L'uomo senza identità
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L'uomo senza identità

  1. 700 pagine
  2. Italian
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L'uomo senza identità

Informazioni su questo libro

Se l'uomo di Musil si è caratterizzato per "la mancanza di qualità" quello di Andreoli descritto in questo romanzo è un uomo privo di identità. Un uomo stanco della follia del mondo e del suo rumore, che fugge in una baia sperduta della Scozia affacciata sull'oceano Atlantico. Circondato solo da uccelli di mare, Franz Gustav farà i conti con i fantasmi del passato e con le molte relazioni che attende ancora di vivere. L'uomo senza identità è dunque la narrazione di un uomo solo che però trova dentro di sé non un doppio ma addirittura una frammentazione, che lo porta a smarrire persino il significato di che cosa voglia dire Io. In quel luogo disabitato nasce la storia di un uomo che appare più ricca ma anche più confusa di quella di una grande metropoli. L'identità, la coerenza, il riconoscimento di principi, tutto diventa indefinibile e Franz Gustav tenterà di immergersi nel proprio profondo fuggendo persino dalla propria sensorialità, chiudendo gli occhi. E in questa immersione incontrerà il vuoto e il nulla. Dopo aver raccontato la fragilità dell'essere umano nei suoi saggi, Vittorino Andreoli mette in scena la frantumazione dell'individuo, la moltiplicazione in frammenti di io che si sdoppiano per imporre il proprio mistero. Un romanzo grandioso, affabulatorio, inevitabilmente autobiografico. Un coraggioso affresco della tragedia che si cela dietro la maschera di una normalità indossata da ognuno di noi. Proprio perché senza un'identità questo personaggio finisce per essere ciascuno di noi dentro una civiltà sempre più rumorosa ma anch'essa sempre più priva di una univocità di senso.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2015
Print ISBN
9788817082112
eBook ISBN
9788858682012
Argomento
Literature

1

Non si chiamava Jonathan il gabbiano fermo sul terrazzo della casa di Inverkirkaig
A Inverkirkaig non c’è nessuno. Una piccola baia sull’oceano Atlantico sperduta nel nord della Scozia. Il mattino faccio colazione con lo sguardo sull’acqua che sale o scende a seconda della marea. Mi preparo i toast, li spalmo di miele d’erica e poi li intingo in un tè leggero. Termino con una mela.
Anche stamattina sul terrazzo, appoggiato sopra il parapetto, c’è un gabbiano. Mi pare quello di ieri. La finestra è chiusa. Qui fa freddo anche se è luglio, e poi tira sempre un po’ di vento. Lo guardo, mi guarda, almeno mi pare.
Non è facile esserne sicuro: ha due occhi simmetrici ed essendo di profilo con uno guarda me, con l’altro non so cosa veda.
C’è la baia, più in là il verde delle colline di Inverpolly, un parco naturale. E non so come faccia a metter a fuoco due cose contemporaneamente. Io non me ne preoccupo, né nel senso dell’analisi scientifica della visione, né della logica dei sentimenti di un gabbiano. Io mi gusto il toast con quel sapore forte del miele prodotto qui vicino.
Faccio finta che non ci sia. È lì fermo, forse mi guarda, altrimenti che ci sta a fare sul mio terrazzo?
L’uomo da queste parti è una discreta attrazione, ma non per un uccello che in un batter d’ali arriva al porto di Lochinver e lì qualche uomo si trova, ci vivono un centinaio di persone.
Non ho un granché da dirgli, non lo invito certo ad andarsene. Qualche volta gira la testa e allora entrambi gli occhi sono da questa parte, e il suo interesse parrebbe essere tutto per me.
È un uccello che non ha niente da fare, come del resto non faccio nulla nemmeno io. Qui non ha senso correre e guardare l’orologio. Intendiamoci, per un gabbiano non c’è niente da fare nemmeno in città, anche se la tentazione di mettersi a correre perché tutti corrono è forte, come succede tra i ragazzi: se uno si mette a pisciare, lo fanno tutti.
Adesso ha anche fatto sparire una zampa. Si regge su una soltanto. Fa impressione perché sembra un veterano di guerra, e poi sostiene un bel po’ di peso perché i gabbiani, lui è uno della specie grigia, sono belli grossi. Del resto non gli manca il cibo, il mare qui è pieno di pesci, basta buttare un amo con attaccato qualcosa e se ne porta a casa uno. No, io non vado a pescare, lo trovo noioso, ma potrei farlo poiché non ho null’altro da combinare, ma è proprio l’idea di occuparmi di qualcosa che mi disturba, poiché mi ricorda la città in cui se non fai avresti dovuto fare.
