto per il padrone si sostanziasse proprio di questa sua libertà e indipendenza. Nient’altro, del resto, che il lievitare della giovinezza, con la sua vivacità , i suoi entusiasmi, le sue furberie. E un volto aperto dai lineamenti pronunciati ma nobili, un gran casco nero di capelli; lo sguardo ilare e insieme "quasi languido, da andaluso", smentiva l’ambiguità che potevano suggerire le sue parole e sottolineava la sua volontà di proporsi un limite alla confidenza che si prendeva. La sua figura, pur sempre di adolescente, risaltava tutta in quello sguardo che gli illuminava il volto, negli occhi d’uno strano verde, appena tagliati a mandorla, e di cui egli sicuramente conosceva il fascino, per chi ne fosse rimasto affascinato! Sapeva stare al suo posto, disinvolto e compito, e sapeva ravvivare la conversazione. Il cinematografo e i motori, dopo il magazzino, piuttosto dei fatti più grandi di lui ai quali aveva accennato, erano la sua passione.
Il giorno che dovessi vincere al lotto» disse ma non ci gioco, solo i vecchi sperano in queste cose: che giri la bussola, e le tasche ti si riempiano da sé di quattrini: cosa crede, signora, che farei? No, il signor Adamo lo sa, non perderebbe un sottoposto, non gli aprirei una mesticheria a venti metri per liquidare in un colpo la Batignani-Maestri e il Malvestiti, comprerei una Benz, sa di quelle rosse, su cui corrono Materassi e Brilli-Peri? La domenica, allora sì, che mi svagherei, e sarebbe sempre un investimento di capitale. Una Benz che ha fatto qualche migliaio di chilometri, si rivende come nuova.»
Adamo, era perfino disgustoso, fingeva di contrastarlo, e ne era, si vedeva, lui affascinato.
Tua madre cosa ne pensa?» ella disse.
La mamma è d’accordo. Ci salirebbe lei per prima. Non è una donna che ha paura.»
Dovrò pure conoscerla, non ti pare? Una delle prossime volte, falla venire con te, dille che io l’invito.»
Non può muoversi di casa, ma appena è guarita» Franco disse. Né gli si oscurava lo sguardo né era in qualche modo impacciato. Con l’affettuoso cinismo dei giovani, semmai, Ninì pensava, egli aggiunse: È stata curva tant’anni a far bucati e ora, per forza, ha quel risentimento alle reni. Ma passerà presto, l’ho costretta a mettersi sul serio sotto cura».
Certo, avendolo per commensale, il tempo passava più veloce, ma Franco congedandosi, Ninì si sentiva stanca più di sempre, intontita. Mantenere un atteggiamento, dimostrare dell’interesse: e per questa ex lavandaia, per questa ex padrona di casa di Adamo, per la madre dell’"imberbe ministro", non più il ragazzo di bottega, gli eterni argomenti: seguire la conversazione, tutto ciò con cui Ad sperava forse distrarla, la sfiniva maggiormente, la abbrutiva.
2
Nondimeno, ora un po’ allarmata un po’ smarrita, "probabilmente per via delle iniezioni", si accorgeva di stare ingrassando. Armida, aiutandola nel bagno, se ne rallegrava. Anch’essa. Come Adamo: "Ma guardi qui, ma non vede?". Non più "...