Niente è per caso
eBook - ePub

Niente è per caso

  1. 384 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Niente è per caso

Informazioni su questo libro

Non sei mai pronto all'incontro che ti segna per la vita. Tanto meno se, come Billy e Marta, non hai neanche vent'anni e il futuro è tutto da costruire. Ma tra loro si scatena qualcosa che va oltre l'età: sono due opposti che si attraggono, passionali e testardi. Però è troppo presto per scegliersi davvero, così si separano. E si odiano, con la stessa violenza del loro acerbo amore. Per molti anni non una parola. Fino a quando, in un agriturismo disperso tra le colline, Marta ritrova Billy, e di nuovo è guerra e desiderio. Ma è solo la prima resa dei conti, perché loro due sono destinati a farsi male, a ritrovarsi, a perdersi ancora. Con il suo stile impetuoso e fluente, Maria Venturi ci racconta la forza bruciante di un amore sbagliato, e irresistibile.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2015
Print ISBN
9788817083683
eBook ISBN
9788858681435

TERZA PARTE

Marta

8

Verso il successo

Alla metà di aprile Marta andò a Firenze con i Chen per visitare la fabbrica. L’autostrada era molto affollata e una coda di sei chilometri li bloccò poco prima di Bologna, ma non avevano un orario d’arrivo da rispettare e la conversazione era piacevole. Paolo rievocò il suo incontro con Alice quando avevano rispettivamente venti e sedici anni e ancora si chiamavano Lin e Hai. Entrambi erano nati nello Shandong: lui unico figlio del proprietario di una miniera di bauxite, lei da una poverissima e anziana coppia di contadini.
«Se fossi nata una quindicina di anni dopo» Alice intervenne, «i miei genitori sarebbero stati costretti a sopprimermi. Ero femmina e quartogenita. Anche se in Cina non era ancora entrata in vigore la politica del figlio unico e dell’infanticidio delle bambine, la crescita demografica era ostacolata con ogni mezzo e molte coppie si liberavano dei figli di troppo con l’aborto o l’abbandono. Un mio zio avvolse la figlia neonata in un velo e la lasciò tra i campi. I miei genitori furono più pietosi, perché tre giorni dopo il parto mi affidarono a un orfanotrofio. La mia nascita non era stata registrata, arrivai a sei anni senza un nome: ero un numero tra i tanti orfani. A chiamarmi Lin fu la coppia che mi prelevò e mi mise a lavorare in un capannone dove si producevano reti da pesca. Alla sera avevo le piccole dita gonfie a furia di fare nodi…»
Alice si girò verso Marta e allungò la mano destra. «Vedi? Mi è rimasto questo nodulo sull’indice. Ma non l’ho mai voluto togliere perché ogni volta che lo guardo mi ricordo quanto sono fortunata.»
Paolo sollevò il braccio dal volante e circondò le spalle della moglie. «La fortuna non c’entra, tutto ciò che hai avuto te lo sei conquistato. Non ti sei mai persa d’animo, fin da bambina eri decisa a cambiare la tua sorte. E avevi tanti talenti…» Guardò Marta attraverso lo specchietto retrovisore. «Tu mi hai ricordato Alice fin dai primi incontri: avete la stessa forza, la stessa intraprendenza, la stessa capacità creativa.»
«Stavi parlando del tuo primo incontro con lei» Marta disse, schermendosi con imbarazzo da quei complimenti.
«La mia fiera ragazza a tredici anni scappò dal capannone e percorse dieci chilometri a piedi, nel cuore della notte, per allontanarsi il più possibile. Fu mia madre a trovarla: si era addormentata davanti al portone della nostra casa. Era bianca come un cencio, curva su se stessa, con le gambe scorticate e le dita dei piedi che sporgevano dalle pantofole consunte. Sulle prime mia madre si spaventò, credendo che fosse morta. Per farla breve, Alice venne assistita e in seguito praticamente adottata dai miei genitori. Le diedero un’identità, la mandarono a scuola, le vollero bene come a una figlia…» Paolo si perse nei ricordi.
Alice approfittò di quella pausa per proseguire il discorso. «Il loro figlio vero era andato via da casa tre anni prima: Lin-Paolo aveva un brutto rapporto con suo padre. Lo accusava di sfruttare gli operai, odiava la miniera, non condivideva le sue idee politiche né il regime della stessa Cina. Il suo sogno era raggiungere in Italia il nonno materno che…»
Intervenne suo marito. «Quando tornai a casa, tanto tempo dopo, avevo già preso contatti con lui e concluso, con il suo aiuto, le pratiche per l’espatrio. Sarei dovuto partire per Milano un mese dopo. Ma a casa trovai una ragazza con un corpo di giunco, i capelli di seta e gli occhi di velluto…» rievocò ostentando un tono scherzoso.
