Big Magic
eBook - ePub

Big Magic

Vinci la paura e scopri il miracolo di una vita creativa

  1. 230 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Big Magic

Vinci la paura e scopri il miracolo di una vita creativa

Informazioni su questo libro

Prima di tutto, credeteci. Non datela vinta alla paura. E ogni giorno, con perseveranza, semplicità e assoluta leggerezza, mettetevi lì, rimboccatevi le maniche e rinnovate il vostro sogno. Si può fare, parola di Elizabeth Gilbert. L'autrice in questo nuovo libro esplora a fondo per noi il processo creativo, mettendoci a parte della sua esperienza e della sua prospettiva unica: la natura misteriosa dell'ispirazione riguarda tutti, ognuno di noi la contiene, ma spesso non sappiamo dove scovarla. La creatività non è, in fondo, un salto del processo logico? Coltiviamo allora la curiosità, accogliamo con spirito lieve le giravolte della vita, e combattiamo con brio ciò che ci spaventa. Poco importa se il nostro sogno è quello di scrivere un libro, o di diventare attori, o di far fronte al meglio agli impegni di lavoro, o se stiamo invece pensando di intraprendere un'avventura a lungo rimandata. Elizabeth Gilbert ci esorta, con fare scanzonato, a portare alla luce i tesori che ognuno di noi custodisce in sé e ad affrontare la quotidianità a testa alta, con consapevolezza, passione e libertà. Non è difficile, e il mondo ci si spalancherà davanti, fatto di gioia e speranze finalmente raggiungibili. Quindi "fate ciò che vi fa sentire vivi. Seguite le vostre passioni, ossessioni e compulsioni. Fidatevi. Create a partire da qualsiasi cosa provochi una rivoluzione nel vostro cuore. Il resto verrà da sé".

Domande frequenti

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Informazioni

Fiducia

Vi ama?

La dottoressa Robin Wall Kimmerer, mia amica, è una botanica e una scrittrice e insegna biologia dell’ambiente al SUNY College di Scienze ambientali e forestali a Syracuse, New York. I suoi studenti sono tutti giovani e ferventi ambientalisti, seri e giudiziosi, che vogliono disperatamente salvare il mondo.
Prima che si mettano sotto a fare progetti per salvare il mondo, Robin pone sempre loro due domande.
La prima è: «Chi di voi ama la natura?».
Tutti nell’aula alzano la mano.
La seconda domanda è: «Chi di voi crede che la natura corrisponda questo amore?».
Tutti abbassano la mano.
A quel punto Robin dice: «Allora qui abbiamo già un problema».
Ovvero: questi giovani zelanti salvatori del mondo sono davvero convinti che il nostro pianeta sia indifferente a loro. Credono che gli uomini siano soltanto dei consumatori passivi e che la nostra presenza sulla terra sia una forza distruttiva. (Prendiamo, prendiamo, prendiamo e non offriamo niente in cambio che sia di beneficio per la natura.) Credono che gli esseri umani siano su questo pianeta per puro caso e che quindi alla natura non gliene importi nulla dell’uomo.
Gli antichi non la vedevano così, è inutile dirlo. Qualsiasi cosa facessero, i nostri antenati percepivano costantemente la relazione emotiva reciproca instaurata con il mondo fisico che li circondava. Che avvertissero di essere ricompensati o puniti da Madre Natura, erano comunque impegnati in una continua conversazione con lei.
Robin è convinta che in epoca moderna questa capacità di conversare con la natura sia andata persa – che si sia smarrita la consapevolezza che la terra comunica con noi proprio come noi facciamo con lei. Al contrario, ci siamo ormai abituati a pensare che la natura sia cieca e sorda nei nostri confronti, forse perché crediamo che non abbia le caratteristiche intrinseche di una creatura senziente. Il che è in qualche misura un costrutto patologico, in quanto nega la possibilità di una qualsiasi relazione. (Anche la nozione di una Madre Terra punitiva è migliore di quella di una Madre Terra indifferente, se non altro perché la rabbia è una forma di scambio energetico.)
Non essere consapevoli di questa relazione, dice Robin ai suoi studenti, significa mancare un punto importante: quello di poter essere cocreatori di vita. Per dirla con le sue parole: «Lo scambio di amore tra la terra e le persone contribuisce a portare alla luce i frutti creativi di entrambe. La terra non è indifferente nei nostri confronti, ma anzi chiede i nostri doni in cambio dei suoi – è questa la natura reciproca della vita e della creatività».
Per dirla in modo ancora più semplice: la natura ci mette il seme, l’uomo il giardino, ciascuno dei due è grato per il contributo dell’altro.
E Robin inizia sempre da qui. Prima di poter insegnare ai suoi studenti come guarire il mondo, deve insegnare loro come guarire l’idea che hanno di loro stessi nel mondo. Deve convincerli del loro diritto a essere qui (di nuovo: l’arroganza del senso di appartenenza). Deve far sì che comincino a credere di poter essere ricambiati da quell’entità che venerano – dalla natura stessa, l’entità che li ha creati.
Altrimenti, non funzionerà mai.
Altrimenti nessuno – né la terra, né gli studenti, nessuno di noi – ne trarrà beneficio.

