Capitolo 1
MASSIMO
La scuola è finita da due settimane e tanto dovrebbe bastare per farmi sembrare meravigliosa questa giornata di giugno, anche se piove. La realtà è che spalancherei la finestra e mi butterei di sotto, ma abito al piano terra.
La colpa è di Vito, al novanta per cento. L’altro dieci è da dividere in parti uguali tra scuola e famiglia. Le ore di educazione fisica, per esempio, avrei preferito passarle in palestra. Invece no: piscina. E i miei genitori, giubilanti, hanno firmato il consenso.
«Vedrai come ti cresce il torace!» mi aveva detto papà, che insegna ginnastica e non si capacita di come suo figlio, allo sport, preferisca The Walking Dead. O Trono di spade. O Divergent. O Hunger Games. O Maze Runner. Insomma, saghe dove ragazzetti a cui non daresti una cicca ribaltano il mondo con buona pace di tutti.
Come se non bastasse mio padre, ci si è messa pure mamma.
«Ta-dan! Guarda qua cos’ho comprato al mio ometto, un costumino ca-ri-nis-si-mo!»
L’equazione potrebbe essere questa: Massimo sta al costumino ca-ri-nis-si-mo come un torsolo di mela a una mutanda blu. La differenza è che io ho un paio d’orecchie elefantiache. E dato che quelle riuscivo a nasconderle tenendo i capelli un po’ lunghi, la mamma ha pensato bene di completare il set rifilandomi una cuffietta gialla, che a suo dire mi stava un a-mo-re. A quel punto la mutazione poteva dirsi completa: ero chiaramente un incrocio tra un torsolo e Dumbo.
Le disgrazie non vengono mai sole, così anche il medico di famiglia si era espresso.
«Il nuoto fa bene, ti forma. L’ho fatto anch’io, da ragazzo.»
L’ho guardato meglio: sembra Jabba The Hutt, il lumacone extraterrestre di Star Wars. Wow, non vedo l’ora che il nuoto “formi” così anche me.
In realtà qualcosa di buono nello stare a mollo c’è: in acqua non si suda. Per quanto mi sia costretto ad avere un ottimo rapporto con deodorante e sapone, le ascelle rimangono un problema. Jabba è stato chiaro anche su questo punto. Ha detto che devo pensarmi come una macchina diesel: il mio corpo spinge l’acceleratore e quindi suda, ma anche se i diesel ci mettono più delle auto a benzina, quando si deciderà a partire farà mangiare la polvere a tutti. Così ha detto. Si tratta di avere pazienza.
Facile, per Jabba. Lui deve solo continuare a s-formarsi scivolando lento verso la pensione, mica andare a scuola come me.
Che poi, io all’idea di finire in piscina non me li facevo mica tutti questi complessi. Tanto, ho la fortuna di avere in classe i miei migliori amici: Filippo, che se potesse abbandonerebbe il mondo degli umani per andare a vivere coi cyborg, e Celeste, che tutti chiamano maschiaccio perché adora indossare jeans larghi e felpe col cappuccio. La piscina è sempre stata una tragedia più per lei che per me. Credo viva male l’assenza completa di tette… o forse detesta semplicemente mettersi un costume da femmina (su questo punto non ho le idee chiare, lo confesso). Quello che voglio dire è che in classe non sono mai stato additato per come sono, e nemmeno ci prendiamo in giro per i difetti, anche perché a qualcuno è esplosa l’acne come nell’orto del nonno i cespi d’insalata, qualcun altro è la versione sputata di Pincopanco o del suo gemello Pancopinco, e c’è pure una tipa che in bocca ha così tanta ferraglia che se incontrasse Magneto degli X-Man le converrebbe farselo amico. Insomma, ognuno ha i suoi problemi. Poi certo, ci sono anche un paio di bellocci e un ripetente, che è meglio non sbirciare sotto le docce perché il confronto può deprimere. Il problema non è neppure farmi vedere in costume dalle ragazze (be’, un pochino sì, diciamo che per ora faccio più scena vestito). Come dicevo, scuola e famiglia sono solo il 10% del perché vorrei buttarmi di sotto.
Il punto è che Vito è uno stronzo (ho il dono della sintesi). Grazie al cielo non è nella mia classe, sempre che non si faccia bocciare per la seconda volta l’anno prossimo. C’è anche da dire che per i suoi sedici anni è bello grosso, e sono disposto a scommettere che non riderebbe neppure se al prof di matematica si strappassero i calzoni mentre raccoglie un gessetto da terra. Non riderebbe neppure se lo intubassero col gas esilarante. A volte sospetto che abbia una paresi facciale. Ma la definizione più giusta rimane quella di poco fa, e a sua conferma metto quei due leccapiedi che Vito si tira sempre dietro, e che gli orbitano attorno come, appunto, le mosche sulla…
Insomma, Vito è uno di quelli da cui è meglio stare alla larga, a meno di non essere fessi. E io, tanto per chiarire, non sono un fesso.