Se vuole stare lì faccia pure, qui non si danno permessi. Semmai l’avrei dovuto chiedere io ai gabbiani che a Inverkirkaig ci sono da sempre, mentre io sono arrivato da poco, e sono l’unico esemplare della mia specie. Vivo in questa casa sull’oceano. Non vedo il mare da lontano, ci sono dentro, eppure sto seduto, gustandomi questa mela rossa. La sbuccio, anche se è una sciocchezza, ma se non si fanno nemmeno le sciocchezze veramente un uomo sarebbe una statua, almeno qui. Immobile come talvolta sono le pecore o i cavalli che ho visto una domenica. Sembrano dormire in piedi, anche le vacche, quelle che danno la carne della Scozia, famosa perché squisita, ma anche perché qui c’era la mucca pazza da manicomio.
Al gabbiano devo sembrare proprio una statua, mentre lui vuole apparire come un ballerino, con quell’unica gambetta sottile che sostiene, secondo me, un peso di almeno sei-settecento grammi.
Fai quello che vuoi, stai pure sul terrazzo, ma per favore non lordare. Hai la fortuna di poterlo fare in volo, così ti puoi esercitare a tentare di colpire un punto, un obiettivo, come fanno i caccia americani, sempre in cerca di obiettivi sensibili, dimenticando che l’unica cosa da fare sarebbe di colpire la voglia di colpire.
Adesso è tanto che sei lì e comincio a pensare male; non sarai mica un gabbiano a cui piacciono gli uomini? Non conosco nemmeno il tuo sesso, certo è stupido che abbia dato uno sguardo al sottopancia, non sei un toro, uno di quelli rossi o neri che qui si vedono sovente salendo sulle colline che stanno a fianco del mare.
Credo che tu voglia qualcosa da mangiare, ma potrebbe dipendere soltanto dalla mia mentalità umana che si sente gratificata a fare l’elemosina… Ma, senti, che te ne faresti di un pezzetto di toast quando lì in quell’acqua, che adesso è di un blu intenso, avresti già rimediato qualche granchietto, un serpentello di mare che è più tenero, anche se tu lo butti giù per la gola senza nemmeno gustarlo. A meno che non ti sembri più saporito ciò che ti viene dato senza nessuno sforzo.
Io non ti do niente, è meglio che tu lo sappia perché non desidero affatto stabilire una relazione con te che poi sarebbe guidata solo dal mangiare a uffa; saprebbe troppo di umano, di civiltà da cui me ne sono andato. Sono venuto a Inverkirkaig dove c’è solo natura e tu sei natura.
L’ho fissato a lungo perché volevo che fosse chiara la mia posizione, che non si aspetti nulla, e che non si inquieti per l’aspettativa delusa con il rischio di diventargli antipatico che vuol dire odioso.
Io qui voglio stare tranquillo, non deludere nessuno, ma nemmeno avere dei compiti e dei legami con un gabbiano che poi ogni mattino arriva per avere il toast magari spalmato di miele e bagnato in un po’ di tè che però, mio caro, io prendo nature senza aggiunta di latte e senza nemmeno un granello di zucchero e tu, sono sicuro, lo vorresti dolce ed ecco che diventi un problema poiché dovrei comperare anche lo zucchero al villaggio. E così nasce una storia tra un uomo e un gabbiano, e se sei maschio allora siamo alla perversione e se sei una femmina sogni di generare una gabbianella. E rieccomi dentro la civiltà, preso dalla conquista per il sesso, e tu cominci a dire che non me la dai e io mi sento frustrato, soffro e devo andare da uno psichiatra e questo ti manda in manicomio. A Inverkirkaig non arriva nessuno che ti dica «Lei è matto», e così sei sano sempre, purché non ti invaghisca di un gabbiano che credi femmina mentre è un travestito, un trans, e diventi matto anche senza psichiatri. Meglio guardare dall’altra finestra che dà sul prato e osservare le pecore oppure giungere con lo sguardo su quell’isoletta dove c’è una foca, e magari con una fetta di toast quella arriva su queste rocce e si adagia proprio davanti a casa, e ti tenta…
E se ti allontani dalla costa per scappare dai pensieri cattivi, allora girando disperato come il bardo Ossian per le montagne, trovi un cervo o una cerva della specie rossa e se va male una bella vacca, di quelle da postribolo, con quelle tette che fanno concorrenza alle prostitute nere del Ghana che si fanno tre uomini al colpo per tenere i prezzi giù e buttare fuori mercato le albanesi, che sono lente e vanno piano piano.
È meglio tornare al gabbiano e chiedergli chiaramente che cosa voglia.
