Tutte le volte che vuoi
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  1. 352 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Luis non ha inibizioni, né regole. Artista cubano trasferitosi a Milano, delle donne crede di conoscere ogni segreto. Almeno fino a quando incontra Eva, proprietaria di un negozietto di vinili fuori dal tempo, che da nemica giurata diventa la sua ossessione. Senza chiedergli il permesso. Luis la convince a posare per lui una volta a settimana, per sei settimane. Un vero e proprio contratto, il loro, di cui Luis perde presto il controllo, lasciandosi sprofondare in una passione che lo porterà più lontano, nel gioco del piacere, di quanto si sia mai spinto. Ma quello che doveva essere un semplice gioco di seduzione si trasforma piano piano in qualcos'altro. E Luis, da cacciatore, diventa preda a sua volta. Una storia di travolgente erotismo, che svela alle donne quello che ogni uomo vorrebbe nascondere, dentro e fuori dal letto.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2015
Print ISBN
9788817083553
eBook ISBN
9788858681305

1

Un colpo secco fa traballare il tavolo. Afferro la mia pinta di birra prima che si rovesci sul blocco di appunti. Alzo gli occhi.
«Scusa, eh.» Il colosso rapato mi fa un sorriso ebbro, continuando a ondeggiare. Se si schianta da questa parte sono finito, peserà centoventi chili. Lo fisso cercando di comunicargli stabilità. Si ritrae appena, come se una mano invisibile lo avesse preso per la collottola e spostato, e si allontana malfermo verso il bancone, lasciandosi dietro una scia di piedi pestati e bicchieri rovesciati.
«Ehi, guarda dove vai!»
«Ah! Attento con quella birra!»
«Non è colpa mia, mi è venuto addosso quello!»
Seguo l’avanzata del colosso con un certo divertimento. Mi domando se davvero si fermerà al bancone o se ci si ribalterà sopra, senza riuscire a frenare. Leo mi chiede sempre come faccio a studiare per il mio lavoro proprio al Birrificio Lambrate, in mezzo a tutto questo casino, ma è proprio per via del casino che vengo qui. Ho cominciato quando abitavamo da queste parti, in via Desiderio. Scendevo verso sera, con il mio blocco di appunti o i testi da leggere, e mi mettevo all’opera sulla sceneggiatura del mio ultimo documentario, mentre intorno a me la serata si scaldava. Anche ora che abito dall’altra parte di Milano mi piace ritornarci, ogni tanto, mi ricorda i vecchi tempi. E anche ora, quando entro, stranamente c’è quasi sempre un tavolo libero, come se mi stesse aspettando.
Il colosso calvo si è schiantato contro il bancone, sbaragliando la concorrenza degli altri avventori che si accalcano per una birra. Due ragazze sedute sugli sgabelli si ritraggono per non essere investite.
Mica male, quella di destra.
Ha appoggiato un piede a terra per spostare lo sgabello più vicino a quello della sua amica, e più lontano dal colosso. Lo spacco della gonna, lunga e scura, si è aperto rivelando un bel pezzo di gamba, i muscoli della coscia in tensione mentre tira in avanti il sedile. Si riaccomoda, e seguo la curva del fianco che si rilassa, morbido, poi salgo con lo sguardo ai capelli che finiscono in boccoli sinuosi a metà schiena, lucidi e bruni. Le tempie. Gli zigomi alti, marcati. La bocca rossa. Tutto in lei mostra la donna a proprio agio con il suo corpo. La sicurezza le cola addosso come un fluido sulla pelle ambrata, sulla camicetta arancione bruciato con tre bottoni aperti, sulla gonna nera, sui piedi calzati in un paio di sandali dorati con la zeppa. Sembra una zingara, pronta a mettersi a danzare. La guardo gesticolare con mani dalle dita lunghe, rivolta alla sua amica. Di sicuro sta raccontando qualche aneddoto. L’altra l’ascolta intenta, rigida sullo sgabello e un po’ curva in avanti, le gambe unite come una scolaretta, una mano infilata tra le cosce fasciate dai jeans, l’altra che pende floscia dal bancone su cui ha appoggiato il gomito.