Dopo oltre trent’anni il suo amore per la moglie è rimasto immutato, Marta pensò intenerita. Vide la mano di Alice posarsi su quella di lui, che gliela strinse.
La coda era diminuita e Paolo accelerò. Poi riprese a raccontare. «Non fui folgorato soltanto dalla bellezza di Alice, ma anche dalla sua capacità di opporsi a mio padre senza perdere la calma e il sorriso. Fu lei a difendere la mia decisione di andare in Italia, lei a contenere la violenta rea­zione dei miei genitori a questo annuncio.»
Alice rise: «E la mia difesa ti costò cara!».
«Puoi ben dirlo: per poterti portare con me fui costretto a sposarti, a iniziare un nuovo iter burocratico e a rimandare la partenza di un anno.»
Il nonno di Paolo aveva fatto parte di una delle prime comunità cinesi insediate a Milano. Aveva avviato un piccolo commercio di tessuti nei pressi della Stazione Centrale e, poco dopo, rilevato un negozio con due vetrine in via Paolo Sarpi trasformandolo in una specie di bazar. Vi si vendeva di tutto: abiti etnici, orologi, bigiotteria, capi in similpelle, occhiali da sole, parrucche sintetiche, scarpe… Tutto appeso o sparso senza alcun criterio espositivo. Ma il colpo d’occhio di quella disordinata accozzaglia di oggetti e di colori era spettacolare, e i clienti giravano per il negozio come se stessero partecipando a una caccia al tesoro. E spesso uscivano senza acquistare nulla, appagati dalla sola visita.
Con l’arrivo del nipote e della moglie le cose cambiarono. Quanto l’anziano vedovo guadagnava gli consentiva di vivere decorosamente, ma non era sufficiente per mantenere tre persone. «Alice era incinta di due mesi» ricordò Paolo «e io avevo molte ambizioni e molti progetti. Non ero certo venuto in Italia per accamparmi nel piccolo appartamento del nonno né per fare una vita di stenti.»
Alice cominciò riportando su un quaderno tutti gli oggetti e i capi in vendita e segnando ogni sera con una crocetta gli acquisti di cui batteva gli scontrini. Dopo due mesi fu in grado di stabilire che vestiti e scarpe rendevano poco, anche a causa della forte concorrenza, mentre gioielli etnici e parrucche erano molto richiesti.
Via via sparirono tutte le merci meno vendute e dopo un paio d’anni il bazar era già diventato un punto vendita specializzato in parrucche di buona qualità, ma a costo contenuto, e in bigiotteria riprodotta fedelmente da modelli degli anni Trenta e Quaranta usando argento e pietre semipreziose. Le parrucche arrivavano dalla Cina, mentre i gioiellini venivano assemblati in un piccolo laboratorio orafo poco distante dal negozio dei Chen.
Nel frattempo era nato Lino e la giovane coppia aveva italianizzato i propri nomi di nascita. «Lo fanno quasi tutti i cinesi con un’attività commerciale» Alice spiegò. «E si scelgono sempre nomi senza la lettera R
Le macchine cominciarono a rallentare di nuovo fino a formare un’altra coda. L’auto si bloccò a pochi metri dall’accesso a un autogrill e Paolo vi si infilò: avevano tutti bisogno di una sosta e di sgranchirsi le gambe. Bevuto il caffè, andarono a sedersi sotto al gazebo nell’attesa che il traffico tornasse a scorrere.
Era una giornata luminosa. Marta sollevò il viso verso il sole, inondata da una sensazione di benessere fisico. Anche io devo ricordarmi quanto sono fortunata, pensò. Molto più fortunata di Alice. Lei non era stata abbandonata dopo la nascita, non aveva trascorso l’infanzia passando da un orfanotrofio a due sfruttatori di lavoro minorile: i privilegi di cui godeva erano il dono di una buona sorte, non aveva dovuto fare nulla per ottenerli. Sarebbe mai stata capace di conquistarseli con la determinazione, l’audacia, lo spirito di ribellione di Alice? La risposta era ovvia: no. Paolo le aveva rivolto un complimento immeritato. Il solo periodo in cui Marta poteva riconoscersi in Alice risaliva ai due anni seguiti al liceo, quando ce l’aveva messa tutta per essere la prima del suo corso, per trovare un lavoro, per conquistare la stima di suo padre. Dov’erano finiti l’impegno e la grinta di quei tempi?
Insabbiati. Dissolti. Scacciò il pensiero di Stefano. Devo ritrovarli. La buona sorte, attraverso suo padre, le stava offrendo l’opportunità di lavorare con i Chen. Non li avrebbe delusi. E, soprattutto, non avrebbe deluso se stessa: doveva ritrovare anche l’autostima.
Arrivarono a Firenze all’una e, dopo un veloce spuntino in una trattoria della zona, Lino iniziò con loro la visita della fabbrica partendo dal suo ufficio.
