Sei bella come sei
eBook - ePub

Sei bella come sei

  1. 152 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Sei bella come sei

Informazioni su questo libro

Quando Clio atterra a New York ha in tasca tanti sogni e già dal primo giorno si accorge che la vita in America è un'avventura imprevedibile! Si trova catapultata in un nuovo mondo, ricco di piccole e grandi sfide: Giorgia, l'amica con cui ha sempre condiviso ogni cosa, è come sparita nel nulla con un ragazzo appena conosciuto, quando compare il nuovo vicino di casa, che tra uno scherzo e qualche risata riesce a colorare anche i momenti più bui. Clio, infatti, è cotta dell'Inarrivabile di turno: ha occhi solo per Lui, che invece non la degna nemmeno di uno sguardo. E, come se non bastasse, c'è da conquistare quel posto da make-up artist alla New York Fashion Week! La Grande Mela si rivela soprattutto il luogo delle opportunità e degli imprevisti: la città perfetta per sentirsi liberi, per imparare a essere se stessi e seguire la propria passione. A migliaia di chilometri da casa – dove è rimasta l'amatissima nonna, sempre pronta a darle un consiglio e un incoraggiamento via Skype – Clio inizierà a riconoscere cosa (e soprattutto chi) vuole al suo fianco per il futuro, riuscirà a fare pace con il passato e a innamorarsi delle parti di sé di cui finora ha sempre avuto paura. E se incontrare un ragazzo che ti ripeta "sei bella come sei" non è semplice, è ancora più difficile arrivare a crederci davvero. Perché i sogni si inseguono, ma per raggiungerli non bisogna arrendersi mai! Sei bella come sei è un romanzo fresco e insieme molto intimo e personale per l'autrice, la cui storia sembra proprio suggerire che i desideri, se lo vuoi, possono diventare realtà!

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2015
Print ISBN
9788817084246
eBook ISBN
9788858681732