La vitalità e l’apatia, penso, immaginandole trasformate in un quadro allegorico. La turgida Estate e il mite Autunno.
Poi, mentre le osservo intrigato, l’aneddoto finisce e Autunno mi sorprende. Ride, a piena gola. La testa coronata di corti capelli castani si tuffa all’indietro, in un gesto di completo abbandono, e dalla fronte alle guance tirate nel sorriso, al piccolo mento, al collo esposto, il suo profilo diventa un unico, perfetto arco di grazia. Un attimo, ed è Primavera.
Ma è solo un attimo. Poi si spegne.
Intanto, Estate si volta nella mia direzione, incrocia i miei occhi, e tutta la conversazione delle ore che ci separano dall’alba passa fra di noi in meno di un secondo.
È sempre così, quando incontro qualcuna in un bar. O la connessione è immediata, e so esattamente che ci sarà un contatto, oppure è meglio lasciar perdere. Non mi piace sprecare tempo. Vogliamo tutti e due passare una bella serata, e allora perché buttare energie in strategie, complimenti e mossette? Meglio andare dritti alla meta. Nessuna si è mai lamentata.
Chiudo il blocco per gli appunti, infilo la penna nella spirale, e mi avvicino al bancone scivolando tra la folla. Estate continua a guardarmi, non dubita neanche per un momento di essere il mio obiettivo, e ha ragione. Vedo il suo corpo che si prepara, ruota come un girasole nella mia direzione, il busto si piega un po’ in avanti, le gambe si divaricano appena. La sua amica le sta parlando ma lei non ascolta davvero, annuisce distratta. Interrompe il contatto visivo e si porta una mano alla bocca, per poi fissare di nuovo gli occhi nei miei appena le arrivo di fronte.
«Ciao, sono Luis» sorrido. Non ho mai capito l’utilità di studiare chissà quale battuta di abbordaggio. So che alcuni ne fanno un’arte. A me non servono finzioni né giochetti: se lei vuole quello che voglio io, e in genere è così, ci capiremo. Se non è così, inutile insistere. Non ho mai perso il sonno per essermi perso una donna.
«Ciao Luis, sono Manuela.» Tende una mano, la stringo, ritrae la sua di colpo. «Accidenti, che stretta!» protesta con una risatina.
«Troppo forte? Scusami, deformazione professionale.»
«E cosa fai, il fabbro?»
«L’artista. Le mani forti sono una necessità.»
«Immagino tu faccia sculture in ferro battuto senza martello, allora» commenta l’amica, acida. Ha raddrizzato la schiena e mi fissa impettita e all’erta come una domatrice di leoni. Che le avrò fatto?
«Posso essere anche molto delicato, se serve.» Decido per la via seduttiva, le sorrido e allungo una mano. «Piacere, Luis.» Mi concede una stretta rapida e diffidente e si ritrae. «Sono andato meglio?» chiedo.
«Normale.»
Probabilmente lo dice anche al fidanzato dopo che hanno scopato, poveretto. Sempre che una così sia fidanzata. L’importante è che non lo sia la sua amica, o che perlomeno non sia il tipo fedele. Di certo non lo sembra.
«Con che materiali lavori, Luis?» domanda Manuela, appoggiando una mano sul mio braccio per riportare su di sé l’attenzione.
«Con molti, ma in questo periodo soprattutto con la terracotta.»
«E a quale opera stai lavorando ora?»
«Sto ancora pensando al soggetto. Credo sarà una figura femminile, e ha già un nome. Si chiama Eva.»
La vedo trasalire e gettare un rapido sguardo alla sua amica, che però è occupata da altro. Il colosso rapato le si è piazzato vicino e sta cercando di fare conversazione. Ottimo, pensaci tu a miss “Normale”, lo benedico silenziosamente. Io preferisco il calore umano.
Allungo la mano sul bancone, sfiorando la schiena di Manuela con un braccio.
«Mi piace il colore della tua camicetta» le dico. «Quasi terracotta, ma più caldo. Terracotta al tramonto.»
