Capitolo 1
Nightclub shAdoWs, Caldwell, New York
La porta dell’ufficio si spalancò all’improvviso senza che nessuno avesse bussato. Come se qualcuno l’avesse fatta saltare in aria, o fosse stata sfondata da una macchina o da una palla di cannone.
Trez “Latimer” alzò lo sguardo dai documenti sulla scrivania. «Big Rob, sei tu?»
Mentre il buttafuori, vicecapo della sicurezza, cominciava a farfugliare qualcosa e ad agitare affannosamente le mani, Trez lanciò un’occhiata dietro di sé, verso l’enorme specchio unidirezionale piazzato dietro il suo centro di comando in stile Capitano Kirk.
Nel frattempo, il suo nuovo locale rimbombava al piano terra; gli umani vagavano nel vecchio magazzino, ormai trasformato in open space; ognuno di quei poveri bastardi valeva duecento dollari, dipendeva solo da che vizio avesse e da quanto gli servisse per sballarsi.
Era la serata di inaugurazione, allo shAdoWs, e Trez si aspettava delle rogne. Ma certo non del tipo che avrebbe trasformato un buttafuori esperto in una ragazzina di dodici anni.
«Che cazzo sta succedendo?» gli chiese alzandosi e andando verso di lui.
«Io… tu… Io… quel tizio… lui…»
Trova le parole velocemente, pensò Trez, o dovrò tirartele fuori a schiaffi.
Finalmente il buttafuori si decise. «Devi vederlo con i tuoi occhi.»
Trez lo seguì correndo giù per le scale. La porta del suo ufficio si chiudeva da sola. Non che lì dentro avesse dei segreti da nascondere, ma c’erano un paio di bei divani in pelle e qualche monitor per la sicurezza che sarebbero potuti finire su eBay. E inoltre, in generale, non gli piaceva che la gente invadesse i suoi spazi.
«Se ne sta occupando Silent Tom» sbraitò Big Rob quando furono arrivati al piano terra, cercando di farsi sentire nonostante la musica assordante.
«È tipo una perdita di sostanze chimiche?»
«Non lo so.»
About the money di T.I. risuonava così forte dalle casse che Trez fu costretto a oltrepassare la massa di corpi impazziti che lo separavano dal ragazzo della sicurezza che controllava l’accesso al corridoio delle stanze private.
Come nella Maschera di Ferro, l’altro club gestito da Trez, non potevano mancare quei piccoli spazi che garantivano ai clienti una certa privacy. Era già abbastanza difficile gestire un quartiere a luci rosse a Caldwell, senza avere gente che ostentasse corpi nudi alla luce del sole.
«Eccomi qui» disse Big Rob.
Silent Tom era come un muro umano davanti alla porta chiusa della terza stanza del piacere al piano di sotto. Ma Trez non aveva bisogno che gli spiegassero per capire la situazione: il suo olfatto aveva già compreso tutto. L’ingresso era impregnato di odore di lesser, un lezzo dolciastro e insalubre che copriva quello di sudore e sesso degli umani che si trovavano lì.
«Fammi dare un’occhiata» ordinò.
Silent Tom si fece da parte. «Si muove ancora. Qualunque cosa sia.»
Forse si trattava di un assassino. Questi bastardi devono essere uccisi in un modo particolare, altrimenti sopravvivono, anche se ridotti a pezzi.
«Dobbiamo chiamare un’ambulanza» disse Big Rob. «Non…»
Trez gli prese la mano. «Stai tranquillo. E lascia perdere i soccorsi.»
Aprendo la porta ed entrando nell’angusto stanzino, non riuscì a trattenere una smorfia di disgusto per la puzza sempre più forte. I muri e il pavimento neri, il soffitto rivestito di specchi, un’unica luce che illuminava debolmente dal soffitto. L’assassino era rannicchiato nell’angolo opposto, incastrato sotto la panca per il sesso. Gemeva e perdeva un olio scuro, il cui puzzo era un misto di resti di animale morto, biscotti di farina d’avena appena sfornati e borotalco Johnson & Johnson. Nauseabondo. E come sempre quell’odore gli ricordò i dolci di Mrs Fields, che non apprezzava, e i bambini, che non gli piacevano per niente. Controllò l’ora. Mezzanotte. Xhex, a capo della sicurezza, si stava godendo una rara serata di libertà con il compagno John Matthew; Trez aveva dovuto obbligarla a prendersi quella pausa, perché era l’unico momento della settimana in cui il suo hellren non era impegnato con la Confraternita del Pugnale Nero.
Quindi avrebbe dovuto sbrigarsela da solo.
Trez uscì e tornò nell’ingresso. «Vuoi spiegarmi cos’è successo?»
Big Rob gli mostrò fugacemente la mano piena di dosi di polvere e una mazzetta di banconote. «L’abbiamo beccato a spacciare. Ha iniziato ad agitarsi, io l’ho colpito e lui ha reagito… Era indemoniato e quando ha tirato fuori il coltello ho capito che si metteva male. Ho fatto quel che c’era da fare.»
Trez iniziò a imprecare riconoscendo il simbolo stampato sui pacchetti di eroina. Quella roba non aveva a che fare con gli umani, ed era la seconda volta che la vedeva. Si trattava dell’Antico Idioma dei vampiri, e quella merda era di nuovo addosso a un lesser.
Prese la droga e se la mise in tasca. Lasciò il denaro al buttafuori. «Sei stato fortunato che non ti abbia ucciso.»
«Parlerò con la polizia, è stato tutto registrato.»
Trez scosse la testa. «Non coinvolgeremo la polizia.»
«Non possiamo lasciarlo qui.» Big Rob lanciò un’occhiata al suo partner silenzioso. «Sta per morire.»
