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A Carlo,
mio padre
1
Corre da dieci minuti, ormai.
Il primo chilometro, tutto di terra e ghiaia, l’ha praticamente divorato. Non è una da mezze misure. E adesso ha conquistato l’asfalto, che al sole del mattino sembra quasi brillare.
Il paese è ancora lontano. Intorno a lei, filari di vite, intervallati da qualche ciliegio e da ulivi secolari. È un posto magico, questo. Da quassù hai una visuale imperfetta del mondo più in basso: a volte ti sembra lontanissimo, altre così vicino da fare quasi paura. Ma Linda Ottaviani non si lascia spaventare dall’aspetto delle cose: la stranezza non è altro che una forma di fascino, per lei.
Correre di mattina è la sua droga. Lo fa ogni giorno, con il sole o con la pioggia, persino con la neve. Incede sicura, canotta e shorts, scarpe da training rosa fluo e Wayfarer verde acqua a proteggere gli occhi dello stesso colore. Nelle orecchie ha le cuffiette dell’iPod che porta legato al polso, perché c’è una sola regola: non si corre senza musica. Ogni tanto lo avvicina alla bocca e con un comando vocale fa girare la playlist dai Depeche Mode a Lana Del Rey. Prima di uscire si è legata i capelli freschi di shatush in una coda alta, doppio giro di elastico da cui spuntano alcune ciocche spettinate. Non c’è niente da fare, i suoi capelli sono come lei: un caos che non ha senso tentare di nascondere dietro una maschera di ordine. E, proprio come i suoi pensieri, sono indomabili.
Scioglie le braccia scrollandole lungo i fianchi e si prepara ad accelerare l’andatura: corre da mezz’ora, adesso, ma di fiato ne ha ancora abbastanza. Beve un sorso d’acqua mineralizzata, estraendo la piccola borraccia dalla cinta elastica senza fermarsi, e inizia la discesa verso Rugolo, sulle colline trevigiane: una manciata di case colorate, una chiesa e un campanile rosso che batte le nove di un mattino di maggio. In paese è rimasta traccia del passaggio di Štěpán Žavrel, un artista che ha lasciato degli incantevoli murales su alcuni edifici. Linda, professione interior designer sempre in cerca di nuove ispirazioni, ama questo posto, un piccolo paradiso naïf dal sapore antico, in bilico tra due realtà: guarda in alto, verso il monte Pizzoc, un cono che sembra schiacciato dal piede pesante di un dio; e poi guarda giù, verso la pianura, osserva da lassù il Veneto, quello ricco delle città e delle industrie, del buon vino e delle ville di lusso. Se le chiedessero di scegliere a quale dei due mondi appartenere, si farebbe una risata: lei sta bene ovunque, ogni contraddizione è una sfida a cui non sa resistere.
Ha iniziato a sudare, ora: significa che sta correndo nel modo giusto. Alcune gocce le scendono lungo la schiena, altre dalle tempie scivolano sulla pelle ambrata del collo per annidarsi nell’incavo dei suoi seni tonici. Corre veloce, ma non è ancora al massimo. Oltrepassa il bivio della Madonna del Sasso, una bizzarra scultura ricavata da un enorme blocco di pietra, ora ricoperto di rosari e cuori votivi. Manca poco alla Casa Azzurra: è il momento dello sprint finale. Dopo quasi un’ora di corsa, Linda è un fascio di muscoli, tutta l’energia nelle gambe: non pensa più a niente, c’è soltanto la strada. La strada e il suo istinto.
Gli ultimi cento metri li fa di slancio. Il cuore pompa, la testa è leggerissima, i polmoni stanno scoppiando, il corpo sta quasi per cedere.
Stop.
Inspirare, espirare. Tutto rallenta. La fase di defaticamento è la più bella. Il cuore si apre, la mente si svuota. Adesso sì che si sente libera.