Capitolo 1

Chi me l’ha fatto fare? Apro il palmo della mano destra, controllando per l’ennesima volta l’indirizzo segnato sull’annuncio.
“Fa’ che sia un errore! Uno stupido errore del GPS sul telefonino!” prego dentro di me.
1068 Myrtle Avenue all’incrocio con Lewis Street.
Mi porto gli occhiali da sole sopra la testa, socchiudendo gli occhi per abituarli alla luce del giorno.
Il mio sguardo passa dall’insegna della via al foglio, ormai stropicciato a forza di stringerlo. Non si sa mai che abbia letto male per la stanchezza indotta dal jet lag.
Myrtle Avenue. Nulla da fare. Il navigatore del cellulare funziona alla perfezione e l’edificio fatiscente davanti a me non ne vuole sapere di sparire o di trasformarsi in una reggia a cinque stelle.
Mi volto per vedere se riesco ancora a fermare il taxi da cui sono appena scesa: vorrei farmi riportare al JFK, ma ormai la macchia gialla è già sbiadita in fondo alla via.
Nonostante l’autunno sia alle porte e le foglie stiano virando al rosso, New York è avvolta dall’afa. I marciapiedi sembrano sciogliersi per il caldo e, passandomi le dita sotto agli occhi per togliermi il residuo di mascara colato, osservo quella che dovrebbe essere la mia casa per i prossimi quattro mesi.
Dovrebbe, condizionale. Sì, spero ancora che sia un errore.
Il mio appartamento non può essere in questo palazzone. Non può essere in questa via nel mezzo del nulla. “Sono finita in un girone dell’Inferno” penso, mordendomi il labbro per trattenere le lacrime, mentre il mio sogno americano svanisce a mano a mano che mi avvicino all’edificio. Sembra un miracolo che si tenga in piedi. I muri sono scrostati, le finestre, chiuse dietro grate di ferro arrugginite, ricordano molto quelle di un carcere di massima sicurezza e qualche metro più in là, sul marciapiede, nastri gialli e neri come sulla scena di un crimine.
La palazzina più vicina dista qualche centinaio di metri e accanto alla porta d’ingresso un senzatetto fruga nella spazzatura che per il caldo emana un odore di rancido.
Non è esattamente questa l’idea che avevo di New York.
Tutta colpa di Sex and the City e soprattutto di Giorgia, la mia migliore amica. Mi ha convinta a salire su un aereo e mettere un oceano di distanza tra me e casa. Per cosa? Per inseguire il nostro sogno americano: frequentare la MUD, la Make-Up Designory, una delle scuole più prestigiose al mondo per chi vuole lanciarsi nella professione di MUA, per i non addetti: Make Up Artist.
Ma la speranza di un viaggio che alla partenza immaginavamo un po’ alla Thelma & Louise, all’avventura per gli ostelli di Manhattan, è svanita non appena abbiamo messo piede sul suolo americano.
Per cominciare in bellezza, siamo entrate in scena al JFK in grande stile, nell’ordine: un pastore tedesco antidroga viene prontamente sguinzagliato contro di noi, segue un interrogatorio degno di CSI da parte dell’ufficiale addetto al controllo visti e per finire le nostre valigie vengono aperte e ispezionate minuziosamente – neanche i pacchi di pasta e il formaggio Piave di nonna Anto fossero esplosivi!
Dopo aver trascinato i bagagli in giro per mezza New York e aver sbagliato per ben due volte quartiere, al nostro ostello veniamo accolte da un energumeno dalla lucida pelata che sembra uscito direttamente da un film di Spike Lee: «There’s no reservation for Clio Zammatteo».
Io, non parlando inglese, non mi sono resa subito conto della gravità della situazione. Giorgia, invece, col suo caratterino pepato ha dato in escandescenze, gesticolando come solo noi italiani sappiamo fare (non so se fosse un’allucinazione dovuta alla stanchezza del viaggio, ma nella mia mente ho questa immagine di Giorgia che minaccia l’omone puntandogli contro una forma di formaggio) col rischio di farsi menare. Mai una gioia.
Ci siamo trovate così senza un tetto sopra la testa, con gli ostelli ormai tutti presi d’assalto dagli studenti. Siamo quasi a fine settembre e le università e i corsi di specializzazione stanno per iniziare: è impossibile trovare una stanza libera in tutta Manhattan senza rischiare un mutuo a vita.
Questo piccolo appartamento in condivisione, scovato sulla bacheca online del corso d’inglese alla New York University è stato una vera manna dal cielo. D’altronde, non abbiamo scelta. Dormire sotto il ponte di Brooklyn non è tra le opzioni, se voglio arrivare al primo giorno di scuola e non finire all’obitorio.