L’ho guardato dolcemente e gli ho sorriso, anche se subito ho controllato la situazione per non buttarmi via. Lui non sorride, ecco un limite, ha sempre lo stesso sguardo fisso, freddo, e capisco che il sorriso sia una grande dotazione poiché ti permette di svelare un sentimento, ma anche di imbrogliare come in questo caso. Io gli voglio dire: caro, vai fuori dalle scatole, perché mi stai distraendo troppo.
Finita la mela mi prendo un caffè, non quella robaccia che bevono da queste parti, un espresso, e me lo gusto guardando la baia con i gabbiani mentre volano in cielo oppure girano sull’acqua.
È proprio vero, le stesse cose da lontano acquistano molto più fascino, persino una madre o una moglie, quando non ci sono, si fanno gradevoli ed è come se ti richiamassero. Ma da Inverkirkaig non si torna facilmente, dovrei avere le ali. Vattene, ma quello non si muove. E in maniera imprevista, ha piantato anche l’altra zampa sul parapetto del terrazzo, e sbatte il becco contro il vetro in maniera poco gentile, come uno che credi stia bussando e invece butta giù la porta, poiché è un soldato della forza multinazionale che ti invade la casa e ti ammazza per garantirti che non morirai in futuro: il principio della guerra preventiva.
Ho capito, vuoi da mangiare, ma devi arrangiarti poiché vivi in un luogo stupendo in cui con poca fatica e senza perdere dignità trovi da sopravvivere e alla grande. Certo ammazzando qualche pesciolino, o qualche granchio che trovi in bassa marea, e se mi permetti non sei affatto magro, anzi mi pari un po’ in sovrappeso, vatti a pesare e poi guardati nello specchio d’acqua perché tra poco non ti alzi più in volo e sembrerai un maiale.
Faccio finta di nulla, e preparo il mio caffè, e dopo un po’ per fortuna se ne va, a me sembrava incazzato, ma non lo posso dire con certezza perché ha la stessa espressione di quando è giunto sul terrazzo, di quando doveva essere pieno di fiducia, di fede nell’ottenere qualcosa.
Ma sei proprio cretino perché tra un pesciolino fresco e un pezzo di toast, sia pure con il miele d’erica e bagnato di tè, stai meglio con il pesce, comunque de gustibus… e io poi non voglio stabilire una relazione. Buongiorno, e per piacere ognuno al proprio posto.
Lo so, a Inverkirkaig un uomo non dovrebbe venire, ma io mi sento parte della natura e per questo non faccio nulla, come non ci fossi. Tu stai al tuo posto e niente atmosfera interculturale, sono contro questa mania di voler sempre mettere insieme, io voglio stare solo.
La libertà.
Forse tu non lo sai, ma devi evitare ogni tipo di legami, anche quelli che si mostrano piacevoli, rispettosi, arricchenti. Dopo un poco tutti diventano noiosi, pesanti, insopportabili e occorre liberarsene e non è facile perché l’altro sta lì anche se lo cacci via. E allora te ne vai tu. Dove? A Inverkirkaig, ma qui devi stare attento a non sostituire l’uomo con una pecora, con un cane, e lo sai che i pastori scozzesi sono veramente affascinanti, sanno obbedire come nessun altro. Si accucciano e, se non dai ordine di alzarsi, stanno fermi fino alla fine, alla morte.
Persino questa obbedienza stabilisce un legame. Lo schiavo dipende dal padrone, ma il padrone è altrettanto legato allo schiavo che, senza padrone, non percepirebbe la propria identità.
Libertà, caro mio, significa non avere nulla a che spartire con un gabbiano. Nemmeno la colazione del mattino.
Se accetti, subito si pone il quesito del perché non anche il pranzo e poi la cena e tu finiresti per essere sempre qua, e se non capiti finisce che mi preoccupo e guardo nel cielo e mi domando cosa mai ti sia successo, e allora chiamo altri gabbiani per avere notizie. È semplice farlo, basta buttare sulla terrazza un po’ di pane tostato con il profumo del miele e vengono a squadroni e chiedo loro notizie, ma uno dice una cosa e un altro lo contraddice e chiedi precisazioni e li inviti a ritornare più informati e a poco a poco sei pieno di gabbiani che ti girano attorno anche se non vuoi più saperne. E se non gli dai da mangiare, non se ne vanno e stanno lì e aspettano e intanto si lustrano le penne, fanno i loro porci bisogni, e sporcano la terrazza di guano che puzza e tu, che esci a respirare l’aria buona dell’oceano, scivoli su una merda e ti sloghi una caviglia e, siccome qui non c’è nessuno non puoi certo sperare in una guardia medica. E a questo punto non puoi più nemmeno prepararti la colazione, hai finito il miele, sei giù di morale e i gabbiani non si vedono più anche se adesso pur di dimenticare quel clima di morte che ti circonda vedresti bene anche un serpente. Ma non viene nessuno e del resto non volevi vedere nessuno. Non sai fare niente e allora rischi di crepare e comunque hai perduto la libertà, perché se stai male la libertà si rompe.