«Sei proprio un artista!» ride, buttandosi indietro i capelli con una mano in un gesto seduttivo. La mia reazione è immediata. Mi chino un po’ di più su di lei, come un predatore. «A me piacciono molto i tuoi occhi, invece. Sono così azzurri» aggiunge fissandomi intenta, preda della stessa intuizione. È questione di ore. «Hai un nome spagnolo ma non puoi essere spagnolo, con quegli occhi…»
«Vengo da Cuba.» Manuela fa una faccia stupita. «È un’isola su cui sono passati tutti» le spiego, «indios, spagnoli, americani, schiavi africani, frotte di europei, sudamericani di ogni genere, tra cui un argentino molto famoso… Lo chiamavano “Che” Guevara.»
«Ma tu potresti essere, che ne so, francese o italiano!» esclama lei. Alza una mano a toccarmi una guancia, quasi per controllare che non sia truccato. «Hai anche la pelle bianca, gli zigomi alti… E non hai alcun accento.»
«Sono in Italia da più di dieci anni, e sono portato per le lingue» dico. «O non ti fidi? Vuoi vedere il passaporto?»
«Sì, certo, perché no?» Ride di nuovo, e tende una mano a palmo in su. «Favorisca le credenziali, giovanotto!»
Non è uno scherzo così divertente, considerato che nei miei primi anni in questo Paese mi è capitato davvero di essere fermato dalla polizia come sospetto clandestino, ma so che lei dice così per ridere. Purtroppo non mi porto dietro il passaporto per andare a bere una birra. Tiro fuori dal portafoglio un biglietto da visita, glielo allungo, poi cambio idea e ritraggo la mano.
«E tu cosa mi dai, in cambio?» la provoco. Le sue pupille si dilatano e so che la risposta è facile. Ma in quel momento l’amica le arriva addosso, balzando giù dal proprio sgabello e rischiando di rovesciarlo e di trascinare Manuela con sé.
«Tieni le mani a posto!» strilla, rivolta al colosso calvo.
Maledizione. Avrei dovuto intuirlo, che non l’avrebbe tenuta occupata per molto. Non ha l’aria di saperci fare neanche da sobrio.
«Ehi, datti una calmata, troietta!» ruggisce crapa pelata. Ora che ci faccio caso, ha anche un paio di teschi disegnati sulla maglietta nera. Un poeta.
Manuela è saltata giù dallo sgabello e si è avvicinata alla sua amica; mi lancia una breve occhiata, metà per verificare se sono sempre lì e metà per valutare se posso essere utile in caso di rissa. Non sono certo un culturista, anzi sono piuttosto snello, ma tra il lavoro e l’attività all’aria aperta le mie braccia sono come le mie mani. Forti.
Preferirei, però, non fare a pugni col colosso, perché la forza di gravità è decisamente dalla sua parte.
«Ehi amico, che succede? Che ne dici di una birra?» butto là, e con un movimento rapido mi metto in mezzo tra lui e le ragazze. Spero che abbiano il buonsenso di allontanarsi.
«E tu che cazzo c’entri?» Il colosso non si lascia placare, guarda oltre la mia spalla con occhi di fuoco. «Quella troia mi ha dato uno schiaffo!»
«E se provi a toccarmi un’altra volta te ne arriva un secondo!» minaccia dietro di me la voce sottile ma feroce della ragazza. Allora sei proprio cretina, penso esasperato mentre una mano pesante mi atterra sulla spalla e il colosso cerca di spostarmi per gettarsi sull’oggetto delle sue brame. O della sua furia omicida, non è più chiaro. Mi pianto bene per terra, a gambe larghe, e oppongo resistenza. Testa pelata mi guarda con un certo stupore.
«Fammi passare!» protesta, chiedendosi perché mai la sua manata non mi abbia già fatto volare fuori dal locale.
«Lascia perdere» ribatto quieto, guardandolo fisso. Negli occhi gli appare una nota di perplessità. Sento Manuela che mormora: «Vieni, dai, usciamo», e mi auguro che lei e la sua stupida amica arrivino alla porta in fretta, mentre l’attenzione del corteggiatore è puntata su di me.