Linda ora cammina. Butta giù tre sorsate d’acqua e sintonizza l’iPod su radio Deejay. A darle il buongiorno, la voce nasale di Linus: «Superbia, avarizia, lussuria, invidia, gola, ira, accidia: qual è il vostro vizio capitale del cuore? Insomma, che tipo di peccatori siete? Scriveteci: aspettiamo i vostri sms…».
A quel punto parte 7 Deadly Sins dei Simple Minds. Linda si mette a ridere, scuote la testa, un’espressione divertita le si dipinge sul viso. «Che sondaggio idiota…» le esce fuori a voce alta, proprio a lei che quei vizi, forse, ce li ha tutti quanti.
Però la canzone è sempre pazzesca, pensa, e con uno stacco di gamba guadagna il sentiero.
2
La Casa Azzurra taglia a metà l’antico vigneto di Vill’Alta. È qui che abita Linda, nella casa dei suoi nonni paterni. L’ha restaurata lei, curando ogni minimo dettaglio dell’arredamento con una precisione quasi ossessiva. Più che una casa, è un luogo della memoria, perché come una pelle porta tatuata addosso una storia, tutta scritta nelle cose di cui è fatta: i muri azzurri, gli infissi rosso porpora, i cestoni di paglia intrecciata sotto il patio, le botti nella cantina, le pietre chiare disposte una a una lungo il sentiero del giardino… e poi l’assenza di cancelli e quel silenzio naturale che riempie il cuore. Su un angolo della facciata, da oltre un secolo una meridiana scandisce le ore, proiettando una sottile ombra nera. Linda ne ha ridisegnato i contorni sbiaditi dal tempo con un rosso brillante e ora non fa quasi più caso alla sua presenza, come capita con le cose o le persone che ci sono da sempre.
Appena arriva sotto il patio, si sgancia la cintura elastica con la borraccia vuota e la abbandona sulla soglia. Scioglie i muscoli espirando e si mette a fare un po’ di stretching al fresco del pergolato accanto all’ingresso. Non segue una sequenza precisa, ma un ordine casuale negli allungamenti. Dopo un paio di minuti afferra i pesetti da tre chili, uno per braccio, ed esegue quattro serie di squat, il migliore esercizio per allenare cosce e sedere, come le ripeteva sempre Davide, il suo personal trainer. Che è anche l’uomo con cui Linda ha fatto sesso la sera prima. Uno della categoria “una notte e basta, massimo due”.
Davide Costa l’ha conosciuto nella palestra che frequentava durante l’inverno; poi a marzo ha smesso di andarci – un po’ per l’arrivo della bella stagione (cosa c’è di meglio di una corsa all’aperto per scaricare la tensione da ufficio?) e un po’ perché si è finalmente convinta che gli esercizi sulle macchine non le danno soddisfazione come quelli a corpo libero – e addio al bell’istruttore. Fino a quando, la sera prima, la sua amica Valentina è riuscita a trascinarla al New Wave per il concerto dei Rebel Roots, un gruppo reggae rock che lei non aveva mai nemmeno sentito nominare. Entrate nel locale e attraversati i fumi e la semi-oscurità della sala principale, hanno trovato due posti nel divanetto laterale vicinissimo al palco. E poi, nel momento in cui le luci si sono accese e il gruppo ha iniziato a suonare, eccolo lì. Eh sì, perché il tipo alle percussioni Linda lo aveva già visto da qualche parte e le è bastato un attimo per metterlo a fuoco: Davide, un metro e novanta di divinità greca, ma in una veste tutta nuova. Così, a torso nudo, scalzo, i pantaloni da fachiro, le mani che battevano le pelli di tamburo e i muscoli del petto che ballavano sul ritmo, era sexy da lasciare senza fiato. Quando poi si asciugava il sudore sulla fronte con il braccio, o si chinava a terra per bere dalla bottiglia… un incontro ravvicinato con la perfezione dei corpi.
Appena il gruppo ha smesso di suonare, Linda ha fatto di tutto per intercettare lo sguardo di Davide al bancone del bar. E considerando anche la maliziosa scollatura del suo abitino di jersey turchese, non c’è voluto molto a catturare la sua attenzione…
«Sei bravissimo» si è subito complimentata, avvicinandosi con il suo naturale passo da gatta, morbido e sensuale.
