Resta dove sei e poi vai
eBook - ePub

Resta dove sei e poi vai

  1. 208 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Resta dove sei e poi vai

Informazioni su questo libro

Ale ha cinque anni quando in Europa si alzano i venti della Grande Guerra, e il suo papà, come molti altri giovani, parte per il fronte. La guerra però la combatte anche chi rimane a casa, nelle difficoltà di trovare il cibo e i soldi per l'affitto, con il terrore che un ufficiale bussi alla porta per riferire che un familiare non tornerà più a casa. Ale non vuole credere che sia questo il destino di suo padre, ma le lettere che l'uomo spedisce dal fronte si fanno saltuarie e cupe, e sempre più rare…

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2016
Print ISBN
9788817086165
eBook ISBN
9788858683156

Voglio tornare a casa

I Want To Go Home

Georgie fu molto tranquillo sul treno che li riportò a Londra. Si sedette in un angolo della carrozza, e rimase a fissare il paesaggio scorrere con le braccia strette intorno al busto, come se cercasse di smettere di dondolare avanti e indietro. Appena il treno si fermava a una stazione – o vicino a una stazione – per far salire o scendere i passeggeri, lui chiudeva gli occhi. Ogni volta che il controllore fischiava, ma anche a una fermata particolarmente affollata, quando tutte le porte del treno si chiusero sbattendo, Georgie si lasciava sfuggire un gemito sordo. Alfie tentava allora di parlargli, ma suo padre rispondeva quasi solo a monosillabi: sì; no; Clayton; domani; pillole; a volte; aiuto.
A Manningtree salì un giovane soldato. Si sedette nella loro carrozza, e dopo essersi acceso una sigaretta si mise a guardarli con un sorriso arrogante e sfacciato. Aveva l’uniforme pulita e stirata di fresco, e sembrava quasi che fosse la prima volta che la indossava. Georgie lo squadrò da capo a piedi per un istante con espressione angosciata, ma quando il soldato colse il suo sguardo, Georgie si girò dall’altra parte.
«Cos’hai da guardare?» chiese l’altro. «Non hai mai visto un soldato prima?»
Georgie non disse nulla e Alfie cercò di concentrarsi su Robinson Crusoe, in modo che il giovane non pensasse di rivolgergli la parola.
«Il gatto ti ha mangiato la lingua? Ti ho chiesto: Non hai mai visto un soldato prima?»
«Ne ho visto qualcuno» mormorò Georgie, fissando fuori dal finestrino.
«E tu, cosa leggi?» domandò il soldato facendo saltare il libro via dalle mani di Alfie con un’abile colpo di mano; lo girò per leggerne il titolo. «Robinson Crusoe. Ce l’ha anche il mio vecchio a casa. Si direbbe noioso.»
«È il libro migliore che sia mai stato scritto» disse Alfie.
«Ah» rise il soldato scuotendo il capo. «E cosa vuoi saperne tu? Chi è quel simpaticone vicino al finestrino?» chiese indicando Georgie con un cenno del capo.
«Mio padre» disse Alfie.
«Gli manca qualche rotella, eh? Ehi, tu! Ti manca qualche rotella, vero?»
Georgie si voltò e lo fissò per un attimo, piegando la testa di lato come se stesse cercando di capire bene che cosa stava succedendo; poi si girò di nuovo verso il finestrino.
«Ehi, cosa ne pensi?» continuò il giovane soldato indicando la sua divisa. «Fa una gran figura, non credi? È il mio primo giorno. Vado a Londra a incontrare i miei nuovi compagni, poi ad Aldershot per l’addestramento. È da quattro anni che aspetto questo momento. Dicevano che per Natale sarebbe finito tutto. Grazie al cielo, si sbagliavano. Ehi, amico, e tu perché non combatti?» gridò a Georgie, che si alzò di colpo e uscì dal vagone sbattendo con rabbia la porta alle sue spalle. «È uno da piuma, eh?» domandò il giovane soldato ridendo, e Alfie senza pensarci strinse i pugni, con la voglia di chiudere il becco a quell’idiota. «Sono dappertutto, sono. Ci vuole un vero uomo per vincere la guerra. Ci penserò io a Fritz, non preoccuparti. Io e i miei nuovi compagni.»
Alfie si alzò e uscì dalla carrozza senza dire una parola. Attraversò tutto il treno, e alla fine ritrovò il suo papà: era seduto da solo, con la testa sepolta tra le mani.
«Papà?» disse sedendoglisi accanto. Avrebbe voluto tanto passargli un braccio intorno alle spalle, ma non sapeva come fare; si sentiva troppo impacciato. «Papà, stai bene?»
«Sì, Alfie» rispose Georgie a voce bassa. «Sono solo stanco, tutto qua. Non hai con te qualche pillola, vero?»
«No, mi dispiace.»
«Fa niente.»