«Ma tu chi cazzo saresti, un cavaliere Jedi?» ringhia poi lui, riscuotendosi e raddrizzando le spalle in previsione della rissa. «Ehi ragazzi, guardate chi c’è qui, ho trovato Obi-Wan Kenobi, il paladino delle troiette!»
Ragazzi? Non distolgo lo sguardo da lui, cerco di proiettare sicurezza e di anticipare le sue mosse, ma immagino che da qualche punto della birreria gli stiano arrivando rinforzi. Pazzesco, sono quasi dieci anni che vengo qua e non ho mai avuto l’ombra di un problema. Pensa te se adesso devo fare a pugni con un branco di hooligans per colpa di una ragazzetta idiota.
«Oh, cosa succede lì?» La folla si apre e si avvicina un cameriere. «Niente scherzi che chiamo la polizia, stanno qua dietro, arrivano in un minuto.» So benissimo che non è vero. L’importante è che non lo sappia testa pelata.
«Non succede nulla» assicuro, alzando le mani in un gesto universale di tregua. «Stavo giusto offrendo una birra al mio nuovo amico, qui.»
Per un attimo, tutto è in bilico. Poi la faccia del colosso si apre in un ghigno.
«Ma sì, chi se ne frega della troietta, facciamoci ’sta birra, Obi-Wan Kenobi!» La sua manata amichevole stavolta rischia di buttarmi per terra sul serio, sarà il calo di tensione. Il cameriere fa un cenno al suo collega dietro al bancone e due pinte atterrano davanti a noi. Brindo col colosso.
«Alla pace nel mondo!»
«Salute!»
«Ora scusami un secondo, devo andare in fondo a destra» gli dico dopo un paio di sorsi. Mi allontano verso il bagno, ma appena fuori dalla sua vista faccio un giro largo ed esco dal locale. Come immaginavo, Manuela e l’amica sono ancora lì, appoggiate al muro poco lontano.
«Tutto bene?» mi chiede Manuela.
«Tutto bene» rispondo, scrollando le spalle. «Voi tutto ok?»
«Ma sì, non è successo niente.»
«Tutto ok un accidente!» L’amica mi si rivolta contro come una furia, piantandomi un dito in mezzo al petto. «È tutta colpa tua!»
Strabuzzo gli occhi. Non mi aspettavo che mi gettasse le braccia al collo, ma almeno un po’ di gratitudine sì.
«Colpa mia
«Certo, Mister Innocenza, proprio colpa tua!» Mi rifà il verso in tono sgradevole. «Se non fossi venuto a fare il simpatico, noi ce ne saremmo rimaste tranquille a chiacchierare tra di noi. E quel puzzone non si sarebbe sentito in diritto di avvicinarsi, pensando che avessi bisogno di compagnia!»
Manuela interviene: «Ma insomma, Eva…».
«Oh, scusa tanto!» le si rivolta contro l’amica. «Ti ho rovinato l’idillio! La prossima volta sto a casa, così puoi andare in giro a adescare chi vuoi senza impicci!»
«Ora non dire sciocchezze! Non stavo adescando nessuno!»
Quasi quasi torno dentro dal colosso. Mi sa che è molto più facile trattare con lui che con queste due.
«Senti, io vado a casa e ti lascio col tuo bello, eh? Che poi, bello: si fa per dire» aggiunge con un’aria schifata. Sarà attraente lei. Si incammina lungo la strada, senza salutare. Manuela fa un passo per seguirla, guarda me, poi guarda lei, incerta.
«Mi dispiace…»
Dispiace anche a me. Uno esce per una serata tranquilla, fa un incontro promettente, e poi scopre che la ragazza in questione deve fare da assistente sociale a una matta.
«Figurati.» Sorrido e le appoggio u...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Preliminari
  5. 1
  6. 2
  7. 3
  8. 4
  9. 5
  10. 6
  11. 7
  12. 8
  13. 9
  14. 10
  15. 11
  16. 12
  17. 13
  18. 14
  19. 15
  20. 16
  21. 17
  22. 18
  23. 19
  24. 20
  25. 21
  26. 22
  27. 23
  28. 24
  29. 25
  30. 26
  31. 27