«Trovi?» ha detto lui.
«Assolutamente sì. Hai un’energia pazzesca!»
«Grazie.»
A quel punto il bronzo di Riace si è sciolto in un sorriso. È fatta, ha pensato Linda. Se voglio, è mio.
«Non sapevo fossi anche un musicista» gli ha sorriso anche lei, accarezzandolo con uno sguardo che prometteva tutto.
«In realtà» si è messo a spiegare Davide, «sarei un musicista, prima di essere un personal trainer. Ho studiato percussioni per dieci anni al Conservatorio. Il lavoro part-time in palestra serve solo a mantenermi, è un modo come un altro per coltivare il mio vero sogno…»
«Ma dài» Linda ha disteso le sue labbra carnose in un’espressione di sincero interesse.
«Ti va una birra?» le ha chiesto lui.
Come da manuale, lei ha risposto: «Be’, a un invito alcolico non si dice mai di no» e gli ha strizzato l’occhio. La vita nascosta di Davide aveva acceso il suo interesse: quel ragazzo la attraeva sempre di più… ora sì che valeva la pena di sfoderare le tecniche di seduzione di cui era maestra.
«Tutto bene?» gli ha domandato a un tratto, vedendo che continuava a sollevare le suole delle sue Adidas da terra, come se il pavimento fosse appiccicoso.
«Mi sono distrutto le piante dei piedi su quel palco di legno» ha spiegato. «Qualche spina dev’essermi entrata sottopelle. Mi fa un male…»
«Se vuoi te la tolgo io» ha detto Linda, con un tono che non nascondeva nessuna intenzione.
«Allora ne è valsa la pena, di devastarmi così…» ha sussurrato lui.
Poco dopo si sono ritrovati insieme nella Golf di Davide. Hanno percorso qualche chilometro di collina, finché a un certo punto non ce l’hanno fatta più a resistere. Hanno rallentato, preso una strada secondaria e si sono fermati al centro di un prato deserto. E in macchina hanno consumato tutta la voglia che ormai era diventato impossibile trattenere: una scintilla a cui si poteva solo obbedire.
In fondo, una seconda notte non sarebbe proprio da scartare, sta pensando adesso Linda, mentre stringe bene i pesetti con le mani. Il ragazzo ci sapeva fare, doveva ammetterlo, e subito alcune immagini, fotogrammi di un film appena girato, scorrono rapide nella sua mente: la bocca che si sofferma sul seno, le mani nodose da percussionista strette alla sua pelle sudata, la lingua che si muove a un ritmo quasi tribale nel suo sesso bagnato.
Allunga le braccia in avanti, si piega sulle ginocchia – i piedi ben ancorati a terra – e contrae i glutei, mantenendo lo sguardo fisso su un punto indefinito del muretto di fronte. E solo in quel momento se ne accorge: un pezzetto di carta sbuca sopra i mattoni a vista.
Molla i pesetti con un gesto improvviso, senza cura, e corre alla cassetta della posta. Dalla fessura sul fondo sfila una fotografia di Hanoi.
Sulle labbra le si disegna un sorriso involontario. Sa già chi è il mittente, senza bisogno di girare la cartolina. E quando lo fa, la calligrafia un po’ svolazzante è la conferma che non serviva:
Torno presto.
