Wondy
eBook - ePub

Wondy

Ovvero, come si diventa supereroi per guarire dal cancro

  1. 324 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Wondy

Ovvero, come si diventa supereroi per guarire dal cancro

Informazioni su questo libro

Francesca ha una vita caotica e disordinata, e la ama da matti: il lavoro da giornalista, due bimbi piccoli, gli amici, i viaggi, un marito meraviglioso. Insomma è una mamma che lavora, una Wonder Woman come tante. Ma poi le vengono diagnosticati due "sassolini" al seno ed è allora che deve tirare davvero fuori tutta la sua forza, per impegnarsi a guarire, ma senza smettere di essere una mamma, un'amica, una moglie, una persona felice. Con indosso il costume da Wondy, Francesca sfida il destino a colpi di ottimismo: tra la chemio e i mesi passati sul divano, tra le valigie pronte per un nuovo viaggio e il pc sempre acceso, impara che il tempo è prezioso (e poco), che per tenersi stretto ciò che si ama bisogna imparare a combattere, e che non si deve mai smettere di ridere. La storia vera di una donna vera, da una doppia mastectomia a una nuova terza di reggiseno. Un racconto sul potere straordinario che ogni donna ha dentro di sé. Che lo sappia o no.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2015
Print ISBN
9788817081641
eBook ISBN
9788858680865

1

Giornata perfetta

«Sei una disordinata cronica.» Me lo ripete rassegnato mio marito Ken tutte le volte che non trova nemmeno un piccolo spazio, sul mobile nell’ingresso, per appoggiare le chiavi e il portafogli. Ma se è vero che lo sono in casa – dove spargo pezzetti di carta volanti, vestiti miei e dei bambini, tazze vuote di caffè – sono brava a controllarmi quando si tratta di pensieri, programmi e desideri. Per inseguire le mille idee che partorisco ogni giorno e non so dove mi porteranno, ho imparato sin da bambina a pianificare e a prendere nota di tutto. Nel tempo ho perfezionato questa abitudine e ora tendo a stilare piccole o grandi liste per la mia vita: le cose da fare, le frasi da dire, i viaggi che immagino o i cibi che non ho ancora provato… Se mi guardo intorno, gli unici oggetti che sono sempre in ordine, oltre ai miei intoccabili libri catalogati per casa editrice, sono alcuni quadernetti dalla copertina nera che contengono i miei famigerati elenchi.
Per il resto, sono il prototipo della classica cittadina stressata e le rare volte che mi appisolo di pomeriggio mi sento quasi in colpa. So che è assurdo, ma è più forte di me.
Ho sempre la sensazione di non avere mai abbastanza tempo e così scalpito tra casa, famiglia, lavoro, amici, libri da scrivere e progetti da realizzare. Giornalista, mamma e ottimista di natura, da buona milanese DOC corro sempre come una matta in lungo e in largo e ho la terribile abitudine di riempirmi la vita.
Così, quando d’estate arriva il momento delle meritate vacanze, il mio entusiasmo diventa irrefrenabile. Adoro scappare da Milano, tanto che non mi pesa neanche la preparazione della partenza: faccio i bagagli per quattro, vado ad acquistare le attrezzature che mancano per il trekking, i pattini a rotelle o altre diavolerie simili, stampo tutte le informazioni necessarie su eventi, fiere e ristoranti da testare e riesco addirittura a sistemare la casa. Quando all’ingresso si forma spontaneamente una scultura postmoderna realizzata con sacche, valigie, peluche e zaini posti uno sopra l’altro, in un assoluto e precario equilibrio, è ora di partire!
E il momento in cui spengo le luci di casa e giro la chiave della porta blindata è sempre fonte di estrema felicità. Per qualche anno ha fatto parte delle mie liste un buon proposito: “Fare gite fuori porta, tonificarsi in montagna e all’aria aperta!”. Quindi, ora, nel mio calendario c’è sempre un breve appuntamento con le alture sopra a Lecco. Una casetta in affitto che ci aspetta paziente e un panorama mozzafiato che si regala alla finestra del soggiorno.