La catastrofe si è abbattuta cinque giorni prima della fine della scuola, quando il pulmino che ci doveva prelevare dalla piscina aveva mollato, come di consueto, quelli di terza davanti al piazzale.
Quel giorno ero rilassato. Ri-las-sa-to. Davanti a me si apriva la magnifica prospettiva di tre mesi senza scuola. Mi sono preso i miei tempi, con calma. Mi scappava una pisciata micidiale e nelle docce ci sono finito qualche minuto dopo gli altri. Ergo, quando sono entrato nello spogliatoio, i miei compagni si erano già vestiti e quelli di terza non si erano ancora spogliati, così mi sono ritrovato a essere l’unico a sgocciolare, avvolto nel telo come un ghiacciolo all’equatore.
Quella deiezione secca di Vito si è avvicinata e me lo ha strappato via. Mi ha lasciato così di stucco che non sono riuscito a reagire, e me ne sono rimasto lì, a tremare come un lombrico. In quel momento è entrato il professore; che fossi nudo e che il mio telo ce l’avesse Vito non lo ha minimamente turbato.
«Massimo, ti vuoi sbrigare o no? Dobbiamo tornare in classe! E tu Vito muoviti, il vostro insegnante vi vuole in piscina tra cinque minuti!»
«Io non ci vado in piscina.»
«Ah, no?»
«No.»
C’è stato poco da aggiungere. Vito lo ha guardato come un lupo mannaro guarderebbe un chihuahua, e il prof si è volatilizzato. A quel punto, è tornato a concentrarsi su di me ed è scoppiato a ridermi in faccia, coi due scagnozzi a fargli da coro.
«Una pulce come te si chiama Massimo?! Che ne dici di Minimo?»
Hanno riso tutti, compresi i miei compagni di classe già vestiti e con la sacca in spalla. Hanno riso perché Vito, il più grande e il più grosso, aveva fatto una battuta, e conviene sempre stare dalla parte del più forte. Credo abbia a che fare con l’istinto di sopravvivenza. Solo Filippo è rimasto zitto, a sistemarsi gli occhiali sul naso.
Ho cercato di riprendermi il telo, ma Vito lo ha lanciato a uno dei suoi leccapiedi, che poi hanno preso a passarselo tra loro, tirando dentro al gioco pure i miei compagni. Filippo invece mi ha passato il suo accappatoio. Mi sono vestito in fretta e furia, senza neppure preoccuparmi di recuperare il telo. Per tutto il tempo ho cercato di ignorare le parole di Vito, ma mi si sono stampate lo stesso nel cervello. E lui ci ha messo del suo per non farle dimenticare agli altri.
«Guarda che il pulmino per l’asilo passa da un’altra parte! Non è che ti sei perso? Corri a casa dalla mamma, piccolo Minimo!»
Gli ultimi cinque giorni di scuola sono stati un inferno. I ragazzi mi chiamavano Minimo nei corridoi! E se vieni battezzato con un nomignolo del genere proprio negli spogliatoi, non è che la gente pensa che il tuo sia un problema di altezza o di torace stretto, ecco. Quel che è peggio è che ridevano anche le ragazze.
Che possiate abbronzarvi così tanto da non riuscire nemmeno a sedervi sul water senza strillare, vipere.
La realtà è che non mi era mai successo d’esser preso di mira. Ho sempre pensato che si potesse scherzare senza diventare pesanti, e che i miei compagni la pensassero come me.
E invece basta che uno stronzetto qualunque ti chiami in un modo, e quel nome ti si appiccica addosso come una cicca pestata. Ora la scuola è finita e non dovrebbe importarmi. Voglio dire, vivo in Riviera e sono in vacanza, no? Be’, purtroppo anche i miei compagni di scuola amano spassarsela in spiaggia. Proprio ieri gironzolavo al mare con Filippo e Celeste (nessuno dei tre in costume), e per puro caso siamo passati accanto a dei tipi di quarta che si sfidavano a beach volley.
«Ehi, guardate chi c’è! Salutate Minimo!» E tutti giù a ridere (a parte noi, è ovvio).
Celeste ha mostrato il medio.
«Complimenti, Minimo, ti fai difendere dalle ragazze!» ha detto uno.
«Be’, a me quella sembra più maschio di Minimo» ha ribattuto una tipa in bikini.
«Non che ci voglia poi tanto» ha concluso l’amica.
Celeste stava per rispondere a tono, ma l’ho strattonata per la maglietta e l’ho fulminata con gli occhi. Volevo solo andarmene da lì, subito. Mettiamola così: non sono un Intrepido, e mi troverei proprio alla grande con i Pacifici. È che la pace non va di moda, tutto qui.
