Io ti guardo
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Io ti guardo

  1. 364 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Io ti guardo

Informazioni su questo libro

Se si potesse catturare il piacere, Elena lo farebbe con gli occhi. Ventinove anni, di una bellezza innocente ma sfacciata, non sa ancora cosa sia la passione. Il suo mondo è fatto di arte e colori, quelli dell'affresco che sta restaurando a Venezia, la città magica dove è nata. Fino a quando incontra Leonardo, uno chef di fama internazionale, che irrompe nella sua vita travolgendo ogni cosa: la storia d'amore appena nata con Filippo, l'idea che ha sempre avuto di sé e, soprattutto, il suo modo di vivere il sesso.

Perché Leonardo, inquilino inatteso nell'elegante palazzo in cui lei lavora, è arrivato per schiuderle le porte di un paradiso inesplorato di cui solo lui possiede le chiavi. I segreti della cucina, della materia grezza che nelle sue mani si trasforma in estasi per il palato, non sono gli unici che conosce: Leonardo sa che il piacere è una conquista per tutti i sensi, ha una forma, un odore, un sapore. E guiderà Elena oltre i suoi limiti, fino al confine più dolce ed estremo dell'ossessione. Ma a una condizione: non dovrà mai innamorarsi di lui. Elena non ha scelta, può solo accettare il suo patto spietato e lasciarsi sedurre da quell'uomo dal passato oscuro, che sembra sfuggire al suo desiderio di legarlo a sé...

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2015
Print ISBN
9788817083546
eBook ISBN
9788858681381