Non dissero altro per tutto il resto del viaggio fino a King’s Cross, e quando arrivarono Georgie non parve avere molta voglia di scendere dal treno; il rumore dei motori e dei freni e i fischi dei controllori lo facevano tremare visibilmente. E quando alla fine Alfie lo convinse a scendere sulla banchina per riportarlo a Damley Road, Georgie sembrò ancora meno felice. Arrivati alla strada di casa, prima di imboccarla Alfie sbirciò da dietro l’angolo per controllare che non ci fosse nessuno in vista. Mrs Scutworth del numero quindici e Mrs Candlemas del numero tredici, però, erano proprio lì, una accanto all’altra, a lavare le finestre.
«Aspetteremo finché non avranno finito» disse Alfie, e Georgie annuì.
Rimasero lì nascosti, mentre i minuti scorrevano. Ogni volta che Alfie guardava suo padre, sentiva il desiderio di dirgli qualcosa, ma Georgie aveva la fronte corrugata, adesso; sembrava quasi che si fosse ripiegato su se stesso, e tenendo i pugni serrati dondolava avanti e indietro. Alfie lo guardava in silenzio, perché tutte le cose che gli venivano in mente avrebbero solo peggiorato le cose.
«Coraggio, papà» disse alla fine quando le due donne rientrarono in casa, e si ritrovò a prendere suo padre per mano e a guidarlo lungo la strada verso la loro porta, proprio come Georgie faceva con lui quando era ancora un bambino. Il ragazzo infilò la chiave nella serratura, la girò in fretta e insieme entrarono in casa.
Georgie si guardò intorno; sembrava un po’ instabile. La casa non era cambiata molto negli ultimi quattro anni, ma forse il ricordo del numero dodici era troppo per lui, perché appena mise piede nel salotto di casa si lasciò cadere nella poltrona sfondata di fronte al camino e si seppellì il viso tra le mani.
«Quando hanno visto che eravamo noi, è cambiato qualcosa, ti ricordi?» mormorò tra sé e sé. «Non posso fare ancora il turno da barelliere, tre notti di fila sono troppe per chiunque, è una tortura… Resta dove sei e poi vai, è così che mi diceva. Ma non ha senso, capisci? Dov’è Unsworth? Dove si è ficcato adesso?»
«Papà!» disse Alfie inginocchiandosi accanto a lui. «Papà, cosa c’è? Non capisco quello che dici.»
Georgie levò lo sguardo e scosse il capo, e per un momento parve quello di sempre. «Come dici, figliolo?» chiese in tono allegro. «Oh, non fare a caso a me. Avevo la testa tra le nuvole, tutto qua. Chiedi a tua madre di prepararci una bella tazza di tè, da bravo. Ho bisogno di andare a dormire presto, se voglio alzarmi in tempo la mattina.»
Alfie annuì e andò in cucina a mettere l’acqua sul fuoco. Prese il tè – nel barattolo ce n’era ancora più o meno un quarto – e ne versò un cucchiaino nella teiera, la riempì di acqua calda e lasciò in infusione per qualche minuto; intanto prese un po’ di pane e formaggio dalla dispensa. Quando il tè fu pronto, mise tutto su un vassoio e lo portò in salotto. Georgie era in piedi accanto al camino, con in mano una foto di loro tre, lui, Margie e Alfie, scattata solo qualche settimana prima che la guerra cominciasse.
«Bella famiglia» disse Georgie, come se non riconoscesse nessuno di loro.
«Papà, siamo noi quelli» disse Alfie porgendogli il tè. «Tieni, bevi questo. Ti sentirai meglio, te lo assicuro.»
Georgie annuì, e dopo essersi seduto con la tazza bevve un sorso con grande prudenza.
«Ti sei dimenticato lo zucchero» disse. «Non importa, forse è finito. A pensarci bene, se fossimo ancora a Londra, la mia Margie non si sarebbe mai dimenticata lo zucchero.»
Alfie lo fissò. «Papà, siamo a…»
Ci fu un rat-a-tat-tat alla porta e Alfie sobbalzò. Solo una persona bussava alla porta in quel modo. «Resta qui» disse a suo padre. «Non muoverti, intesi?»
«Sissignore!» disse Georgie facendo il saluto militare, e si riappoggiò allo schienale.
Alfie si avvicinò alla porta e l’aprì di appena uno spiraglio; poi, tenendola con il piede in modo che nessuno potesse entrare, si sporse a vedere chi aveva bussato.
«Tutto a posto, Alfie?»
«Tutto a posto, vecchio Bill» disse con un sorriso al suo vicino. In mezzo alla strada, vide Mr Asquith con Henry Lyons seduto a cassetta, e il carro carico di bidoni vuoti. Henry stava tentando in tutti i modi di convincere il cavallo a proseguire, ma Mr Asquith guardava fisso il numero dodici e non ne voleva sapere di muoversi.
«Va tutto bene lì dentro?» chiese il vecchio Bill sbirciando in casa da sopra la spalla di Alfie.
«Sì, la mamma è al lavoro, però, se è lei che cercavi.»