La peggior fidanzata di sempre

Stimolata da questo pensiero, faccio spesso agli aspiranti scrittori la stessa domanda.
«Amate la scrittura?» chiedo.
Certo che sì. Ovvio.
Poi chiedo: «Credete che la scrittura vi ricambi?».
Mi guardano con l’aria di chi pensa che dovrei essere internata.
«Certo che no» dicono. Molti rispondono che la scrittura è totalmente disinteressata a loro. E che le volte in cui avvertono la presenza di una reciprocità con la creatività, si tratta perlopiù di un rapporto malato. Spesso questi giovani scrittori affermano persino che la scrittura li odia. Che fa casino nella loro testa. Che li tormenta e li sfugge. Che li punisce, li devasta. Che li prende regolarmente a calci nel sedere.
Per dirla con le parole di un giovane scrittore che conosco: «Per me la scrittura è come quella stronzetta del liceo a cui andavi dietro, ma che ti prendeva in giro solo per potersi fare i fatti suoi. Quella che sotto sotto lo sai che ti farà soffrire, che è meglio se la lasci perdere, ma che chissà perché ti frega sempre. Quella che quando pensi che sia finalmente diventata la tua ragazza, si presenta a scuola mano nella mano con il capitano della squadra di football, fingendo di non conoscerti. E a te non resta che chiuderti in bagno e piangere. La scrittura è il male».
«E quindi» gli ho chiesto, «cosa vuoi fare nella vita?»
«Voglio fare lo scrittore» ha risposto.

Dipendenza dal dolore

Iniziate a capire che è tutto sbagliato?
Non sono solo gli aspiranti scrittori a sentirsi così. Ci sono scrittori adulti e affermati che si esprimono allo stesso modo (da chi pensate abbiano imparato i giovani?). Norman Mailer diceva che ognuno dei suoi libri l’aveva ucciso un po’ di più. Philip Roth non ha mai smesso di parlare delle torture che la scrittura gli ha inflitto per tutto il corso della sua lunga e dolorosa carriera. Oscar Wilde definiva la vita dell’artista «un lungo delizioso suicidio». (Adoro Wilde, ma ho qualche problema a considerare il suicidio delizioso. Anzi, ho problemi a considerare deliziosa una qualsiasi di queste sofferenze.)
E non sono solo gli scrittori a sentirsi così. Vale anche per i pittori. Prendete Francis Bacon: «Disperazione e infelicità sono più utili della soddisfazione, per l’artista, perché disperazione e infelicità estendono la sensibilità». E vale per gli attori, i ballerini e di sicuro per i musicisti. Rufus Wainwright una volta ha ammesso di sentirsi terrorizzato al pensiero di iniziare una relazione felice, temendo di non riuscire ad accedere – senza i patimenti impliciti in un rapporto amoroso disfunzionale – al «nero lago di dolore» che sentiva essenziale per la sua musica.
E non parliamo poi dei poeti.
Basterà dire che il moderno linguaggio della creatività – dei giovani, ma anche dei maestri più affermati – è imbevuto di dolore, desolazione e disfunzionalità varie. Sono innumerevoli gli artisti che sgobbano in solitudine, fisica ed emotiva, dissociati non solo da altri esseri umani, ma anche dalla sorgente stessa della creatività.
Peggio ancora, la relazione che hanno stabilito con il loro lavoro è spesso emotivamente violenta. Vuoi creare qualcosa? Allora tagliati una vena e sanguina. Devi revisionare un testo? Sii pronto a massacrare i tuoi cari. Chiedete a uno scrittore come sta andando il suo libro, e vi risponderà: «Questa settimana finalmente gli ho spezzato la schiena».
E questo se ha avuto una buona settimana.