Mentre penso che il progresso non ha ancora raggiunto questa zona dello Stato di New York, prendo il trolley nel quale ho racchiuso tutta la mia vita, il borsone con i miei trucchi e pure il bagaglio di Giorgia e trascino tutto verso il portone d’ingresso del palazzo, soffiandomi via un ciuffo di capelli rossi che mi è ricaduto ribelle sugli occhi e che mi si è appiccicato sulla fronte imperlata di sudore. Sento i leggings farmi da seconda pelle e un rivolo di sudore colare sulla schiena.
Porca miseria! Chi me l’ha fatto fare di ascoltare Giorgia?
Vi state chiedendo dove sia finita? Vorrei saperlo anch’io. La mia migliore amica, che in teoria dovrebbe essere anche la mia compagna di viaggio, si è data alla macchia.
Ieri sera nella hall dell’albergo dove abbiamo passato la notte, ha conosciuto Raul, un aspirante modello, e si è lasciata convincere a seguirlo in una visita guidata della città by night.
Stamattina, dopo averla aspettata per ore, mi è stato chiaro che il giro della Grande Mela non è ancora finito e che il night si è trasformato in day… E brava Giorgia!
Mentre arranco su per gli scalini all’ingresso del palazzo, mi rendo conto di quanto mi manchi l’aria fresca di montagna, il profilo delle Dolomiti che si staglia nel cielo, la brezza frizzantina che soffia tra gli alberi nel giardino curatissimo dietro casa.
Eppure, eccomi qui, in questo edificio che sembra la location perfetta per un film horror. E come se non bastasse, mi devo pure rassegnare a fare cinque piani di scale a piedi, perché ovviamente sulla porta dell’ascensore campeggia un biglietto con scritto OUT OF ORDER. Come il mio karma.
Ricaccio giù il nodo che mi si è formato in gola e mi inumidisco le labbra secche. Con un brivido, stringo forte al petto il cappotto di lana (non sono impazzita, ma non mi stava più in valigia…) e inizio a salire le scale che portano agli appartamenti, trascinando per i manici i bagagli.
Ansimante, raggiungo il terzo piano e lancio un’occhiata alla tromba delle scale. Ancora due piani e ci sono.
L’aria sa di chiuso e di muffa, le grate alle finestre fanno assomigliare ancora di più il posto a una prigione. Dalle porte degli altri appartamenti provengono urla, pianti di bambini, rap a tutto volume, come se i muri fossero di carta velina.
“Mamma mia…” Mi appoggio alla parete e riprendo fiato.
Bene, si prospettano mesi interessanti in quel di Bushwick!
In questo preciso momento mi rendo conto di quello che ho fatto, la consapevolezza del mio gesto avventato mi colpisce in pieno viso come una sberla.
Non ho lasciato solo Belluno, ma anche la mia vita e la vecchia Clio. Non che mi manchino gli amici del liceo o il mio lavoro da baby-sitter. Ma sono sola, esausta nel mezzo del nulla, Giorgia dispersa col suo modello argentino e ho nostalgia della nonna.
Non che i miei ventidue anni di vita si siano mai avvicinati a una fiaba. I miei genitori hanno divorziato quando ero solo una bambina. Mia madre e io abbiamo un rapporto civile, ci sentiamo ogni tanto per telefono, non assiduamente. Il giusto.
Sono stati nonna Anto e nonno Girmi a crescermi. Mi hanno fatto da mamma e papà, sono loro che si sono sempre presentati alle recite scolastiche, loro che hanno risparmiato tutto l’anno sulla pensione per non farmi mancare una settimana in campeggio e sono sempre loro che mi hanno spronato a partire e a vivere il mio sogno. O almeno a provarci.
Piuttosto avvilita, riprendo le valigie in mano. Sono sfinita, non vedo l’ora di stendermi sul letto e cadere tra le braccia di Morfeo. Dopo una bella doccia rinfrescante, ovviamente.
Ho fatto solo qualche scalino, che il cellulare inizia a squillare.
Rovisto nella borsa, cercando il telefonino sepolto fra i trucchi. Lo afferro e, appena vedo il nome di Giorgia illuminato sullo schermo, ribollo di rabbia.
«Non mi parlare.»
«Eddai, Claiuz.»
«Ma che Claiuz e Claiuz! Finalmente ti sei ricordata di avere un’amica, eh?»
Raul è un figo pazzesco, non mi stupisco che Giorgia abbia preferito la sua compagnia alla mia. Stare con lui è senz’altro meglio che essere qui assieme a me, sudata e di pessimo umore, a trascinare valigie su per le scale di una catapecchia.