Inizi di agosto

Oggi abbiamo deciso di fare una lunga passeggiata. C’è una strada sterrata che porta da casa nostra a una baita isolata e vogliamo arrivarci per l’ora di pranzo.
Mentre la Iena e Attila cercano di comporre un puzzle gigante di Pinocchio sul tappeto, Ken e io prepariamo gli zaini. Il mio è pieno di cose: la borraccia con l’acqua fresca, fazzoletti di carta, «Corriere della Sera» e «la Repubblica», occhiali da sole per tutti, cellulari, pacchetti di crackers, due cerotti e chiavi di casa. Ken invece si mette sulle spalle lo zaino porta enfant. Attilino ha quasi due anni e cammina volentieri, ma non conosciamo il sentiero né sappiamo quanto ci metteremo, quindi è meglio essere previdenti.
Ricevo un sms.
“Ciao Wondy, eccoci! Siamo pronti, ci troviamo in cima alla salita fra cinque minuti.”
Digito “Ok”. Vengono con noi anche Roberta, Carlo e i loro due figli della stessa età dei nostri.
«Ragazzi, siamo pronti. Fare pipì e tutti fuori.»
Aiuto i cuccioli ad allacciare gli scarponcini da montagna e vengo assalita da un’ondata di orgoglio. Siamo tutti e quattro in calzoncini, con i calzettoni lunghi e delle magliette trucide, quelle che a Milano non indosseresti mai. Siamo proprio una bella famiglia.
Anche se è il più piccolo, Attila con la palla in mano chiama a rapporto la sorella e gli altri due amichetti, intanto Roby e io ci baciamo ancora mezze addormentate mentre Carlo e Ken danno un’occhiata veloce alla mappa che segna il sentiero da prendere. Non perdiamo tempo e la truppa si incammina a passo lesto. I bimbi giocano a rincorrersi e noi adulti chiacchieriamo senza sosta. Siamo finalmente in vacanza e ci godiamo il fresco delle prime ore del mattino.
I miei cuccioli hanno già trascorso due settimane al mare con i nonni Tati, come chiamano loro mia mamma e suo marito, lasciandoci liberi e permettendoci di assaggiare il sapore delle quasi-ferie in città. Siamo riusciti ad andare al cinema all’aperto in un piccolo chiostro di fianco al tribunale, abbiamo assaporato senza fretta granite siciliane al pistacchio e al caffè, una sera Ken mi ha preparato un’enorme impepata di cozze e abbiamo trascorso meravigliose serate sul divano con il condizionatore acceso, tutte le luci spente, un film thriller davanti, un piatto di sushi sulle gambe e una birra per terra.
Ma bisognava attendere questo momento, in mezzo ai boschi e lontani dal lavoro, per sentirsi davvero in vacanza.
Entrambi giornalisti, siamo reduci da un’annata molto faticosa. Mio marito si alza alle cinque dal lunedì al venerdì e io faccio turni in redazione spalmati su sette giorni. Ho due giornate di riposo ma sono sempre diverse e spesso non ho il weekend libero. Cambio orario di continuo, così a volte mi tocca il primo turno, dalle sei e trenta, a volte l’ultimo, che termina alle ventidue. Non so cosa significhi “bioritmo”, cosa voglia dire fare colazione alle sette e mezzo ogni mattina o cenare tutte le sere in famiglia. Non so cosa voglia dire mettere sempre a letto i bimbi né essere sempre io a svegliarli. Questo succede da moltissimi anni. Quando non avevo figli era meno impegnativo, adesso è molto più complicato. Se non avessi una fantastica tata disposta a fare orari assurdi come me e Ken, non potrei lavorare. Ma ogni cosa che faccio mi è indispensabile, mi dà uno sguardo e un respiro più aperti, tiene in vita progetti e sogni.
