Racconti di Padre Brown
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Racconti di Padre Brown

  1. 334 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Racconti di Padre Brown

Informazioni su questo libro

Un piccolo prete miope, schivo al limite dell'ottusità, con un vecchio ombrello che gli cade di mano di continuo: ecco la figuretta che si affaccia con discrezione sulla scena del delitto in tanti racconti di Chesterton. Ma dietro l'aspetto anonimo si nasconde una delle menti più acute che abbia mai attraversato la letteratura poliziesca: quella di Padre Brown, sacerdote cattolico che per anni, nel segreto del confessionale, ha ascoltato con pazienza gli errori e gli orrori dei criminali più incalliti del suo tempo. E chi conosce i peccati degli uomini sa districarsi anche tra i mali del mondo. Bonario e arguto, l'improbabile detective di Chesterton è dotato di un intuito infallibile che lo porta a decifrare misteri in apparenza inspiegabili. Questo volume ne raccoglie i casi più celebri e più amati dai lettori di ieri e di oggi.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2015
Print ISBN
9788817082365
eBook ISBN
9788858680995
RACCONTI DI PADRE BROWN

LA CROCE AZZURRA

Fra il nastro d’argento del mattino e il verde nastro scintillante del mare, il battello toccò Harwich; ne uscì, come uno sciame di mosche, un gruppo di persone, fra cui l’uomo che noi dobbiamo seguire non spiccava in nessun modo... né lo desiderava. Non c’era nulla di notevole in lui, tranne un lieve contrasto fra la gaiezza festiva dei suoi abiti e la gravità ufficiale del suo viso. Indossava una leggera giacchetta grigia, un panciotto bianco e un cappello di paglia con un nastro grigioazzurro. Il volto magro appariva scuro per il contrasto, e terminava in una barbetta nera che sembrava di taglio spagnolo ed evocava i colletti pieghettati dell’epoca elisabettiana. Fumava una sigaretta con la serietà di una persona in ozio. Nulla in lui faceva pensare che la giacchetta grigia nascondesse una rivoltella carica, che il panciotto bianco contenesse una tessera della polizia, e che il cappello di paglia ricoprisse uno dei più acuti cervelli d’Europa; infatti era Valentin in persona, il capo della polizia parigina nonché il più famoso investigatore del mondo, e veniva da Bruxelles a Londra a compiere il più grande arresto del secolo.
Flambeau si trovava in Inghilterra. La polizia di tre nazioni aveva seguito le sue tracce da Gand a Bruxelles, da Bruxelles a Hook, e si congetturava ch’egli avrebbe approfittato dell’insolita confusione dovuta al Congresso Eucaristico che si teneva allora a Londra. Probabilmente avrebbe viaggiato sotto le vesti di qualche impiegato addettovi. Ma, naturalmente, Valentin non poteva esserne certo: nessuno poteva essere certo di qualcosa quando si trattava di Flambeau.
Sono passati ormai molti anni dacché questo colosso della delinquenza smise improvvisamente di tenere il mondo in agitazione; e, quando si ritirò, ci fu, come si disse dopo la morte di Orlando, una gran calma sulla terra. Ma, ai suoi bei giorni (voglio dire brutti, naturalmente), Flambeau era una figura importante e internazionale come il Kaiser. Quasi ogni mattina il giornale annunciava che era sfuggito alle conseguenze di uno straordinario delitto commettendone un altro. Era un guascone di statura gigantesca e di grande audacia fisica, e si raccontavano le più incredibili storie circa le sue improvvise esibizioni di atletica: come voltò all’ingiù il Juge d’instruction, e lo lasciò ritto sulla testa «a chiarirsi le idee», e come corse per la Rue de Rivoli con un poliziotto sotto ogni braccio. Si deve però riconoscergli che la sua fantastica forza fisica era generalmente usata in scene incruente se pur indecorose; i suoi delitti erano principalmente ingegnose rapine. Ma ognuna costituiva un nuovo peccato, e farebbe un racconto a sé. Fu lui che mise in piedi la grande Compagnia delle Latterie Tirolesi a Londra, senza latterie, senza mucche, senza carri, senza latte, ma con migliaia di sottoscrittori che lui serviva con la semplice operazione di trasportare davanti alle porte dei suoi clienti le bottiglie del latte che stavano davanti alle porte degli altri.