Era un ragazzo trentenne molto più alto dei genitori, esuberante e cordiale. «Ho una sorpresa per te» disse a Marta indicandole la grossa scatola che troneggiava sulla scrivania, infiocchettata come un dono natalizio. «Avanti, aprila» la esortò.
Era molto più che un dono: Lino aveva fatto realizzare otto modelli di cuffie, baschi e berretti, alcuni con l’applicazione di una frangia e altri con due ciocche laterali di capelli, seguendo esattamente le indicazioni che Marta aveva allegato ai suoi disegni.
La donna restò senza parole, e fu Alice a parlare per lei. «Sono davvero bellissimi! Sei una vera artista!» esclamò. Poi, rivolta al figlio, aggiunse in tono professionale: «Nella tua fabbrica si lavora bene, sono molto soddisfatta».
«Grazie, mamma. Sono soddisfatto anch’io. Ho sviluppato otto prototipi in colori neutri e con capelli castano chiaro, ma secondo me dovremmo esordire soltanto con quattro, quelli che saranno la linea base, variando i colori dei tessuti e le tonalità dei capelli.»
«E perché, Lino?» chiese il padre. «Mettendoli in produzione tutti, sicuramente si incrementerebbero le vendite e…»
Marta non lo lasciò proseguire. «Lino non vuole inflazionare questa linea, ma far diventare i nostri copricapo degli accessori lussuosi e di gran moda. Vendendoli a costo piuttosto alto. Ho capito bene?»
«Dammi il cinque, socia! Io e te faremo grandi cose insieme» rise Lino.
Alice lanciò un’occhiata compiaciuta al marito, come a dirgli: «Hai visto come vanno d’accordo i nostri ragazzi?». Lino, pur esuberante e aperto, sul lavoro era poco incline al compromesso: se aveva la certezza che una scelta o un’idea fosse quella giusta, era impossibile fargliela cambiare. “Crapùn”, testone, era una delle prime parole in dialetto milanese che Alice aveva imparato, e così chiamava il figlio fin da quando era ragazzino. Era un sollievo constatare che Marta e il “crapùn” si capivano al volo.
Adesso stavano osservando la serie di campioni allineati e numerati sulla scrivania per identificare i quattro migliori.
«Io avrei fatto la mia scelta, sentiamo la tua» Lino la provocò.
Marta allungò l’indice: «Il due, il tre, il cinque e l’otto» disse con sicurezza.
«Il quattro no?»
Marta scosse la testa, perplessa. «Francamente mi sembra il più anonimo…»
Lui scoppiò in una risata. «Volevo metterti alla prova. Hai fatto esattamente le mie scelte.»
«Lo dici per compiacermi?»
Lino estrasse dal cassetto un foglio e glielo porse: «Guarda qui: è il piano di produzione che volevo mostrarti. Che numeri leggi?».
«Due, tre, cinque e otto» Marta lesse come una scolaretta. Sollevò lo sguardo divertita. «A quanto pare siamo in perfetta sintonia!»
«Ehi, ragazzi, ci saremmo anche noi» disse Paolo facendo il finto burbero. In realtà era felice quanto la moglie per il colpo di fulmine professionale di Lino e Marta. Si rivolse al figlio: «Spero che in queste settimane tu non ti sia limitato a produrre otto prototipi!».
Lino si finse offeso. «Per chi mi hai preso? Ho praticamente concluso tutte le trattative per le importazioni dei capelli.» E proseguì serio: «Come stabilito nell’incontro di Milano, lavoreremo soltanto con quelli naturali: il sintetico è un target medio-basso che non ci appartiene. E per motivi etici ho deciso di essere molto selettivo con le importazioni dai Paesi asiatici, e in particolare da Bangkok».
Marta si era minuziosamente documentata sul commercio dei capelli: il suo socio stava alludendo al cosiddetto “racket delle parrucche”, che fruttava circa quaranta miliardi di dollari all’anno. Lino intendeva starne fuori. «Non è solo per motivi etici» tenne a precisare, «ma anche perché le donne ebree esigono parrucche rigorosamente kosher. E come sai già» aggiunse rivolgendosi al padre «il nostro principale cliente sarà l’importatore Isaia Goldberg. La prossima settimana andrò a Tel Aviv per incontrarlo e concretizzare gli accordi presi verbalmente.»
«Questo non lo sapevo» disse Paolo.
«Ho già preso contatto con alcuni esportatori dei Paesi dell’Est. I capelli che offrono sono i migliori in senso assoluto perché non hanno bisogno di trattamenti e spesso nemmeno di colorazioni. Le nuances sono naturalmente castane o tendenti al chiaro, le più richieste. Come vedi, papà, non mi sono limita...

Indice dei contenuti

  1. Niente è per caso
  2. Copyright
  3. Dedica
  4. GLI ANTEFATTI
  5. PRIMA PARTE
  6. SECONDA PARTE
  7. TERZA PARTE
  8. QUARTA PARTE
  9. EPILOGO
  10. Ringraziamenti particolari
  11. Indice