«Eddai, scemotta! Lo sai che ti adoro. Dai dimmi, com’è la zona? E l’appartamento?»
Sospiro pesantemente. Se le dico subito com’è, di sicuro non si presenta più e mi abbandona al mio triste destino in questa via desolata. «Non l’ho ancora visto, l’appartamento, ma da fuori non mi sembra male» mento. Sempre meglio del ponte di Brooklyn o del pavimento lercio della metropolitana.
«Perfetto!» esclama entusiasta. Già, perfetto… «Non vedo l’ora di vederlo. Finalmente potremo iniziare la nostra avventura newyorchese.»
«Non aspettarti l’appartamento di Carrie di Sex and the City» borbotto mentre continuo a salire a fatica gli scalini. «Non è mica Manhattan, siamo a Brooklyn e…» Non riesco a finire la frase che vengo investita. Davvero.
Un corpo solido e non identificato mi travolge. Il mio cervello non fa in tempo ad assimilare il pericolo che mollo valigie, borsa e telefonino, e mi aggrappo come un koala alla ringhiera delle scale.
“Prego solo Dio che tenga!”
Chiudo gli occhi, mentre sento le valigie rotolare giù e finire con un tonfo sordo sul pianerottolo di sotto. “I trucchi” penso. Le mie favolose palette sono ruzzolate giù per gli scalini.
«Hey, are you ok
Sento una voce maschile con uno strano accento. Apro gli occhi e mi trovo a fissare un petto. Un petto maschile fasciato in una maglietta di Iron Man.
Alzo lo sguardo e scopro, sopra l’armatura dell’eroe della Marvel, due occhi grigi che mi fissano preoccupati. Due occhi grigi sensazionali!
«I’m so sorry. Are you ok?» ripete scrutandomi attentamente in volto.
D’accordo, il mio livello d’inglese è zero, a parte qualche canzone dei Beatles, grazie all’amore di nonna per la band. Certo che cantargli Help! non sarebbe una cattiva idea!
Mollo la presa dalla ringhiera e raddrizzo le spalle, per sembrare meno disperata. Nervosa, tolgo un pilucco inesistente dalla maglia rosa di H&M che indosso. A completare il kit di sopravvivenza alla calura del giorno, un paio di leggings neri e le infradito. Tra le mani, il cappotto. Di lana.
Gli sorrido timida, pensando se alzare i pollici in su possa essere una risposta soddisfacente ed esaustiva e non peggiori lo stato in cui mi sento. Patetica.
Sono affannata, con i capelli per aria e crespi per l’umidità, il viso in fiamme, vestita con i primi stracci che ho trovato in valigia. Non ho nemmeno avuto il tempo di farmi la ceretta e ora, qui davanti, ho questo ragazzo divertito che mi squadra dal basso verso l’alto, finendo la corsa sulla scollatura della T-shirt. “Furbetto, eh?! Però che impertinente… Mi ha appena asfaltata!”
Incrocio le braccia al petto. «Ok» rispondo con quell’unico monosillabo valido in tutto il mondo.
Mi accovaccio a raccogliere i trucchi e sento la sua presenza alle mie spalle, inquietante come quella di un avvoltoio. Potrebbe essere un maniaco o un serial killer. Mi devo ricordare che non sono a Belluno, ma a Brooklyn nel mezzo del nulla.
“Oddio… Non ho neanche lo spray antiaggressione!”
Con la coda dell’occhio, lo osservo inginocchiarsi per darmi una mano a raccogliere la roba che mi è caduta dalla borsa e intanto recupero un po’ più in là il telefonino con Giorgia ancora in linea.
«Clio…? Ma Clio, ci sei? Tutto bene? Cos’è sto macello?» la sento gridare dal cellulare. «Clio, mi senti? Prova, prova.»
«Giorgia…» rispondo portandomi il telefonino all’orecchio.
«Ma cosa è successo?»
«Ho fatto conoscenza con Iron Man» borbotto e lo scannerizzo mentre recupera le mie valigie. Porta dei bermuda di jeans al ginocchio e devo ammettere che gli stanno anche bene (non tutti gli uomini sanno portare i pantaloni corti, a parte i calciatori di Serie A), la maglietta un po’ sbiadita e scarpe da ginnastica che hanno visto tempi migliori.
«Iron che? Ripeti scusa?»
Il ragazzo sale g...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Copyright
  3. Dedica
  4. Capitolo 1
  5. Capitolo 2
  6. Capitolo 3
  7. Capitolo 4
  8. Capitolo 5
  9. Capitolo 6
  10. Capitolo 7
  11. Capitolo 8
  12. Capitolo 9
  13. Capitolo 10
  14. Capitolo 11
  15. Capitolo 12
  16. Capitolo 13
  17. Capitolo 14
  18. Capitolo 15
  19. Capitolo 16
  20. Capitolo 17
  21. Capitolo 18
  22. Capitolo 19
  23. Capitolo 20
  24. Capitolo 21
  25. Capitolo 22