Fu lui che mantenne una inspiegabile e intima corrispondenza con una fanciulla cui intercettavano tutta la posta, con lo straordinario sistema di fotografare i suoi messaggi infinitamente piccoli sulle lastre di un microscopio. Una travolgente semplicità era però la caratteristica di molti suoi esperimenti. Si diceva che una volta avesse ridipinto tutti i numeri di una strada nel cuore della notte solo per confondere un viaggiatore cui aveva teso un tranello. È certissimo che inventò una cassetta postale portatile che metteva agli angoli delle vie in sobborghi tranquilli, nella possibilità che qualcuno ci mettesse dentro dei vaglia. Inoltre, si sapeva che era un acrobata impressionante: nonostante la sua persona imponente, poteva saltare come una cavalletta e svanire fra gli alberi come una scimmia. Perciò il grande Valentin, quando partì per trovare Flambeau, sapeva benissimo che le sue avventure non sarebbero finite quando l’avesse trovato.
Ma come trovarlo? Su questo punto le idee del grande Valentin non erano ancora ben chiare.
C’era una sola cosa che Flambeau, nonostante tutta la sua abilità nel travestirsi, non poteva nascondere: la sua notevole statura. Se l’occhio esperto di Valentin avesse scorto un’alta fruttivendola, un alto granatiere, o anche una duchessa abbastanza alta, li avrebbe arrestati su due piedi. Ma in tutto il treno non c’era nessuno che potesse essere un Flambeau travestito, più di quanto un gatto possa essere una giraffa travestita. Sulla gente nel battello Valentin si era già tolto ogni dubbio; e le persone salite ad Harwich o durante il viaggio si limitavano a sei. C’era un impiegato delle ferrovie, piccolo, che andava fino alla stazione capolinea, tre giardinieri piuttosto piccoli saliti due stazioni dopo, una vedova molto piccola proveniente da una cittadina dell’Essex e un piccolissimo prete cattolico proveniente da un villaggio dell’Essex. A proposito di quest’ultimo, Valentin quasi si mise a ridere. Il piccolo prete era tipico di quelle pianure dell’Inghilterra orientale, con un viso rotondo e piatto come quelle focaccette di Norfolk, e occhi incolori come il Mare del Nord. Aveva vari pacchi di carta scura che non riusciva a radunare. Il Congresso Eucaristico aveva indubbiamente risucchiato fuori dalla loro vita stagnante molte creature del genere, cieche e incapaci come talpe fuori dalla terra. Valentin era uno scettico del severo tipo francese e non riusciva a nutrire simpatia per i preti, ma poteva averne pietà, e questo prete avrebbe suscitato la pietà di chiunque. Portava un grosso ombrello di poco prezzo che cadeva continuamente per terra, e non sembrava sapere quale fosse la parte giusta del suo biglietto di andata e ritorno. Spiegava con petulante semplicità a tutti quelli che erano sul treno che doveva fare attenzione, perché aveva una cosa fatta di vero argento «con pietre azzurre» in uno dei suoi pacchetti. La sua strana mescolanza di ottusità e di santa semplicità continuò a divertire il francese finché il prete arrivò (in un modo o nell’altro) a Tottenham con tutti i suoi pacchetti, e ritornò indietro a prendere l’ombrello. Valentin ebbe allora persino la benevolenza di consigliargli di badare all’oggetto d’argento senza parlarne a tutti. Ma, pur parlando con lui, Valentin teneva gli occhi aperti alla ricerca di qualcun altro; stava ben attento se vedeva qualcuno, ricco o povero, maschio o femmina, che superasse i sei piedi: infatti Flambeau li superava di quattro pollici.
Ad ogni modo scese a Liverpool Street, assolutamente sicuro di non essersi fino ad allora lasciato sfuggire il ladro. Andò quindi a Scotland Yard per regolare la sua posizione e disporre che gli procurassero aiuti in caso di bisogno; poi accese un’altra sigaretta e andò a fare un lungo giro per le strade di Londra. Mentre passava per le strade e le piazze oltre la Victoria Station, si fermò improvvisamente. Era una bizzarra piazza tranquilla, tipica di Londra e, in quel momento, assolutamente silenziosa. Intorno, le case alte e piatte apparivano allo stesso tempo ricche e disabitate; l’aiuola nel centro sembrava deserta come una verde isoletta del Pacifico. Uno dei quattro lati era parecchio più alto degli altri, come una pedana, e la linea di questo lato era interrotta da una delle mirabili incongruità di Londra: un ristorante che sembrava uscito da Soho. Era bizzarro e attraente, con alberi nani sistemati dentro dei vasi e lunghe tende a strisce gialle e bianche. Era un bel po’ più in alto della strada e, nel consueto modo affastellato di Londra, una scaletta saliva dalla strada fino alla porta come una scala di salvataggio salirebbe alla finestra di un primo piano. Valentin si fermò davanti alle tende gialle e bianche e le esaminò lungamente.
