1
«Sì, Anna, mi sto messaggiando con una.»
Così ha detto mio marito.
2
Mi chiamo Paolino, ho tredici anni e continuano a chiamarmi Paolino. Possibile che a tredici anni nessuno mi chiami Paolo? All’anagrafe sono Paolo, non Paolino, ma credo che ormai per tutti e per tutta la vita io sarò Paolino. Almeno fino a quando non avrò cambiato tutti i denti, come dice mia madre.
Mia madre si chiama Anna e da due giorni piange. Dice che se Penelope fosse nata al giorno d’oggi, si sarebbe rotta a disfare la tela aspettando Ulisse. Non so se c’è un nesso fra i pianti di mia madre e la richiesta che mi ha fatto di raccontarle l’Odissea. Mia madre dice che sono un mezzo analfabeta, che ho tante idee, anche belle, ma le metto giù a casaccio e in pratica scrivo come un bambino di quinta elementare; che se passo l’esame, l’anno prossimo andrò in prima liceo e la professoressa di italiano, che poi è la stessa di mia sorella Francesca che è in seconda liceo perché ha due anni più di me, insomma, la prof di italiano è una iena e mi farà un culo così appena si accorgerà che non so scrivere. Così dice mia madre. E con questa scusa, ogni settimana mi obbliga a scrivere un tema su un argomento a scelta. A sua scelta.
Stavolta mi ha chiesto un tema sul mio amico Beltramini. Chissà perché, fra i miei compagni di classe, ha scelto proprio Beltramini, quello che tutti prendiamo in giro. Forse mia madre vuole che io rifletta sul problema del bullismo fra gli adolescenti, ma in classe di bullismo abbiamo già parlato, analizzato, scritto e riparlato alla nausea. L’unica cosa che mi manca è la sperimentazione diretta e se mi rompono le balle ancora un po’ con lo stesso argomento, mi metto a fare il bullo davvero e poi descrivo le mie sensazioni dall’interno. Comunque Beltramini, l’ho già detto, è un mio amico e nessuno in classe lo prende in giro davvero. Solo l’anno scorso, ridevamo perché era innamorato della Lucrezia, e facevamo i fumetti con lui supereroe protagonista e lei che lo schifava. Ma Beltramini era il primo a riderci su e anzi, a Natale ha comprato un sacco di copie del suo fumetto. Cinque per episodio, da regalare ai parenti, a cinquanta centesimi l’una. Io e Lillo, abbiamo incassato, solo da lui, sette euro e cinquanta.
Lillo disegna le vignette, io invento le storie e poi, insieme, le inzeppiamo di parolacce così i nostri compagni ridono. E comprano. Noi volevamo farle pagare un euro a copia, ma mia mamma ha detto che non è bello essere esosi. Poi ha letto un episodio e ci ha obbligati a cancellare le parolacce, quindi, senza parolacce, abbiamo dovuto abbassare il prezzo per forza, altrimenti quelli non le avrebbero comprate e noi non ci saremmo rifatti neppure del costo delle fotocopie.
Se mia mamma me le conta come buone, con queste due riflessioni su Beltramini e la storia dei fumetti, ho già riempito una pagina. Rifletto ancora per una pagina e poi ho finito ’sta rottura di tema a scelta. Sua.
Dunque, Beltramini di nome fa Giacomo e ogni tanto m’invita a casa sua a fare i compiti. Quando vado da lui, ce la sbrighiamo in fretta a studiare e subito giochiamo alla Play, tanto sua mamma non c’è perché lavora e sua nonna non dice niente. Il padre di Beltramini non abita con loro. I suoi genitori sono separati.
Ecco, da quando mia madre ha cominciato a piangere due giorni fa, ho pensato che in classe siamo stati proprio stronzi a prendere in giro Beltramini perché gli piaceva la Lucrezia, perché lui, suo padre, lo vede un sabato ogni due settimane e se mia mamma piange per colpa di mio papà, io non voglio fare un sabato con uno e l’altro con l’altra perché sono separati. E forse farsi piacere Lucrezia era un modo per non pensare ai suoi genitori separati. Povero Beltramini.
3
Ha detto proprio così: «Sì Anna, mi sto messaggiando con una».
Sto male? No, non così tanto. Non come avrei creduto.
Da qualche giorno sentivo nell’aria qualcosa che non mi tornava.
Non l’ho scoperto da sola. Me l’ha detto lui.
Minchia. Adesso sì che sto male.
