CAPITOLO UNDICI
La bionda che irruppe nell’aula riservata ai tutor senza nemmeno bussare era davvero carina, il tipo di ragazza con cui Francesco avrebbe passato più di qualche ora in modo assai piacevole.
Era vestita con una succinta minigonna che sarebbe stata più consona a essere usata come cintura che come capo di abbigliamento vero e proprio. Indossava, inoltre, una camicetta con parecchi bottoni lasciati aperti che metteva in risalto un notevole décolleté.
Era senza giubbotto, segno che era una studentessa della facoltà , con tutta probabilità l’aveva lasciato in un’aula dello stesso edificio in cui Francesco riceveva gli altri studenti che avevano bisogno del suo aiuto. La ragazza teneva tra le mani una cartelletta rossa, di plastica dura, quelle che di norma servivano per contenere fogli o documenti.
Si avvicinò a grandi passi a lui che era seduto davanti al portatile, senza nemmeno degnarlo di un saluto.
«Tu!» esplose con la cartelletta rossa puntata in modo accusatorio contro di lui. «Sei il più sporco mascalzone che io conosca.»
Ok, questa è tutta matta.
Francesco non la conosceva, ma a quanto pareva lei era sicura di avere qualcosa contro la sua persona. La sua voce aveva qualcosa di familiare, ma non riusciva a collegarla a nessun ricordo.
Si alzò, sentendosi in una posizione svantaggiata di fronte a quella furia; i suoi pensieri stavano vagliando varie situazioni in cui avrebbe potuto offendere la tipa. Niente. Nella sua memoria di lei non c’era nessuna traccia.
«Sei un porco schifoso!»
E avanti.
«Scusami, ma io non ti conosco, e comunque è da maleducati entrare nell’aula di qualcuno e prenderlo a insulti.» Francesco era arretrato di un altro passo: era meglio mettere dello spazio tra se stesso e quella furia.
«A sberle, ti prenderei, e sarebbe ancora poco, lurido maiale che non sei altro.»
«Adesso basta, o ti calmi un po’ o te ne vai.»
«Come hai osato essere così crudele da farle del male? Ha pianto tutta la sera. Sei un tutor, perdio, è una vergogna il modo in cui tu ti comporti.»
Le parole che la bionda gli aveva buttato addosso con disprezzo gli avevano fatto scattare un campanello d’allarme.
Adesso sapeva chi era la pazza invasata e perché la sua voce gli era sembrata familiare ma non il suo viso.
«Hai ragione. Mi sono comportato da stronzo.»
Francesco si passò una mano sul mento, aveva la barba di un giorno che gli dava quell’aria da ribelle. Si massaggiò piano la mandibola, aspettandosi quasi un cazzotto dalla bella bionda che gli stava davanti.
La sua reazione la lasciò, invece, interdetta e senza parole mentre già stava prendendo fiato per rincarare la dose.
«Credimi, non volevo fare del male a Barbara.» Francesco trasse un profondo respiro e cercò il suo sguardo. «Io e Margherita ci siamo lasciati più di quattro mesi fa. Poi ieri lei è capitata lì e le cose si sono fatte un po’ troppo calde fra di noi. E poi…» Altro sospiro. «Voglio essere sincero con te. Barbara mi spaventa, e ho colto l’occasione che mi offriva la mia ex per tenere le distanze.»
«Ma che cavolo stai blaterando? Barbie ti spaventa? Ma se è buona come il pane!»
Manuela era indignata, e la cartelletta rossa era pericolosamente alzata e brandita come un’arma.
Francesco non arretrò, anzi fece due passi in avanti, senza mai distogliere gli occhi da quelli infuriati di lei. Come se fosse pronto a ricevere i colpi che gli stava per dare.
«Io ho paura che con lei possa diventare una cosa seria» sussurrò lui a voce così bassa che Manuela fece fatica a capire.
«Quindi è per questo che la tratti male?»
Francesco annuì.
«Ma non riesco a non pensare a lei.»
«Quindi?»
«Non lo so. Ho paura di non essere quello che lei si merita.» Francesco si era fatto ancora più vicino, al punto che Manuela ne poteva sentire il profumo. Odore di sapone e dentifricio alla menta. Era difficile non perdonare qualsiasi cosa a un tipo così, la maglia aderente nera che indossava gli fasciava il torace delineando ogni singolo muscolo. Ma lei sapeva che non doveva lasciarsi distrarre dal suo aspetto: era lì per la sua migliore amica.
Alzò lo sguardo su di lui, i suoi occhi erano due profonde pozze scure colme di sincerità .
«Ma vorrei provarci.»
«Se le fai ancora del male, dovrai vedertela con me» lo minacciò. I suoi occhi si strinsero fino a diventare poco più di una fessura. «E io non faccio prigionieri.»