Un racconto come monito

Tra gli scrittori emergenti più interessanti che conosco c’è una giovane donna di nome Katie Arnold-Ratliff. Katie scrive da dio. Mi ha raccontato, però, di essere rimasta bloccata molti anni per via di una frase rivoltale da un professore di tecniche narrative: «Se mentre scrivi non provi un disagio emotivo, non produrrai mai niente di valore».
In un certo senso posso arrivare a capire cosa intendesse dire il professore di Katie. Forse intendeva: «Non aver paura di spingerti sul ciglio della creatività», o «Non allontanare il disagio che può emergere durante il lavoro», ecco, questi sono concetti perfettamente legittimi. Tuttavia, suggerire che nessuno abbia mai prodotto arte di un qualche valore se non durante un disagio emotivo non solo non è vero, ma è anche malsano.
Ma Katie ci aveva creduto.
Per rispetto nei confronti del professore, aveva preso quelle parole alla lettera ed era giunta a far sua l’idea che se il processo creativo non le procurava angoscia, allora non lo stava facendo bene.
Niente sangue, niente onore, giusto?
Ma il problema era che Katie aveva in mente un’idea per un romanzo che la entusiasmava molto. Voleva scrivere un libro contorto, strano, che secondo lei sarebbe stato fico, e pensava che si sarebbe divertita a scriverlo. Anzi, l’idea le sembrava talmente divertente che finì per sentirsi in colpa. Perché questo implicava che il libro non avrebbe mai potuto avere un valore letterario, giusto?
Così lo lasciò in stand by per anni, orfana della fiducia nella legittimità del piacere che aveva intuito. Sono felice di potervi dire che alla fine ha superato quell’ostacolo mentale e l’ha scritto. E no, non è stato facile, ma si è divertita tantissimo. E sì, il libro è fico.
Che peccato, però, aver perso tutti quegli anni di ispirazione – e solo perché credeva che il suo lavoro non la facesse soffrire abbastanza!
Già.
Guai a chi si gode la propria vocazione.

L’insegnamento del dolore

Sfortunatamente quello di Katie non è un caso unico e isolato.
Sono sin troppe le persone creative a cui è stato detto di non fidarsi del piacere e di avere fede solo nel supplizio. Sono troppi gli artisti ancora convinti che il tormento sia l’unica autentica esperienza emotiva. E potrebbero aver colto questa cupa idea ovunque, dato che è piuttosto diffusa nel mondo occidentale, impregnato com’è della pesante eredità del romanticismo tedesco e del concetto cristiano di sacrificio – entrambi danno eccessivo credito ai meriti dell’agonia.
Nutrire fiducia solo nella sofferenza, tuttavia, è una strada pericolosa. Tanto per cominciare, è risaputo che la sofferenza uccide gli artisti. E se non li uccide, la dipendenza dal dolore può provocare loro disturbi mentali talmente gravi da costringerli a smettere di lavorare. (La mia calamita da frigo preferita dice: «Ho sofferto abbastanza. A che ora migliora la mia arte?».)
Forse anche a voi hanno insegnato ad avere fiducia nelle tenebre.
Magari sono stati artisti che ammiravate a educarvi alle tenebre. A me è successo così. Quando frequentavo il liceo, un professore di letteratura che amavo molto mi disse: «Hai un talento per la scrittura, Liz. Ma purtroppo sei una che non ce la farà mai, perché non hai sofferto abbastanza».
Che cosa contorta!
Prima di tutto, cosa ne può sapere un uomo di mezza età delle pene di un’adolescente? Probabilmente avevo sofferto più io quel giorno a pranzo di quanto avesse sofferto lui in tutta la vita. Ma a parte questo, a che punto, esattamente, la creatività è diventata una gara a chi soffre di più?
Ammiravo quel professore. Pensate cosa sarebbe successo se avessi preso alla lettera le sue parole e mi fossi imbarcata in qualche tenebrosa avventura alla Byron, in cerca di tribolazioni che mi potessero legittimare. Grazie al cielo non l’ho fatto. I miei istinti mi hanno spinta nella direzione opposta – verso la luce, il gioco, verso una relazione di maggior fiducia con la cre...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Coraggio
  4. Incantesimo
  5. Autorizzazione
  6. Perseveranza
  7. Fiducia
  8. Divinità
  9. In conclusione
  10. Ringraziamenti
  11. Indice