È meno di nulla, dice lui. Gli credo? Non lo so, ma devo credergli. Non ho alternative. Voglio credergli. Se no muoio di dolore.
Solo che non riesco a pensare ad altro.
Anche a Elisa e Lucio è successo. Loro ci sono passati anni fa e ne sono usciti vivi. Insieme. Come hanno fatto? Come ha fatto Elisa a non morire di dolore?
«È stata un’impresa farlo confessare» dice Elisa. «Lucio aveva sempre il cellulare in mano, ma non voleva ammettere niente. Poi, in Thailandia avevo trovato quel messaggio...»
Erano in Thailandia in vacanza con i figli e Lucio non posava mai il telefono. Un giorno, nel villaggio gli chiesero di giocare a pallone e lo mollò. Elisa lo prese subito e scoprì che una tizia gli aveva appena scritto: «La vita non è la stessa senza di te...». Non era una sconosciuta. Nel loro quartiere la conoscevano tutti e anche Elisa sapeva bene chi fosse. Al ritorno dalla Thailandia, Elisa chiamò Luigi, il marito della tizia e gli raccontò per filo e per segno cosa stava succedendo fra i rispettivi. La non sconosciuta negò e negò e a proposito di quel messaggio, disse di aver sbagliato e che voleva mandarlo a suo marito perché nella rubrica Luigi e Lucio erano scritti vicini e bla bla bla finché Elisa si procurò il tabulato e vide con quale frequenza i due si messaggiavano...
Io non ho curiosato sul cellulare di mio marito. Non ho letto i suoi messaggi. Però c’era qualcosa che non mi tornava. Era sempre lì attaccato.
Io e Carlo in una crisi simile ci siamo già passati.
Anni fa era successo a me. Ero in Messico per lavoro. Ero partita come aiuto stylist per un servizio fotografico. Facevamo il calendario degli uomini più belli del mondo. Sul set mi circolavano davanti, nudi, i corpi palestrati di dodici machissime star internazionali. Un collega, assistente fotografo spagnolo, cominciò a girarmi intorno come un moscone. Voleva farmi delle foto. Le sue attenzioni mi gratificavano. Forse avevo solo bisogno di sentirmi le farfalle nella pancia. Forse dovevo mettere alla prova il mio legame con Carlo. Forse gli ero grata per l’interesse che mi dimostrava. Forse, forse. Ero in un posto lontano da tutto e da tutti. Mi sono lasciata vivere in quello strano film. Ci fu meno di niente, ma mi emozionai.
Carlo immaginava il peggio e gliel’ho lasciato credere. Lui è stato bravo, ha puntato su di noi ed è venuto a riprendermi.
Ma adesso la situazione è diversa.
Adesso ci sono i ragazzi.
«È la classica storia del cinquantenne al massimo della carriera, con l’infermiera di turno che gliela mette lì...» dice Elisa. «La conosci?»
«No. Non so chi è. Mi ha detto solo che è un’infermiera di un altro reparto.»
«Come volevasi dimostrare. Originalissimo.»
Non è importante il nome. La cosa importante è che se a me improvvisamente impazzisce il cuore, o è un infarto o sta succedendo qualcosa. Se Carlo si emoziona, inspiegabilmente mi emoziono anch’io. Siamo simbiotici. Qualcosa mi disturbava, non sapevo cosa, ma non ero serena. Sensazioni.
Così, ieri sera gli ho detto: «Io non ti ho mai mentito, Carlo. Non mi mentire». E sono andata a letto. L’indomani, appena mi sono svegliata, ha confessato. Il bello è che a me scappava da ridere. Cioè, è da ieri che piango, ma subito ho riso. Mi sembrava impossibile, ma ero sollevata. Finalmente il mio disagio aveva un perché. Tutto tornava. Io lo sapevo, me lo sentivo e mi scappava da ridere.
Io so tutto. Ho capito tutto. So quale meccanismo gli è scattato, lo so, l’ho vissuto anch’io. Carlo non fuma, non beve, non si droga.
Ha solo bisogno di un po’ di adrenalina.
«Sai che mia figlia ha avuto una specie di esaurimento post maturità?» mi ha detto Elisa. «Un crollo pazzesco. Nel momento in cui le endorfine per l’agitazione da esame sono finite, lei è andata in astinenza. Era praticamente drogata dall’ansia.»