La cosa più incredibile dei miracoli è che accadono. Qualche nuvola nel cielo si dispone in modo da assumere la forma di un occhio umano; un albero si stacca nel paesaggio di un viaggio incerto con l’esatta ed elaborata forma di un punto interrogativo. Ho visto io stesso entrambe le cose in questi ultimi giorni. E Nelson muore nell’istante della vittoria, e un uomo di nome Williams uccide assolutamente per caso un uomo di nome Williamson: il che suona come un infanticidio. In breve, c’è nella vita un elemento di magica coincidenza che può sempre sfuggire alla gente che bada solo all’aspetto prosaico delle cose. Come è stato ben espresso dal paradosso di Poe, la saggezza dovrebbe sempre contare sull’imprevisto.
Aristide Valentin era profondamente francese; e l’intelligenza francese è assolutamente e unicamente intelligenza. Non era «una macchina pensante», perché questa è una frase insensata del fatalismo e materialismo moderno; una macchina è una macchina, proprio perché non può pensare. Ma era un uomo che pensava, e un uomo semplice allo stesso tempo. Tutti i suoi meravigliosi successi, che sembravano opere di magia, erano stati ottenuti mediante una severa logica, e secondo il limpido e semplice pensiero francese. I francesi elettrizzano il mondo non con dei paradossi, ma sviluppando luoghi comuni. Portano un luogo comune a estreme conseguenze... come nella Rivoluzione francese. Ma, proprio perché Valentin capiva la ragione, capiva anche i limiti della ragione. Solo un uomo che non sappia nulla di motori parla di far andare una macchina senza benzina; solo un uomo che non sa nulla della ragione parla di ragionare senza basi solide e indiscusse. E qui gli mancavano basi solide: Flambeau non si era visto ad Harwich e, se era a Londra, poteva essere chiunque, da un alto vagabondo in un prato di Wimbledon a un alto organizzatore di brindisi all’albergo Métropole. In questo stato di totale ignoranza, Valentin aveva un punto di vista e un metodo suoi propri.
In simili casi lui faceva conto sull’imprevisto; quando non poteva seguire tracce razionali, freddamente e accuratamente seguiva delle tracce irrazionali. Invece di recarsi nei soliti posti: banche, stazioni di polizia, punti di ritrovo, egli andava sistematicamente nei posti meno adatti; bussava a ogni casa vuota, entrava in ogni cul de sac,1 risaliva ogni straducola ingombra di immondizie, percorreva ogni strada tortuosa che lo faceva deviare inutilmente. Difendeva questo sistema pazzesco con molta logica. Diceva che, se si aveva un filo, questo era il metodo peggiore ma che, se non si aveva assolutamente nessun filo, era il migliore, perché c’era la possibilità che qualche cosa di insolito che avesse fermato lo sguardo dell’inseguito potesse fermare anche quello dell’inseguitore. Si deve incominciare da qualcosa, ed è meglio incominciare proprio là dove un altro finirebbe. Qualcosa in quella scaletta che conduceva al ristorante, qualcosa nella calma e nella bizzarria del locale, risvegliò la fantasia romantica dell’agente investigativo, una fantasia per lo più latente, e lo indusse a tentare a caso. Salì i gradini e, sedutosi a un tavolino vicino alla finestra, ordinò una tazza di caffè nero.
Il mattino era inoltrato, e lui non aveva fatto colazione; qualche traccia di altre colazioni sui tavolini gli ricordò che aveva fame e, aggiunto un uovo affogato alla sua ordinazione, cominciò a zuccherare il caffè, riflettendo sempre su Flambeau. Ricordava come Flambeau fosse scappato, una volta servendosi di un paio di tenaglie e un’altra servendosi dell’incendio di una casa; una volta andando a pagare una lettera non affrancata, e una volta facendo guardare alla gente in un telescopio una cometa che doveva distruggere il mondo. Valentin pensava che il suo cervello di investigatore valesse quanto quello del criminale, il che era vero, ma si rendeva benissimo conto dello svantaggio. «Lui è l’artista creatore; e io solamente il critico» disse fra sé con un sorriso agro, poi portò lentamente la tazza alle labbra, e la riposò subito. Ci aveva messo del sale.