Trez ci mise un attimo a entrare nelle menti dei suoi due interlocutori. In quanto Ombra, era come qualsiasi vampiro, capace di insinuarsi nel cervello e risistemare pensieri e memoria come fossero divani e poltrone in un salotto. O addirittura rimuoverli del tutto.
Il corpo di Big Rob si rilassò all’istante. «Oh, certo, possiamo lasciarlo qui. Nessun problema, capo. E non ti preoccupare, se qui dentro non vuoi nessuno, non lo avrai.»
Trez gli diede una pacca sulla spalla. «Posso sempre contare su di te.»
Mentre tornava verso l’ufficio non smetteva di imprecare. Aveva lasciato la confraternita mesi prima, quando aveva trovato per la prima volta un assassino con quella merda addosso. Inizialmente aveva voluto andare a fondo alla faccenda, ma nel frattempo la vita si era messa in mezzo: la s’Hisbe che gli dava la caccia, Selena e lui…
Il pensiero casto dell’Eletta gli fece chiudere gli occhi e lo fece inciampare sulle scale. Ma dopo poco reagì. O si comportava da vero maschio o sarebbe crollato in un circolo vizioso. La cosa positiva era che per molto tempo, negli ultimi nove mesi, si era allenato a scacciare Selena dalla sua mente, dalla sua anima e dai suoi sentimenti.
Era quindi abituato a quel tipo di sforzo.
Purtroppo rimaneva una preoccupazione costante, come una lieve febbre che lo perseguitava, non importava quanto tempo dormisse o quanto sana fosse la vita che conduceva. E certe notti diventava molto più di una preoccupazione. Per questo aveva dovuto abbandonare la villa della confraternita per tornare nel suo condominio al Commodore.
Dopotutto, i maschi legati potevano essere pericolosi, e il fatto che non vivesse con lei e non potesse farlo non significava assolutamente niente per lui. Soprattutto dal momento che lei si occupava di nutrire quei guerrieri che per nessuna ragione potevano prendere il sangue dalle vene dei loro compagni.
Era una follia bella e buona.
Lei era un’ancella virtuosa della Vergine Scriba, lui un ex sesso-dipendente con una sentenza capitale che gli pendeva sulla testa; e nonostante ciò, seguendo i suoi istinti più bassi, quella, dal suo punto di vista, era la ricetta per il vero amore.
C’era qualche conto che doveva necessariamente fare.
Cristo, la presenza del lesser agonizzante in una delle stanze del piacere era quasi un sollievo. Almeno aveva qualcosa di cui occuparsi, sicuramente meglio che fissare l’anonima folla di sconosciuti che soddisfaceva le proprie dipendenze con le donne e l’alcol che lui stesso gli forniva.
Mentre aspettava che alla s’Hisbe succedesse l’inevitabile.
Capitolo 2
La Tana, palazzo della confraternita
Rhage diede un’occhiata al titolo del «Caldwell Courier Journal». Dal divano in pelle di V e Butch era costretto a guardare Lassiter a petto nudo che giocava da solo a biliardino. Avrebbe preferito evitare.
L’angelo caduto si stava lavorando il tavolo di V come un giocatore professionista, smaterializzandosi da una parte all’altra e insultandosi da solo.
«Domandina» bofonchiò Rhage, mentre trovava una posizione più comoda per la gamba ferita. «C’è almeno una delle tue svariate personalità che sappia che sei un maniaco schizofrenico?»
«La tua mamma è veramente stupida.» Lassiter si smaterializzò e si riformò dalla parte opposta, facendo rullare le stecche del biliardino. «E così ingenua.»
V si avvicinò e spostò una pila di giornali. «Si chiama sindrome di sdoppiamento della personalità, Hollywood. Non schizofrenia.»
Il Fratello appoggiò il portatabacco in pelle e un pacchetto di cartine sulla pila di «Sports Illustrated»… proprio mentre Lassiter lanciava un urlo di trionfo.
«Oh, guarda un po’» commentò V sottovoce. «Il coglione sta finalmente vincendo.»
Rhage grugnì nel tentativo di trovare una posizione più comoda per la gamba. Lui e V sarebbero dovuti essere fuori a combattere… se non fosse che un lesser l’aveva attaccato con un coltellaccio arrugginito e V aveva una ferita da arma da fuoco alla spalla sinistra.
Se non altro entrambi sarebbero tornati in forma nelle prossime ventiquattr’ore, e questo soprattutto grazie a Selena. Se non fosse stata così generosa nell’offrire le sue vene, non sarebbero guariti tanto in fretta… specialmente considerato che nessuno dei loro compagni era in grado di soddisfare i loro bisogni in quel modo.
Tuttavia odiavano starsene seduti lì come due rottami.
E poi c’era il fattore Lassiter.
La Tana era più o meno come era sempre stata: piena di borse da ginnastica, stereo e computer, il biliardino e la TV con lo schermo gigante. Era accesa su SportCenter, si parlava di football universitario e NFL. C’erano cadaveri di bottiglie di Grey Goose ovunque e il guardaroba di Butch sparpagliato nell’ingresso. Hell of a night degli Schoolboy Q rimbombava nelle casse.
Tuttavia quello non era più un posto per soli scapoli. Nell’aria, persistente, si riconosceva infatti il profumo inconfondibile di Marissa – forse Chanel? – e la borsa della dottoressa Jane era sul tavolino da caffè. Prima di stendersi, V avrebbe dato una bella pulita e buttato tutte le bottiglie vuote rimaste dal pomeriggio e dalla serata. E poi c’erano il «Journal of the America Medical Association» e alcuni numeri di «People».
Oh, e la cucina era pulita, con una fruttiera piena, e un frigo colmo di cibo, oltre agli avanzi di take-away e bust...