Baci
Ale
Linda tira un lungo sospiro, quasi teatrale, e sorride di nuovo. Poi pensa a voce alta: «Torno presto? E chi gli crede, a quello?». Alza gli occhi al cielo. «Mah, forse è la volta buona che lo rivedo, ’sto stronzo…»
Lo stronzo in questione è Alessandro Degan, il più grande amico di Linda. O almeno lo era tanto tempo fa. Sono cresciuti vicini, nello stesso mondo, su quelle colline ruvide che hanno plasmato per sempre le loro personalità e le loro vite, così diverse. Sono stati compagni di liceo e poi si sono persi di vista qualche anno dopo il diploma: lui aveva deciso di inseguire il suo sogno, fare il fotoreporter. E quindi era partito. L’amicizia, però, era sopravvissuta alla lontananza, perché Alessandro era riuscito a mantenere la promessa che Linda gli aveva strappato prima che se ne andasse: le aveva mandato una cartolina da ogni Paese in cui era stato. Sempre. E così gli anni erano passati, e Linda ne aveva ricevute davvero tante, dalle zone più sperdute e incredibili del mondo, da Katmandu a Ulaanbaatar, da Samarcanda a Juneau.
Si può dire che Alessandro viva in viaggio, a caccia di storie da raccontare con le immagini. E come le racconta lui, nessuno lo fa: i suoi scatti vanno dritti all’anima, scavando nell’emozione e nella semplicità dei gesti. Ecco perché i suoi reportage finiscono spesso su riviste prestigiose come “Times” o “National Geographic”. Torna raramente in Veneto; in genere fa base a Londra, dove ha sede una delle più importanti agenzie fotografiche per cui lavora. L’ultima volta che è passato di lì risale a cinque, forse sei anni prima. Ma Linda ormai ha perso il conto. Le sembra una vita fa, e l’idea che presto potrebbe incontrarlo la riempie di gioia, le provoca un’eccitazione quasi infantile. Sarà cambiato? Forse invecchiato? E lui, la troverà diversa?
Linda dà un calcio leggero alla porta d’ingresso ed entra in casa, con lo sguardo ancora pieno di tutta la bellezza del mondo là fuori. Poi mette la cartolina al suo posto, vicino all’ultima arrivata da Singapore qualche mese fa. Quando è venuta ad abitare nella Casa Azzurra, ha avuto l’idea di destinare una parete del salotto alle “cartoline” di Alessandro, che sono a tutti gli effetti stampe dei suoi scatti: con un lungo filo di rame ha creato una sorta di spirale sul muro, e ogni volta che arriva una nuova foto ce la appende con una molletta di legno. Insomma, è riuscita a fare della creatività di Alessandro la sua opera d’arte, una specie di colorata installazione sempre in progress.
Subito dopo se ne allontana di qualche passo e la guarda, da una certa distanza: le piace proprio, ed è perfetta lì dove sta. Poi si leva le scarpe e getta i vestiti sulla poltroncina vintage davanti allo scrittoio in legno d’ebano. Lì accanto staziona un’antica stufa nera in ghisa, che d’estate serve per accatastarci libri e riviste di moda e design. Eccolo lì, lo spirito profondo della Casa Azzurra: fuori e dentro nutrita dell’estro di Linda, del suo occhio stravagante sul mondo.
È tutto perfetto e lei, completamente nuda, può finalmente salire le scale in pietra rossa e infilarsi in bagno.
Dopo la doccia si spalma con cura una crema idratante francese a base di ginseng siberiano e si passa il deodorante roll-on sotto le ascelle. Con un’occhiata rapida ispeziona la zona inguine e pensa che più tardi deve ricordarsi di chiamare l’estetista. Indossa slip e reggiseno neri, poi si pettina i capelli biondo cenere ondulati, lunghi fino alle spalle, con un forchettone in legno a denti larghi, facendoli ricadere da un lato del viso. Così sembra un po’ meno bambina di quando li raccoglie, una fascinosa e irresistibile trentatreenne, che dimostra comunque almeno cinque anni in meno di quelli che ha.
Un ultimo sguardo allo specchio, di fronte e di profilo. Solleva le sopracciglia, socchiude leggermente le labbra carnose, prova due o tre sorrisi standard, di quelli a cui è impossibile resistere: fanno ancora il loro sporco lavoro. È pronta.
Sta per prendere Opium, il suo profumo preferito, ma la boccetta le scivola dalle dita e cade a terra.
«Cazzo, nooo!» grida, tirandosi una ciocca com...