Guardò il recipiente da cui proveniva la bianca polvere: era certamente una zuccheriera, così chiaramente intesa allo scopo di contenere zucchero come una bottiglia di champagne è intesa a contenere dello champagne. Si domandò perché ci tenessero il sale. Guardò per vedere se c’erano oggetti più adatti allo scopo: sì, c’erano due saliere piene. Forse c’era qualche particolarità nel contenuto delle saliere, e l’assaggiò: era zucchero. Quindi si guardò intorno con aria interessata, per vedere se ci fossero altre tracce di quel singolare gusto che metteva lo zucchero nelle saliere e il sale nelle zuccheriere. A eccezione di una strana macchia di un qualche liquido scuro sui muri tappezzati di chiaro, il locale appariva ordinato, gaio e comunissimo. Suonò per il cameriere.
Quando questi arrivò in fretta, coi capelli un po’ scomposti e gli occhi annebbiati per l’ora ancora mattutina, l’agente (che apprezzava anche le forme più semplici di umorismo) gli disse di assaggiare lo zucchero e di vedere se era all’altezza della reputazione del ristorante. Il risultato fu che il cameriere improvvisamente sbadigliò e si svegliò del tutto.
«Fate questo scherzo spiritoso ai vostri clienti ogni mattina?» chiese Valentin. «Scambiare lo zucchero col sale è uno scherzo che vi appare sempre nuovo e brillante?»
Il cameriere, quando il significato di tale ironia si fece più chiaro, assicurò balbettando che il locale non aveva certo quell’intenzione: doveva essersi trattato di uno sbaglio stranissimo. Prese la zuccheriera e la guardò; poi prese la saliera e guardò anche quella, assumendo un’espressione sempre più stupefatta. Alla fine si scusò bruscamente e si precipitò via, tornando poco dopo in compagnia del proprietario. Questi esaminò a sua volta la zuccheriera e la saliera, e anche lui parve stupefatto.
A un tratto il cameriere sembrò perdere la parola per l’eccesso di idee. «Credo» balbettò eccitato «che siano stati i due preti.»
«Che preti?»
«I due preti» disse il cameriere «che hanno gettato la minestra sul muro.»
«Gettato la minestra sul muro?» ripeté Valentin, certo che si trattasse di qualche bizzarra metafora italiana.
«Sì, sì» fece il cameriere con enfasi, e indicò la macchia scura sulla tappezzeria bianca «l’hanno gettata là sul muro.»
Valentin guardò con aria interrogativa il padrone, che venne in soccorso con ulteriori particolari. «Sì signore» disse «è verissimo, sebbene io non pensi che abbia nulla a che fare con lo zucchero e il sale. Entrarono due preti e si fecero dare del brodo; era molto presto, e avevamo appena aperto. Erano tutti e due persone molto tranquille e rispettabili; uno pagò e uscì, l’altro, che sembrava sotto tutti gli aspetti un po’ più impacciato, indugiò qualche momento per radunare le sue cose. Ma finalmente uscì; solo, prima di varcare la soglia, prese deliberatamente la sua tazza da brodo, che aveva bevuto solo a metà, e ne gettò il contenuto contro il muro. Io ero di là, e così pure il cameriere; perciò corsi di qui appena in tempo per trovare il muro macchiato e il locale vuoto. Non è danno grave, ma si è trattato di una bella sfacciataggine. Cercai di raggiungere i due nella strada, ma erano già troppo lontani: vidi soltanto che svoltavano in Carstairs Street.»
Valentin era già in piedi, col cappello e il bastone in mano. Aveva deciso che in quell’assoluta oscurità poteva soltanto seguire il primo dito che indicasse qualcosa di insolito, e questo era un fatto abbastanza insolito. Pagato il conto e chiusasi dietro la porta a vetri, svoltò in fretta nell’altra strada.
Per fortuna, anche in simili momenti febbrili, il suo occhio restava calmo e pronto. Qualcosa in una vetrina lo colpì come un lampo: tornò indietro a guardare. Era un negozio di frutta e verdura, con un’esposizione esterna della merce, e i cartellini dei nomi e dei prezzi. Sul mucchio delle noci c’era un pezzetto di cartone con scritto a caratteri marcati in gesso turchino: «Le migliori arance: due per un penny». Sulle arance c’era ugualmente chiara ed esatta la dicitura: «Vere noci del Brasile, 4 pence la libbra». Valentin guardò quei due cartellini e pensò ch...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Racconti di Padre Brown
  4. Chesterton perché
  5. Sommario