Filippo ci ha seguiti senza battere ciglio: quello che gli ruota intorno deve sembrargli molto più astratto dei linguaggi di programmazione su cui si spappola il cervello, tipo il Python, che purtroppo non c’entra nulla con Severus Piton, ma è grazie a lui se me lo ricordo.
Riassumendo il punto è questo: io non sarei sfigato di mio. Mi ci hanno fatto diventare.
VITO
Era un po’ che lo puntavo, Massimo. Credo che se ne fosse accorto perché mi ha sempre evitato. Non ha peli e nemmeno muscoli; praticamente è un poppante, mingherlino e rosa come un verme. Eppure non c’è una volta in cui io non l’abbia visto sereno, quasi che riuscisse a fregarsene di tutto e di tutti. Non ha ancora capito come gira il mondo e bisogna che io glielo ficchi in testa.
Sarebbe piaciuto anche a me buttarmi in piscina con gli altri e fare bere un bel po’ Alessandro e Stefano, quei due imbecilli che mi stanno sempre dietro. Che poi lo so perché lo fanno: hanno paura di me, come tutti. E questo è un bene, perché quando la gente ha paura sta al suo posto. Gli amici sono solo una menata. Per averli devi aprirti, mostrare il fianco. Ma è chi ti conosce bene che può spezzarti, io lo so.
Molto meglio attaccare per primo, e se la solitudine è il prezzo da pagare non sarà di certo il più alto.
“Minimo”… gli ho trovato un soprannome perfetto. Per un po’ si concentreranno su di lui. E a nessuno verrà in mente di chiedermi perché quel giorno in piscina non mi sono spogliato.
FIAMMA
Cerco di concentrarmi sul gatto, ma a portarmelo è stata Franca Galassi, che ha un talento vero per mandarmi ai matti. Dopo cinque anni di onorata carriera come medico veterinario ho imparato che i problemi, quasi sempre, ce li hanno i padroni.
Franca assomiglia in modo inquietante alla nonnina di Titti, quella dei cartoni animati della Warner Bros. Con l’unica differenza che parla tre volte tanto.
«Dottoressa, mi scusi, lo so che sono venuta ieri e anche ieri l’altro, ma sono inciampata su un altro trovatello e pensavo che magari un’occhiatina poteva darcela lei… tanto paga il Comune, no?»
Mi porge il micio. Mi basta lanciargli uno sguardo fugace per capire che di trovatello non ha proprio un fico. Manto lucido, denti bianchi, sguardo placido.
«È proprio sicura che sia un trovatello?»
«Certo! È un gattino di colonia, se chiama il Comune vedrà che se ne farà carico. Se non ce ne occupassimo noi… poverini.»
Respiro molto, molto profondamente.
«E cosa avrebbe questo… trovatello?»
«Si è svegliato tutto scombussolato, non mangia, una volta ha persino vomitato!»
Sfido chiunque a sorprendere un randagio nel momento in cui si sveglia, e durante l’unico vomitino del mattino. Sarà la nonnina di Titti, ma è più bugiarda del gatto Silvestro.
Afferro il felino e insceno la prima commedia della giornata.
«Se permette, gli farei subito una lastra.»
«Oh, sì, dottoressa! Lo sapevo, lei ha un cuore grande!»
Ce ne portano così tanti che ricordarseli tutti è impossibile, quando poi si hanno clienti come Franca Galassi, che raccoglie gatti come se piovessero dal cielo… Eppure io l’ho già visto, questo gatto. Sono sicura che sia suo e che lo stia spacciando per trovatello in modo da non pagare la visita.
Una cosa però la ricordo molto bene: il gatto di Franca Galassi anni fa è stato operato alla zampa posteriore sinistra. La lastra dovrebbe quindi mostrarmi un impianto. Sparisco in radiologia col gattastro e… come volevasi dimostrare: eccolo lì, l’impianto. Di umiliare Franca Galassi non se ne parla, e neppure di litigare.
Ho un amico che si chiama Paolo, un tipo intrippatissimo coi misteri naturali, una vera enciclopedia vivente dei fatti più bizzarri capitati sul nostro pianeta. Ecco, Paolo mi viene sempre in mente in situazioni tipo questa, ispirandomi l’idea giusta per farmi pagare dai tirchi come Franca. Così accendo la lavagna e le mostro la radiografia.
«Lo vede questo?»
«Oh mio Dio, sì. È grave?» Franca Galassi è una grande, grandissima attrice. Ma io di più.
«Potrebbe esserlo, in effetti. Vede, se il gatto fosse suo, le direi che questo è l’impianto che gli abbiamo messo tre, quattro anni fa, nel qual caso non ci sarebbe alcun problema e le spese della visita sarebbero interamente a suo carico…»
«Oh, ma è un trovatello, g...