1

Il giallo assorbe la luce del sole, vira all’arancio per poi sfumare in un rosso acceso. Un taglio, quasi una ferita, lascia intravedere piccoli chicchi di un viola lucente. I miei occhi sono fermi su questo melograno da ore. È solo un particolare, certo, ma è anche la chiave dell’affresco.
Il soggetto è il ratto di Proserpina, un’istantanea del momento in cui il severo signore degli inferi, un Plutone avvolto nella nuvola porpora della sua veste, afferra con forza i fianchi della dea che sta raccogliendo un enorme melograno sulle rive di un lago.
L’affresco non è firmato, per cui l’autore resta circondato da un alone di mistero. So soltanto che è vissuto all’inizio del Settecento e che dev’essere stato un autentico genio, considerando lo stile del disegno, la grana del colore e il delicato gioco di ombre e chiaroscuri. Ha studiato ogni singola pennellata e io sto cercando di non tradire il suo sforzo di raggiungere la perfezione. A distanza di secoli, il mio compito è interpretare il suo gesto creativo e riprodurlo nel mio.
Questo è il primo vero restauro a cui sto lavorando completamente da sola. A ventinove anni la sento come una grossa responsabilità, ma ne sono anche orgogliosa: è da quando sono uscita dalla Scuola di Restauro che aspettavo la mia occasione, e adesso che è arrivata farò di tutto per non lasciarmela scappare.
Perciò eccomi qui, da ore su questa scala, nella mia tuta di tela cerata, bandana rossa a contenere il caschetto bruno – ma qualche ciocca ribelle si ostina a sfuggire e a cadermi sugli occhi – e sguardo fisso sul muro. Per fortuna non ci sono specchi in giro, perché senz’altro avrò il volto segnato dalla stanchezza e le occhiaie. Ma non importa. Sono le tracce visibili della mia determinazione.
Mi guardo per un momento da fuori: sono proprio io, Elena Volpe, da sola nell’androne immenso di un palazzo antico e da tempo disabitato, nel cuore di Venezia. Ed è esattamente qui che voglio essere.
Ho passato una settimana intera a pulire il fondo dell’affresco e oggi per la prima volta userò il colore. Una settimana è tanto, forse troppo, ma non ho voluto rischiare. Bisogna procedere con la massima cautela, perché è sufficiente un singolo tocco sbagliato per compromettere tutto il lavoro. Come diceva un mio professore: «Se pulisci bene, sei a metà dell’opera».
Alcune parti dell’affresco sono totalmente rovinate e in quei punti dovrò rassegnarmi a fare un nuovo intonaco con lo stucco. Colpa dell’umidità di Venezia, che penetra ogni cosa, la pietra, il legno, il mattone. Ma intorno alle zone danneggiate ce ne sono altre in cui i colori hanno conservato tutta la loro brillantezza.
Stamattina, salendo sulla scala, mi sono detta: “Non scenderò finché non avrò trovato i toni giusti per quel melograno”. Ma forse sono stata un po’ troppo ottimista… Non so nemmeno quante ore siano passate, e sono ancora qui a provinare tutta la scala dei rossi, degli arancio e dei gialli senza un risultato che mi soddisfi. Ho già buttato via otto coppette di prova, in cui miscelo le polveri pigmentate con poca acqua e qualche goccia di olio per dare consistenza al composto. Sto per cimentarmi con la nona coppetta, quando sento uno squillo. Viene proprio dalla tasca della tuta. Purtroppo. È inutile cercare di ignorarlo. Per poco non cado a terra, afferro il cellulare e leggo il nome che lampeggia con insistenza sul display.
È Gaia, la mia migliore amica.
«Ele, come va? Sono in campo Santa Margherita, vieni a berti una cosa al Rosso? Oggi c’è più gente del solito, è stupendo, dài!» dice tutto d’un fiato, senza chiedermi se sta disturbando o darmi modo anche solo di risponderle.
Eccola, è già in piena fase mondana. Gaia lavora per i locali più di moda in città e nel Veneto, organizza eventi e feste vip. Inizia verso le quattro del pomeriggio e va avanti ininterrottamente fino a tarda notte. Ma per lei non si tratta solo di un lavoro, è una vera e propria vocazione: scommetto che lo farebbe anche se non la pagassero.
«Scusa… che ore sono?» chiedo, cercando di arginare la sua valanga di parole.
«Le sei e mezza. Allora, vieni?»
Il Rosso è un locale dove si ritrova la gioventù veneziana sfaccendata, quel tipo di persone che ha bisogno di una come Gaia per decidere cosa fare delle proprie serate.
Oddio, è già così tardi? Il tempo è volato senza che me ne rendessi conto.