2

Nel penitenziario di massima sicurezza di Los Talamos un giorno era entrato un moscerino e fu un disastro
La cella in cui si trovava Dom B non era a Inverkirkaig, ma nel penitenziario di massima sicurezza di Los Talamos. Erano pochi i detenuti e nessuno poteva mai conversare con l’altro, e assolutamente mai e per nessun motivo si potevano avvicinare i condannati. Erano troppo pericolosi, capaci di ammazzare anche se costretti dentro una camicia di ferro e con le mani inchiodate ai pali dell’alta tensione.
Dom B aveva ammazzato diciassette persone in sei mesi e purtroppo lo avevano preso proprio il giorno in cui ne aveva in programma altri due. Toccava a papà e mamma che non stavano bene e lui, sensibile al dolore, aveva pensato di guarirli.
A Los Talamos non c’era nemmeno un gabbiano, e non poteva entrare in quella cella di massima sicurezza neanche un pidocchio, non una zanzara e c’era un caldo da morire.
Non era come a Inverkirkaig, quella mattina la baia era avvolta in una grande nebbia che copriva l’oceano e non si vedeva nessuno, tanto che anche durante la colazione Franz Gustav non era riuscito a scorgere nulla dalla finestra e nemmeno poteva sapere se quel gabbiano fosse ritornato.
Dom B non si grattava più perché non c’era nulla nella cella che potesse depositarsi sulla cute e dar fastidio, nemmeno nei luoghi più lontani e di solito preferiti dalle bestie sporcaccione. Dom B non sapeva cosa fare e sentiva la voglia di ammazzare, pensava alla libertà di cui aveva goduto quando era fuori da Los Talamos e viveva in Liguria tra Santa Margherita e Portofino. Poteva ammazzare chi voleva e senza alcuna limitazione. Egli non doveva uccidere nessuno e la libertà è proprio il poter fare quello che vuoi non ciò che devi, e se vuoi soltanto quello che devi, hai già smarrito la libertà.
Camminava per Santa Margherita, dove si incontra gente per bene, ricca e piuttosto bella. Lui guardava le donne e sembravano tutte vergini anche se avevano battuto la riviera dando tutto a tutti. Le guardava una a una e le uccideva con un colpo di pistola, non gli piacevano le ammucchiate, era rispettoso delle personalità. Poi andava a prendere un caffè da Mario al Giglio, e non pagava perché era contro ogni imposizione, ogni dovere. Amava la libertà. Quella vera.
Nella cella di massima sicurezza era libero. Non c’era nessuno e non veniva nessuno, perfino il capo delle guardie carcerarie aveva paura.
Era solo come Franz Gustav a Inverkirkaig.
Si sentiva felice, non troppo felice. Sapeva che l’eccesso è sempre un male. Uno deve fare quello che vuole ma senza che ciò significhi affermare un principio, poiché allora occorre seguirlo e distinguere cosa vuoi da cosa invece non vuoi affatto e cominciano le analisi e diventi un filosofo e scegli una teoria o una filosofia e non sei più libero di fare tue le altre. E non puoi più diventare un razionalista se eri un fenomenologo o un empirista e certo non potresti diventare un teologo se eri un ateo.
E lui voleva essere libero, ma non lo desiderava poiché era libero e se desideri la libertà è segno che non ce l’hai, e lui piuttosto avrebbe ammazzato la libertà in modo che non fosse più un problema perché ogni problema limita la libertà e una libertà limitata è peggio di una minestra riscaldata.
Nella sua cella c’era la libertà poiché nessuno veniva a dare ordini, a controllare, era solo, e soltanto da soli si è liberi, nessuno ti dà fastidio e non puoi provare fastidio di te. Ma se questo fosse accaduto, in un secondo Dom B si sarebbe ammazzato.
Non aveva più la pistola in dotazione. L’aveva consegnata all’ingresso del penitenziario, poiché non voleva che gliela sequestrassero andando contro la sua libertà. Ma aveva due mani che sapevano stringere con la forza di un maestro di arti marziali, uno che ti accarezza e ti sopprime senza nemmeno che te ne accorgi, e lui avrebbe potuto ammazzarsi restando perfettamente in vita e come se nemmeno si fosse ammazzato. E poi sarebbe crepato con il sorriso sulle labbra perché ti viene da ridere al pensiero che uno ammazza se stesso per restare al mondo senza alcun condizionamento.