Quest’anno poi è più duro degli altri non solo perché i bimbi sono ancora piccoli, ma anche perché sono riuscita a laurearmi di nuovo. Quando ero incinta della Iena avevo deciso di studiare ancora. Avevo scoperto un corso di laurea biennale in Scienze Antropologiche ed Etnologiche e potevo accedervi con la mia laurea in Filosofia. Mi ero appassionata all’idea e il piano di studi era affascinante: antropologia dello sviluppo, storia del pensiero islamico, antropologia delle religioni… Si trattava di corsi che, speravo, avrebbero colmato i numerosi buchi neri della mia formazione. Ogni giorno si parla di sunniti, sciiti, Corano, jihad e guerre di religione ma anche tra noi giornalisti regna sovrana tanta ignoranza. Volevo saperne un po’ di più. Quando viene a trovarci, mio padre ci ripete sempre che noi giornalisti siamo dei tuttologi che parlano di tutto ma non sanno niente. Devo ammettere che in parte l’egregio-professore-ingegnere ha ragione.
«Sono stanca, quando arriviamo?»
La litania è cominciata. La Iena inizia ad arrancare e a trascinare le suole sullo sterrato, ma la strada è ancora lunga.
«Forza piccoli, che fra poco ci facciamo una super mangiata.» Anche Attilino, che si è appisolato nello zaino cullato dai passi del papà, si è risvegliato e inizia a mugugnare.
Inventiamo giochi, ci mettiamo a cantare tutti e otto e, dopo aver superato un ultimo e faticoso falsopiano, vediamo una deviazione e un’asse di legno con il nome della baita scritto in rosso. «Arrivati al traguardo!» urlano gli uomini e come d’incanto tutti cominciamo ad affrettare il passo.
Ai lati del sentiero ci sono dei cavalli, i bimbi si distraggono e percorrono veloci gli ultimi duecento metri che ci dividono da panche e tavoli in legno. Ken e Carlo vanno dritti dal proprietario e ordinano salumi e formaggi in gran quantità, Roberta e io buttiamo gli zaini per terra e ci sediamo.
Siamo tutti un po’ stanchi, ma è una stanchezza voluta, completamente diversa da quella che ti attanaglia alla fine di una giornata lavorativa. Sento le gambe pesanti, il sudore lungo la schiena ma anche il cuore che pompa e il profumo dell’erba.
Non appena arrivano i vassoi con salame, bresaola e formaggi freschi con il miele sbraniamo tutto.
Il cielo è azzurro, il verde del bosco è luminosissimo, i sorrisi e le risate dei bambini ci aprono il cuore mentre noi grandi sfogliamo con calma i quotidiani del giorno.
Ci stendiamo sul prato. Sbottono la camicetta e mi faccio scaldare dal sole.
I fili d’erba mi fanno il solletico dietro le orecchie e sento formarsi un sorriso sulle mie labbra.
Quando il sole inizia a scendere ci facciamo una serie di fotografie. Il contesto, le pelli leggermente abbronzate, la scenografia, i colori della natura sono spettacolari e nell’obiettivo risaltano la luce degli occhi e i denti bianchi dei nostri sorrisi.
Al ritorno non affrontiamo la passeggiata per la seconda volta, ma raggiungiamo una fermata dell’autobus locale ognuno verso casa propria. Doccia uno dietro l’altro e ci prepariamo una cena leggera a base di carne rossa, insalata e frutta fresca di stagione.
Dopo, tutti in branda.
I piccoli crollano nel loro letto a castello e io e Ken ci facciamo due coccole in attesa di gettarci tra le braccia di Morfeo.
Una giornata d’estate.
Perfetta.