Aiutami Carlo. Aiutami, proteggimi e dacci un taglio. Ci metterai un po’, sarà faticoso, sarò faticosa, me ne fotto, dacci un taglio. Nel momento in cui ti ho detto cosa mi era successo in Messico, in quell’istante preciso, ho chiuso. Storia morta. Ma io non ho fatto niente, dice Carlo, ho solo messaggiato... E allora, adesso quale sarebbe il tuo programma, trombare con l’infermiera di turno per vedere quanto ti tira?... Ma cosa dici, ho solo scritto qualche messaggio e chi se ne frega, trombare è un dettaglio... e dice, se io tronco questa cosa, magari fra due mesi sono daccapo... Ecco cosa mi dice. Vuole il mio consenso.
Be’, il mio consenso non ce l’ha.
«Secondo me, la distanza non aiuta» dice Elisa. «Mio marito si è guardato intorno nel momento in cui io non ero con lui. Ero concentrata sulla malattia di mia madre in ospedale e lui... trac. La distanza non aiuta.»
Di quale distanza parli, Elisa? Carlo lavora a dieci minuti di macchina da casa. E stamattina mi ha detto che tutti i suoi colleghi sono nella stessa situazione. Tutti. Anche i più insospettabili. Dice che sono tutti molto stressati e che hanno bisogno di stimoli per non crollare.
«Ma quante cazzate dice Carlo? Anna, tu devi essere chiara. Io a Lucio gli ho fatto le valigie e l’ho sbattuto fuori» mi ha detto Elisa. «Così ha capito che la posta in gioco era davvero troppo alta. Lucio è come Carlo. Esistono solo i suoi figli e la sua famiglia. Lui è uno che ha proprio bisogno di casa e di famiglia, quindi stop. Io ero diventata matta. In Thailandia gli ho requisito il telefono, ma col lavoro, mica potevo tenermelo in eterno. Be’, appena gliel’ho ridato, ha messaggiato con questa. L’ho scoperto dal tabulato.»
«Come si fa ad avere il tabulato?» ho chiesto.
«Se ha usato WhatsApp, il tabulato non serve» mi ha svelato Elisa. «Ma Carlo adesso cosa vuole fare?»
Non lo so, dice che questa robetta, come dice lui, non ha nessun peso. Poi ieri, Francesca mi ha visto piangere. Io ridevo e piangevo, tutto insieme, allora ha cominciato a girarmi intorno, a chiedermi cosa c’è, mamma cos’hai? Alla fine gliel’ho detto, perché questa robetta fa male proprio dentro. E mia figlia non è scema. Certe volte ho paura di pretendere troppo da lei. La trattiamo da donna, ma ha solo quindici anni. Poi ieri sera, a tavola, con suo padre era molto fredda. Allora l’ho presa da parte e le ho detto, no Francesca, non t’intromettere, non c’è stato un terremoto, questa è solo una piccola scossa di assestamento, stai tranquilla, passerà.
Carlo non ha detto niente, ma credo si sia spaventato.
4
«Carlo, te lo ricordi quando io sono tornata dal Messico?»
«Come faccio a dimenticarmelo.»
«Quando sono scesa dall’aereo, tu hai cominciato a chiedermi: “Anna, perché sto male?”.»
«Io stavo male perché tu non mi guardavi più.»
«Perché: tu adesso mi guardi? Quanto tempo è che non mi guardi, Carlo? Quanto tempo è che mi vedi come la madre dei tuoi figli e basta?»
«Be’, non dare tutta la colpa a me. La responsabilità è anche tua.»
«Sì, è vero, è anche colpa mia.»
«Cioè, io ho un momento di depressione. Apro gli occhi e trovo te che... porca puttana... sai Anna, cenare con gli amici mi fa piacere, ma se poi la frequenza con cui... Anna, noi non facciamo più l’amore.»
«Ci stavo pensando anche io.»
«Be’, fare l’amore è la speranza di non morire. Lo sai che io penso sempre che morirò presto, vero?»
«No, non muori presto, te lo do per certo.»
«Vabbè, ho capito. Ma allora, dico, forse non muoio. Non c’è solo la morte a cui pensare. C’è anche dell’altro. Questa robetta non conta niente, solo che non mi fa morire. È solo doping.»
«Lo so, si diventa molto egoisti.»
«Probabilmente sì. Probabilmente tocca corde che sono legate alla sopravvivenza.»
«E io adesso devo tentare di sopravvivere!»
«Cosa dici, Anna...»
«Sai, Carlo, io ho sempre pensato che il segreto per stare insieme tutta la vita è che uno dei due muoia presto. Allora io vorrei morire per far sì che n...