Figli dell'uomo
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Figli dell'uomo

Duemila anni di mito dell'infanzia

  1. 224 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Figli dell'uomo

Duemila anni di mito dell'infanzia

Informazioni su questo libro

"L'intento di questo libro è quello di raccontare la realtà della storia del bambino: metteremo a confronto le analogie e le differenze tra i costumi e i comportamenti dei vari popoli che nei tempi passati coinvolgevano, o ancora oggi coinvolgono, la vita dei bambini, il 'valore' religioso, sociale, economico che è stato loro attribuito e da cui è dipeso il più delle volte il loro destino." In un saggio rivoluzionario che ribalta convinzioni e stereotipi sul mondo dell'infanzia, la grande antropologa Ida Magli passa in rassegna i modi in cui i bambini sono stati trattati nel corso della storia per mostrare perché i nostri "cuccioli" non sono sempre stati considerati esseri innocenti e indifesi di cui occuparsi. Per molto tempo, e spesso ancora oggi, i figli sono stati trattati come una proprietà, sacrificabile e sacrificata. Un viaggio sconcertante di scoperta, nel quale impariamo che l'infanzia non è (quasi) mai stata un momento magico per gli uomini.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2015
Print ISBN
9788817080736
eBook ISBN
9788858682395
Categoria
Sociologia