«Oh, Ele… ci sei? Stai bene? Di’ qualcosa, cavolo…» Gaia urla e la sua voce mi buca i timpani. «Ti stai proprio rincoglionendo su quell’affresco… devi venire qui, immediatamente! È un ordine.»
«Dài, Gaia, tra mezz’ora stacco, promesso» prendo un lungo respiro, «ma vado a casa. Ti prego, non arrabbiarti.»
«Ma certo che mi arrabbio, stronza che non sei altro!» sbotta.
Un classico. È il nostro gioco delle parti: passano due secondi ed è di nuovo serena e felice. Meno male che per tutti i miei no Gaia ha la memoria di un pesce rosso.
«Vabbè, senti, allora vai pure a casa, ti riposi un po’ e sul tardi andiamo al Molocinque. Ti dico solo che abbiamo due ingressi per il privé…»
«Grazie del pensiero, ma non ci tengo a infilarmi in quella bolgia» mi affretto a dire prima che vada avanti. Lo sa che non sopporto la ressa, che sono quasi astemia, e che per me ballare significa, nella più rosea delle ipotesi, battere un piede tenendo il tempo – un tempo tutto mio, a dire il vero. Sono timida, non sono fatta per questo genere di divertimento, mi sento sempre fuori posto. Eppure Gaia non demorde: ci prova ogni volta a trascinarmi in una delle sue serate. E in fondo, anche se non lo confesserò mai, gliene sono grata.
«Hai già finito di lavorare?» le chiedo, nel tentativo di allontanare il discorso da territori potenzialmente pericolosi.
«Sì, e mi è andata da dio, oggi. Ero con una manager russa. Siamo state tre ore da Bottega Veneta a guardare borse e stivaletti di pelle, poi alla fine l’ho portata da Balbi e lì la signorona si è decisa a comprare due vasi di Murano. Tra l’altro da Alberta Ferretti ho visto un paio di vestiti della nuova collezione che sembravano fatti apposta per te. Di un beige che starebbe un amore con il nocciola dei tuoi capelli… Un giorno di questi ci andiamo, così te li provi.»
Quando non è impegnata a dire alla gente dove andare la sera, Gaia spiega alla gente come spendere i propri soldi: in pratica fa la personal shopper. È quel genere di donna che ha le idee chiare su tutto e una grande capacità di convincere gli altri. Così grande che c’è chi è disposto a pagare pur di farsi convincere.
Non io, però: ho sviluppato gli anticorpi in ventitré anni di amicizia. «Certo che ci andiamo, così finisce che li compri per te, come sempre.»
«Prima o poi ci riesco a farti vestire decentemente. Con te la mia sfida è ancora aperta, mia cara, sappilo!»
È da quando eravamo adolescenti che Gaia porta avanti questa crociata contro il mio modo, diciamo un po’ trasandato, di vestire. Per lei girare in jeans e scarpe basse non rappresenta una comoda alternativa, ma una scelta esplicita e incomprensibile di mortificarsi. Fosse per Gaia dovrei andare al lavoro tutti i giorni in minigonna e tacco dodici, e poco importa che io sia costretta a fare mille volte su e giù da pericolosissime scale da imbianchino oppure che ci rimanga per ore in posizioni che non definirei proprio confortevoli. «Ce le avessi io le tue gambe…» mi ripete sempre. E poi mi recita ogni volta il mantra di Coco Chanel: “Bisogna sempre essere eleganti, ogni giorno, perché il destino potrebbe aspettarvi all’angolo”. E infatti lei non mette piede fuori casa se non è perfettamente truccata, pettinata e accessoriata.
A volte è incredibile quanto siamo agli antipodi io e questa donna. Se non fosse la mia migliore amica, probabilmente non la sopporterei.
«Però, Ele» torna alla carica, imperterrita, «stasera al Molo ci devi venire…»
«Dài, Gaia, non te la prendere, ti ho già detto che non posso!» Quando s’impunta sulle cose mi fa venire i nervi.
«Ma ci sarà Bob Sinclar!»
«Chi?» le chiedo, mentre sulla fronte mi lampeggia la scritta FILE NOT FOUND.
Gaia sbuffa, esasperata: «Il dj francese, quello famoso. Era in giuria alla Mostra del Cinema la settimana scorsa…».
«Ah, allora!»
«Comunque» prosegue come se niente possa scalfirla, «so da fonti sicure che ci saranno diversi personaggi al privé, tra cui, apri bene le orecchie…» fa una pausa studiata «… Samuel Belotti!»
«Oddio, il ciclista padovano?» gemo, esasperata, con un tono di disapprovazione totale. È uno dei tanti mezzi fidanzati “famosi” che Gaia ha seminato in qualche angolo d’Italia e del mondo.
«Proprio lui.»
«Io non capisco cosa ci trovi: è un cretino arrogante, non so proprio dove tu lo veda figo.» Anche in fatto di uomini Gaia e io non abbiamo gli stessi gusti.
«Eh, lo so io dov’è figo…» sghignazza.
«Vabbè…» sorvolo. «E lui ci sta?»