Si girò sui tacchi vertiginosi e fece dietrofront.
Le lezioni di diritto non piacevano a Barbara, ma era un esame obbligatorio e quindi doveva solo stringere i denti ancora per – controllò l’orologio – undici minuti, e poi quella tortura sarebbe finita.
Non aveva visto Manuela quella mattina; sperava di bere il primo caffè della giornata assieme a lei dopo che la sera prima l’amica aveva asciugato le sue lacrime. Alla fine si era decisa a raccontarle che cosa era successo davvero il pomeriggio che aveva incontrato lei e la sua nuova fiamma davanti alla cioccolateria nella vana attesa di Francesco, invece quando si era alzata della sua coinquilina non c’era nessuna traccia.
Le aveva mandato anche un SMS a cui non aveva ricevuto risposta.
Probabilmente aveva qualcosa di molto urgente da fare prima dell’inizio delle lezioni. Poco male, si sarebbero viste a pranzo. Manuela non mancava mai il loro appuntamento senza avvertire.
Il rumore delle sedie scostate con forza fece capire a Barbara che finalmente la lezione era finita. Raccolse la penna e il quaderno degli appunti, e si diresse verso l’uscita scambiando due parole con la sua vicina di banco.
«Ciao.» La voce calda e roca la fece rabbrividire.
Cosa ci faceva lui qui?
«Ci vediamo dopo.»
La voce della sua compagna di banco le giunse lontana, tanta era la sorpresa di vedere la causa delle proprie lacrime fuori dall’aula.
Non doveva dargli corda.
Francesco era bello più che mai, il viso tormentato e le mani nelle tasche dei suoi strettissimi jeans.
Non doveva guardarlo.
«Non è successo niente con Margherita, ieri.»
Oh, mio Dio!
«E non è vero che mi ero dimenticato il nostro appuntamento, è che…» Prese fiato. «Sono uno stronzo.»
Niente da obiettare su questo. Sono pienamente d’accordo.
«Ho bisogno di parlarti. Vuoi dedicarmi cinque minuti? Poi se non mi vuoi più vedere l’accetterò, e ti giuro che non ti starò più fra i piedi.»
Doveva andarsene, lasciarlo lì in mezzo al corridoio dell’aula dove si era appena conclusa la lezione di diritto, con gli studenti che lo fissavano ridacchiando.
«D’accordo, andiamo in cioccolateria. Ho bisogno di un caffè, doppio.»
Barbara sapeva di sbagliare, ma a tutti bisogna concedere una seconda possibilità , no?
Questa volta il locale non era affollato come sempre; senza il solito brusio di sottofondo non ci sarebbe stato bisogno di alzare la voce per capirsi.
Si sedette al tavolino che le indicò Francesco, lontano sia dal bancone sia dalla porta d’entrata. Le ordinazioni erano già state prese dalla solerte cameriera e sicuramente di lì a poco sarebbero arrivate. E ancora lui non si decideva a prendere la parola.
Almeno su questo Barbara non avrebbe ceduto, non avrebbe parlato per prima. Non aveva alcuna intenzione di rendergli le cose semplici.
Lei lo guardava di sottecchi, portandosi alle labbra la tazzina del caffè. Era un bellissimo ragazzo, ma purtroppo sapeva benissimo di esserlo. Tutte le studentesse, e anche qualche professoressa, gli facevano gli occhi dolci. L’unica pecca nel suo aspetto erano i capelli troppo corti. Barbara li avrebbe preferiti lunghi, molto più lunghi. Le piaceva l’idea di poter infilare le dita nella chioma fluente del compagno.
Sospirò e posò la tazzina quasi vuota sul tavolino. Certi pensieri erano inutili, tanto corti o lunghi che fossero stati i capelli di Francesco non voleva averci più niente a che fare.
Lui non la stava guardando, continuava a far girare il cucchiaino nel caffè nel tentativo di sciogliere uno zucchero che non aveva nemmeno messo.
Stava solo prendendo tempo, e lei lo sapeva benissimo.
Un tempo che Francesco sapeva di non avere.
Barbara guardò ostentatamente il piccolo orologio da polso.
Lui bevve il caffè in un solo sorso fregandosene che potesse scottargli la lingua. Aveva bisogno di sostegno.
«Mi dispiace.»
Barbara rimase zitta.
«Non mi stai rendendo le cose facili.»
Non è che tu, ieri, mi abbia steso il tappeto rosso di benvenuto.
«Margherita è la mia ex.»
Buon per lei. Almeno non deve più avere a che fare con te, anche se forse lo vorrebbe ancora.
«E ci siamo lasciati quattro mesi fa.»
Ah, sì...