Nessuno a Dom B può imporre ciò che lui non vuole, nemmeno il Padre Eterno e per non correre questo rischio aveva ammazzato il Padre Eterno in carica.
Nel gesto di ammazzare aveva scoperto la libertà e la cella di massimo rigore era il proprio empireo. Più vasto dell’infinito.
Non c’erano gabbiani a Los Talamos perché lui gli uccelli, di qualsiasi tipo foss...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. 1. Non si chiamava Jonathan il gabbiano fermo sul terrazzo della casa di Inverkirkaig
  4. 2. Nel penitenziario di massima sicurezza di Los Talamos un giorno era entrato un moscerino e fu un disastro
  5. 3. Un uragano mai visto
  6. 4. La rabbia della democrazia
  7. 5. Io, Herr Franz Gustav
  8. 6. Incontro con uno che credeva fossi morto
  9. 7. Herr Franz Gustav sta male, molto male: meno male
  10. 8. Un generale di corpo d’armata
  11. 9. L’abate del monastero di Saint Augustin
  12. 10. Anche Franz Gustav qualche notte sognava
  13. 11. Una lettera
  14. 12. Dom B aveva fame
  15. 13. In verità io amo la psicologia
  16. 14. Un biglietto dentro il mailbox
  17. 15. La signora delle pecore
  18. 16. Senza parole
  19. 17. Una cosa si muove in mare
  20. 18. La pesca miracolosa
  21. 19. Didone
  22. 20. Ragni giganti
  23. 21. Il croft di Ray MacDonald
  24. 22. Progetto e imprevisto
  25. 23. La telefonata
  26. 24. Il dialogo dei sentimenti
  27. 25. Il generale è morto nudo, ma tutto d’un pezzo
  28. 26. Strage a Los Talamos
  29. 27. C’è una matta nei dintorni
  30. 28. Venezia, dentro il sogno
  31. 29. Lettera di uno sconosciuto
  32. 30. Un clandestino al porto
  33. 31. Pezzo dopo pezzo
  34. 32. Lo scrittore di condominio
  35. 33. La buona diseducazione
  36. 34. Chi è lei?
  37. 35. La casa di legno
  38. 36. Un burattino di legno: io-non-so
  39. 37. Alonzo Gutierrez amigo de Franz Gustav
  40. 38. Pace
  41. 39. Franz Gustav non sapeva
  42. 40. La colpa per non percepire la colpa
  43. 41. Di nuovo la matta o una matta nuova?
  44. 42. Un rumore in quel silenzio
  45. 43. La chiesa al di là del ponte
  46. 44. Quando il silenzio urla
  47. 45. Gli angeli avevano coperto la baia di Inverkirkaig
  48. 46. La teoria del sentimento unico
  49. 47. L’uomo di sabbia
  50. 48. Le phénomène humaine
  51. 49. Stanze vuote
  52. 50. Quando gli uccelli ritornano
  53. 51. The Frog’s Royal Bank of Scotland
  54. 52. Franz Gustav e le calze rosse
  55. 53. Un’altra lontra
  56. 54. War Requiem
  57. 55. Lei
  58. 56. Il buio fuori e dentro la Foresta nera
  59. 57. Il Gloria
  60. 58. La Grande Storia
  61. 59. Tra duchi e pecore
  62. 60. Sento le voci
  63. 61. The Noye’s Fludde
  64. 62. Una parola che rovina la vita: morte
  65. 63. Ildegarda Bentham
  66. 64. Ildegarda Uno e Ildegarda Due
  67. 65. Nella baia di Strathan era arrivato un prete
  68. 66. Un papa, forse un antipapa
  69. 67. Un’immagine sacra
  70. 68. E io tremavo
  71. 69. Non c’era niente
  72. 70. Caro Anonimo
  73. 71. Voleva diventare qualcuno
  74. 72. The genius
  75. 73. Il passo di danza della realtà
  76. 74. De libertate mundi
  77. 75. Autoritratto 1
  78. 76. Autoritratto 2
  79. 77. Autoritratto 3
  80. 78. Autoritratto 4
  81. 79. Autoritratto 5
  82. 80. Un pesce che non sa nuotare
  83. 81. Un nulla che dentro l’infinità cerca un altro nulla
  84. 82. Autoritratto 6
  85. 83. Autoritratto 7
  86. 84. Un culo di donna
  87. 85. Franz Gustav lo sapeva
  88. Indice