«No, non sono venuto per quello» disse. «Alfie, forse sto diventando matto, ma qualche minuto fa ero nella stanza che affaccia sulla strada, e dando un’occhiata fuori giuro di aver visto un viso familiare passare davanti alla mia finestra.»
Alfie deglutì, sperando che la sua espressione non lo tradisse. Tentò di guardare il vecchio Bill come se non capisse di che cosa parlava.
«Un viso familiare?» domandò. «E di chi?»
«Sei da solo in casa, Alfie?» chiese il vecchio Bill.
«Muoviti, vecchio ronzino!» strillò Henry Lyons.
«Te l’ho detto. La mamma è al lavoro.»
Il vecchio Bill si grattò la barba, quasi si chiedesse se era il caso o no di continuare con le domande. «Pensavo di aver visto be’, ascolta, so che può sembrare pazzesco, ma pensavo di aver visto tuo padre camminare per la via. Proprio lui, in carne e ossa.» Si voltò a guardare Mr Asquith. «Cosa diavolo gli prende, a quel cavallo?»
«Mio padre?» chiese Alfie scoppiando in una risata, che anche a lui suonò finta.
«Sì, tuo padre. Sai, quel tipo alto, che è partito per la guerra. Tuo padre, Alfie.»
«Mio padre è in missione segreta» disse Alfie.
«Allora suppongo che gli occhi mi giochino qualche scherzo.»
«Lo penso anch’io.»
«Me lo sarò sognato.»
«Non c’è nessun altro qui.»
«Posso entrare, Alfie?» chiese il vecchio Bill.
«Devo andare a scuola.»
Il vecchio Bill diede un’occhiata all’orologio. «A quest’ora?» disse.
«Volevo dire a fare la spesa. Ho detto alla mamma che avrei preso qualcosa per cena.»
Ci fu una lunga pausa, nella quale si fissarono a vicenda, uomo e ragazzo, in attesa che uno dei due cedesse. Alla fine, con un gran nitrito Mr Asquith fece un balzo in avanti e riprese a trotterellare lungo Damley Road, voltando la testa un paio di volte a guardare Alfie con aria di rimprovero.
«Come vuoi» disse alla fine il vecchio Bill con un sospiro profondo. «Be’, immagino che ci vedremo più tardi. Ciao, Alfie.»
«Ciao, vecchio Bill.»
Alfie chiuse la porta e ci si appoggiò contro con la schiena per un momento, scuotendo la testa. C’era mancato poco. Quando tornò in salotto, la tazza di Georgie era per terra e il tè stava impregnando il tappeto. Georgie guardò Alfie con l’aria di un bambino che è stato scoperto a fare qualcosa che non doveva.
«Mi è caduta.»
«Non importa» disse Alfie. «Ci penso io.»
«No, è meglio che pulisca io» disse lui, e dopo aver preso un cuscino dal divano si chinò per tamponare la macchia.
«No, non così» disse Alfie strappandogli il cuscino. Sua madre sarebbe diventata matta se si fosse macchiato di tè. «Non importa. Lascia fare a me.»
«Agli ordini, sergente» disse Georgie rimettendosi a sedere.
«Non sono un sergente!» strillò Alfie, esasperato. «Sono Alfie!»
«Ma certo, figliolo» disse Georgie stringendosi nelle spalle. «Saprò riconoscere mio figlio, non credi?»
Alfie diede un’occhiata all’orologio sulla credenza. Era già metà pomeriggio, ormai, e Alfie si rese conto che non aveva mai pensato sul serio a che cosa avrebbe fatto una volta riportato suo padre a casa; quello che voleva era trascinarlo fuori da quell’orribile ospedale, con il suo sangue, il suo puzzo, il lamento costante dei feriti nei corridoi. Adesso però capiva che stare confinato in quella casa angusta forse non era la cosa migliore per Georgie, quantomeno in quel momento, e gli venne un’idea. Corse di sopra in camera sua, aprì l’armadio, prese la cassetta porta lucidi dal suo nascondiglio e tornò al piano di sotto. «Usciamo» disse a suo padre.
«Usciamo? Per andare dove? Proprio ora che cominciavo a rilassarmi.»
«Devo andare al lavoro.»
«Al lavoro? La latteria sarà chiusa a quest’ora. Almeno per noi.»
«Non lavoro alla latteria» disse Alfie. «Lavoro a King’s Cross.»
«Conducente, vero? Si danno un sacco di arie, quei conducenti.»
«Faccio il lustrascarpe» disse Alfie, esasperato.
«Be’, un modo più che dignitoso per guadagnarsi da vivere.» Suo padre si guardò intorno e tutto d’un tratto parve non riconoscere la casa. «Ho bisogno di us...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Dedica
  5. Lasciami con un sorriso
  6. Se tu fossi l'unico crucco in trincea
  7. Tenete acceso il fuoco di casa
  8. Il tuo re e la tua nazione vogliono te
  9. Finirà 'sta sporca guerra
  10. Per me e la mia ragazza
  11. Ciao, chi è la tua amica?
  12. Siamo giù di corda?
  13. Oh! È una guerra magnifica!
  14. Silenzio, arriva la granata
  15. Metti tutti i guai in quella vecchia sacca e vai
  16. Voglio tornare a casa
  17. C'è un lungo, lungo sentiero tortuoso
  18. Riportami nella mia vecchia, cara patria