«Gli ho scritto un sms. Non mi ha risposto, sta con la velina adesso» sospira, «ma non demordo, perché non è che mi abbia proprio dato un due di picche… credo stia solo temporeggiando.»
«Non so come fai a conoscere certa gente, e forse non voglio nemmeno saperlo.»
«Lavoro, cara mia, solo lavoro» dice, e posso immaginarmi benissimo il sorrisetto malizioso che in questo momento avrà stampato in faccia. «Le pubbliche relazioni, si sa, richiedono molto impegno…»
«Le parole “lavoro” e “impegno” dette da te suonano vuote, prive di significato» la provoco nascondendo un pizzico d’invidia. In questo vorrei assomigliarle almeno un po’, lo ammetto. Io sono tutta rigore e senso di responsabilità. Lei leggerezza e sfrontata incoscienza.
«Tu non mi apprezzi, Ele. Sei la mia migliore amica e non mi apprezzi!» ride.
«Vabbè, vai al Molo e divertiti. Anzi, attenta a non stancarti troppo, cara!»
«Certo che mi dici sempre di no… ma tanto io me ne frego e continuo a martellarti, lo sai. Non mi arrendo, tesoro…»
Certo che lo so. Questo teatrino è il nostro modo di dirci che ci vogliamo bene.
«È che adesso sono davvero in un brutto momento: non posso fare le tre, sennò domattina non mi alzo.»
«Ok, stavolta ti lascio vincere.»
Finalmente…
«Questo weekend, però, promettimi che ci vediamo!» conclude, arrivando al punto.
«Giuro. Da sabato sono tutta tua.»
Anche la nona coppetta di rosso Tiziano è da buttare: ho avvicinato una punta di colore alla buccia del melograno e ancora non ci siamo. Mi rassegno a ricominciare da capo, ma un rumore alle mie spalle mi distrae. Qualcuno è entrato dal portone principale e sta salendo la scalinata di marmo: sono passi maschili, non c’è dubbio, per un attimo avevo temuto un’improvvisata di Gaia. Mi affretto a scendere dalla scala, facendo attenzione a non inciampare nelle coppette che ho lasciato cadere alla rinfusa sul telo di protezione.
La porta dell’androne si apre e sulla soglia compare la figura asciutta di Jacopo Brandolini, il proprietario del palazzo, nonché mio committente.
«Buonasera» lo saluto con un sorriso di circostanza.
«Buonasera, Elena» ricambia il mio sorriso, «come procede il lavoro?» Abbassa lo sguardo sul cimitero di coppette steso ai nostri piedi mentre si annoda all’altezza del petto le maniche del pullover – certamente di cachemire – appoggiato sulle spalle.
«Molto bene» mento, e mi meraviglio della mia disinvoltura, ma non ho voglia di spiegargli dettagli che comunque non capirebbe. Però devo aggiungere qualcosa per darmi un tono professionale: «Ho finito la pulitura proprio ieri e da oggi posso dedicarmi al colore».
«Ottimo. Confido in lei, è tutto nelle sue mani» dice spostando lo sguardo dal pavimento a me. Ha gli occhi piccoli e azzurri, due fessure di ghiaccio. «Come sa, ci tengo molto a quest’affresco. Voglio che venga fuori al meglio. Anche se non è firmato, si vede che è di buona fattura.»
Annuisco. «Chi l’ha dipinto era di sicuro un grande maestro» mi affretto a dire.
Brandolini sorride rivelando una punta di soddisfazione. Ha quarant’anni, ma ne dimostra qualcuno in più. Porta un cognome antico – è il rampollo di una delle più note famiglie nobili veneziane – e anche lui dà l’idea di essere un po’ antico. È magrissimo, la pelle diafana, il viso scavato e nervoso, i capelli biondo cenere. E poi si veste da vecchio. O meglio, su di lui i vestiti fanno un effetto strano, un po’ rétro: per esempio, adesso indossa un paio di Levi’s e una camicia a mezze maniche azzurrina. Ma sembra quasi ci navighi dentro, esile com’è. E l’insieme ha un qualcosa di anziano che non so spiegare bene. Eppure si dice che il conte con le donne riscuota un discreto successo. È molto ricco, non riesco a darmi altre spiegazioni.
«Come si sta trovando qui?» domanda, guardandosi attorno a verificare che tutto sia al posto giusto.
«Benissimo!» e mi sciolgo la bandana sulla nuca, perché mi rendo conto di essere proprio impresentabile così.
«Per qualsiasi cosa chieda pure a Franco. Se le serve del materiale può mandare lui a prenderlo.»
Franco è il custode del palazzo. È un omino tarchiato e molto simpatico, ma anche discreto e silenzioso. In dieci giorni di lavoro, mi è capitato di incrociarlo solo due volte, nel giardino...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Dedica
  5. 1
  6. 2
  7. 3
  8. 4
  9. 5
  10. 6
  11. 7
  12. 8
  13. 9
  14. 10
  15. 11
  16. 12
  17. 13
  18. 14
  19. 15
  20. 16
  21. 17
  22. 18
  23. Grazie
  24. Per tutti gli sbagli - I primi due capitoli