2

My name is Wondy

Sono Wondy per tre semplici motivi.
Primo.
Lo sapete già. La mia fissa per la supereroina, nata da bambina e mai superata.
Secondo.
A poco più di vent’anni i miei amici Marco e Alessandro hanno trasformato la mia fissa in un soprannome. E questo nomignolo nessuno me lo ha più tolto di dosso. Non ne ricordo le vere origini, ma io mi sentivo davvero una sorta di mini Wonder Woman che faceva di tutto. Studiavo Filosofia in università, lavoravo come giornalista e mi pagavo l’affitto di un (ai miei occhi) meraviglioso monolocale di trenta metri quadrati. Di quel periodo ricordo un triste frigorifero vuoto, un freezer pieno zeppo di pasta surgelata, un bagno microscopico con mattonelle rosse fino al soffitto e un letto soppalcato. Ho avuto una giovinezza spensierata e, come la mia omonima eroina, volavo spesso. Ma con la fantasia.
Terzo.
Negli anni Novanta il Wonderbra era un must, un oggetto quasi magico: con tutte le sue imbottiture davanti e di lato trasformava in una donna prosperosa anche un asse da stiro. Ricordo che lo tenevo in un cassetto come un gioiello prezioso da indossare solo per occasioni speciali…
Ora che sono alla soglia dei quaranta (oddio!) non mi serve più un reggiseno push-up, in silicone o imbottito. Oggi, non l’avrei mai pensato, ho un seno che sta su da solo e con un top scollato faccio la mia porca figura.
Quella sera in montagna, sto quasi per addormentarmi.
«Amore?» sussurra Ken nel buio della nostra camera.
«Sì?» Mi accoccolo ancora più vicino a lui tra le lenzuola leggere.
«Ma questo punto così duro lo hai sempre avuto?»
Mentre parla preme con un dito sul lato del mio seno destro.
«Quale punto? Fammi sentire.»
Allungo la mano, metto l’indice sul suo, premo la pelle e lo sento.
Un nocciolino. Lo schiaccio e lo tasto. È piuttosto grande.
«Non te ne eri mai accorta?»
Accendo la lucina sul comodino, mi metto seduta.
«No! Non l’ho mai sentito prima d’ora.»
Continuo a toccarlo e mi sembra sempre più grosso.
Ken mi guarda e rimaniamo in silenzio.
I bimbi nell’altra stanza dormono distrutti dalle fatiche della giornata.
Il mio cervello intanto mette insieme due sole parole: tumore-cisti-tumore-cisti-tumore-cisti. O è un tumore o è una cisti. Non ci sono altre ipotesi.
Guardo Ken e nei suoi occhi vedo il riflesso del mio spavento. Poi torno a essere la Wondy di sempre, la donna ottimista e piena di energia di cui si è innamorato dodici anni fa e che ama ancora oggi. Ci scegliamo ancora, giorno dopo giorno. E ogni tanto mi chiedo se non sia per il fatto che il nostro non è stato un colpo di fulmine.
Ci siamo conosciuti mentre lavoravamo in una radio nazionale e stavo vivendo il mio sogno. Dopo aver realizzato interviste in diretta e condotto telegiornali in una piccola tv locale molto all’avanguardia, alla fine di un anno passato a scrivere testi per siti internet di grosse società, ero stata selezionata per far parte di una nuova radio.
Il primo giorno di trasmissioni ero molto emozionata: avevo fatto diversi provini negli studi di registrazione, avevo seguito alcune lezioni di dizione e avevo vissuto con ansia il conto alla rovescia che avrebbe portato on air gli sforzi di tutto il gruppo. Quel primo giorno di messa in onda ognuno di noi viveva su una nuvola. Non riuscivo a credere di essere stata scelta per andare già in diretta, di essere una delle voci dei giornali radio che ogni mezz’ora fornivano informazioni di politica, attualità e cultura agli italiani in ascolto. E invece ero lì, con la paura di sbagliare un accento o di perdere il controllo. Mi giocavo tutte le carte che avevo a disposizione e il direttore, che era stato prontissimo a darmi fiducia, era prontissimo pure a togliermela.
Ricordo che mi sentivo molto orgogliosa del mio percorso perché non avevo perso tempo. Sono diventata giornalista professionista ancora prima di laurearmi, cosa che ho fatto con un solo anno di fuori corso. Con me in redazione c’erano tante altre persone valide, ambiziose e in gamba, ognuno con la sua storia professionale, e fra loro c’era anche Ken. Di lui sapevo che faceva l’assistente di un grande conduttore del mattino. Biondino e magrissimo, nei primi mesi lo incrociavo raramente e non mi aveva molto colpito. Al principe azzurro con gli occhi azzurri preferivo ancora gli uomini dai colori mediterranei e un po’ più tenebrosi.
Con il tempo ho capito che Ken era il classico ragazzo perbene, simpatico, intelligente, disponibile e dai sani principi. Solo dopo alcune storielle andate storte, una fiamma che si era spenta a poco a poco e altre delusioni, quel tipo di ragazzo era diventato esattamente ciò a cui aspiravo. Ma non avremmo avuto molte occasioni per conoscerci meglio, se non mi avesse dato una mano, complice anche il caso…
Per le mie collaborazioni con alcune riviste, avevo avuto bisogno di tradurre alcuni articoli dall’inglese e Ken lo sapeva bene, così più di una volta avevo chiesto il suo aiuto. E più lo vedevo più mi sembrava che potesse essere l’uomo giusto. Ma non è stata una scelta fatta a tavolino, anche perché se è vero che sono una donna razionale, il cuore non l’ho mai comandato. È che col passare dei giorni tornava nei miei pensieri con una frequenza preoccupante, anche se non volevo ammetterlo.
Un giorno per sbaglio ho preso il suo cellulare e me lo sono messo in tasca, pensando che fosse il mio. Avevo appena finito il turno della notte e lui invece era arrivato da poco. Quando si è accorto di non avere il telefono, ha provato a digitare il suo numero da un fisso. Erano le dieci del mattino e io stavo dormendo da tre or...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. 1. Giornata perfetta
  4. 2. My name is Wondy
  5. 3. Faccio un bel respiro
  6. 4. I sassolini
  7. 5. Push-up addio
  8. 6. Esprimi un desiderio
  9. 7. Periodo rosso
  10. 8. Crapa pelata
  11. 9. I mitici anni Settanta
  12. 10. Workaholic
  13. 11. Mille giorni di ghiaccioli al limone
  14. 12. The Doctor
  15. 13. Un’altra vita?
  16. 14. Vedo gente, faccio cose
  17. 15. Nuovi capelli e nuove tette
  18. 16. Casa dolce casa
  19. 17. Sale, spa e ski
  20. 18. Nemo
  21. 19. La spada di Damocle
  22. 20. Altro giro altro regalo
  23. 21. Big sister
  24. 22. Gialla crodino
  25. 23. Mio amato Epicuro
  26. 24. Travel therapy
  27. 25. Tulipani multicolor
  28. 26. Suite per due
  29. 27. Il bicchiere mezzo pieno
  30. 28. Titoli di coda
  31. Ringraziamenti
  32. Wondy sono io