Capitolo 1

Un matrimonio sterile

Assenza storica

Se cerchiamo delle notizie storiche dirette sui bambini, ne troviamo pochissime e soprattutto non le troviamo riguardanti il bambino come «soggetto», come «persona». Le dobbiamo invece cercare all’interno delle singole discipline che si sono costituite a mano a mano in Occidente: archeologia, filosofia, letteratura, arte, musica, storia, medicina, psicologia, psichiatria, ma isolandole dal contesto, perché in pratica fino all’Ottocento queste informazioni vengono date casualmente, senza quasi nessun rilievo da parte di chi scrive, salvo che nell’antropologia, una forma di sapere che però si è costituita proprio nell’Ottocento. Così, per esempio, siamo in grado di dedurre molti particolari sulle malattie, sulla durata della vita dei bambini, sul loro significato religioso o sociale, attraverso i ritrovamenti nelle necropoli di reperti infantili (ossa, capelli, indumenti, giocattoli), diversi da una società all’altra, da un’epoca all’altra per le caratteristiche razziali, per le malattie che vi hanno lasciato una traccia, o anche per la forma di sepoltura, corrispondente alle idee sulla morte e sull’al di là della morte che ogni popolo si è creato. Sono stati, infatti, quasi sempre i cadaveri, la loro immobilità, le loro trasformazioni a ispirare il «concetto» di morte, le riflessioni su una possibile vita dopo la morte, su un mondo nell’«oltre», sulla sua trascendenza. Al contempo il timore della morte presente nei cadaveri ha in­dotto a manipolarli, spostarli più volte da un luogo all’altro, legarne le membra per paura di un loro ritorno sulla terra. Per paura della morte.
Ciò che la scarsità di notizie sui bambini ci dice con certezza, tuttavia, è che il bambino non è mai stato «soggetto», in nessun luogo e in nessun tempo. La storia, infatti, nasce e si costituisce come tale intorno a qualcosa che è salito alla coscienza degli uomini come soggetto perché collocato dalla società stessa nell’ambito dell’azione: i re, i faraoni, i condottieri, i sacerdoti, i Papi, i poeti, e, insieme a questi «eroi», il contesto del loro agire: la politica, la guerra, la religione, la magia, l’arte, la musica. Sembra assurdo pensare che i bambini, ossia ciò che è indispensabile alla sopravvivenza dell’uma­nità, non siano mai stati visti se non sporadicamente come soggetti d’interesse, eppure la loro «assenza storica» ce lo prova. Ce lo prova il fatto che, malgrado i bambini morissero in gran numero, in Europa la pediatria è una delle specialità nate per ultime. È vero che ci sono stati singoli medici che si sono interessati alle malattie infantili e che sono stati eretti ospedali appositamente per l’infanzia, ma quasi sempre allo scopo di rispettare la norma che obbligava le donne e i bambini ad occupare uno spazio separato da quello degli uomini e non per dotarsi di un vero strumento per la loro cura. Di fatto la fragilissima vita dei bambini è stata affidata sempre e ovunque agli stregoni, agli sciamani, ai barbieri, alle mammane. Ce lo prova, infine, il fatto che la ricerca intellettuale ha portato a costruire piramidi, torri, ponti, fari, navi, armi, anche in epoche antichissime, con soluzioni tecniche sottili ed ardite e che in quelle stesse società non sia stato fatto nulla per assicurare la sopravvivenza dei bambini, per curarli e tanto meno per amarli.
Oggi però è assolutamente indispensabile, e bisogna farlo il più presto possibile, consegnare alla storia l’esistenza del «bambino», del piccolo figlio dell’uomo, narrando tutto ciò che l’ha riguardato in ogni parte del mondo, dalla più antica preistoria fino al 25 luglio 2014. Il 25 luglio 2014, infatti, è la data che ha segnato in maniera inequivocabile la fine della società. E l’ha segnata, fatto coerente con la finanziarizzazione della civiltà europea, attraverso il comportamento di una banca: Banca Intesa Sanpaolo.
Banca Intesa Sanpaolo è la più importante banca italiana, fra le prime venti in Europa per capitalizzazione di mercato. Possiede circa 1800 filiali distribuite in tredici Paesi, con 11,3 milioni di clienti in Italia e 8,6 milioni di clienti all’estero, come recita con una certa imponenza la scheda che le dedica Wikipedia.
Cosa ha fatto il 25 luglio 2014 la direzione di Banca Intesa Sanpaolo? Ha deciso, e ne ha dato notizia pubblicamente, che ai suoi dipendenti omosessuali fosse concesso per il matrimonio lo stesso trattamento dei dipendenti eterosessuali: quindici giorni di assenza dal lavoro retribuiti. È riconosciuto, insomma, alla coppia omosessuale il diritto di fare il viaggio di nozze, di allontanarsi dai luoghi abituali per abbandonarsi, senza controlli e senza sguardi importuni, alla vita sessuale e alla fatica che questa comporta. Naturalmente tutti questi privilegi sono stati concessi fino a oggi perché il matrimonio era l’istituzione più importante stabilita dalla società per la sua stessa sopravvivenza: la procreazione. Un’istituzione che è esistita ed esiste ovunque, come dimostra l’enorme mole di documenti e di ricerche che etnologi, antropologi, viaggiatori, missionari le hanno dedicato.1 Per quanto diverse siano le forme e le leggi che lo regolano, il dato primario di qualsiasi matrimonio è la sua funzione di garanzia per la procreazione. Il «viaggio di nozze» è una formula moderna di quell’allontanamento dal gruppo che ha sempre accompagnato ovunque la riservatezza dell’atto sessuale, sottraendo la sua «potenza» all’occhio degli estranei. Anche presso i popoli più primitivi, quelli che vivono in grandi capanne collettive e non celebrano cerimonie nuziali, la nuova coppia si allontana dal villaggio per trascorrere un certo periodo di tempo nella boscaglia. Quando ritorna il gruppo la considera sposata e le prepara nella capanna un posto contraddistinto da un proprio focolare in funzione della nuova famiglia e dei figli che verranno.
Il matrimonio, insomma, in tutte le società, è l’avvenimento sociale più importante ed è festeggiato esclusivamente perché, con la procreazione, i nuovi nati assicurano la prosecuzione della vita del gruppo, la memoria dei suoi antenati, delle sue tradizioni, della sua lingua, della sua storia.
Senza la «storia» l’umanità non esiste. E la storia è testimoniata dalla presenza di coloro che continuano a viverla. Lo sappiamo bene noi, gli europei, gli italiani soprattutto, che pure siamo stati i primi, e siamo forse ancora oggi gli unici, ad avere una consapevolezza reale dell’importanza della storia. Consapevolezza reale significa che siamo certi che la storia è coestensiva alla vita.2 L’individuo, così come un popolo, soggetto di una storia deve dunque essere vivo perché la storia sia viva, ed esserne consapevole. Per quanti sforzi facciamo nel conservare le tracce dei Romani, infatti, nulla riesce a nasconderci quanto sia «morta» la loro civiltà. Tracce, appunto. La civiltà romana non esiste più perché non esiste più il popolo romano.
È per questo motivo, quindi, perché festeggia un
matrimonio sterile, che la decisione di Banca Intesa Sanpao­lo concretizza e simboleggia la fine della nostra società.
Ma non basta. Il presidente degli Stati Uniti d’America ha approvato la nomina, avvenuta il 25 febbraio 2015, del primo inviato speciale per i diritti di lesbiche, omosessuali, bisessuali, trans (Lgbt),3 il signor Randy Berry, destinato a tutelare in tutto il mondo i diritti di coloro che non procreano. Il segretario di Stato americano, John Kerry, ha scelto in Randy Berry, come ha tenuto lui stesso a sottolineare, un omosessuale dichiarato, partendo evidentemente dalla convinzione che, perfino in un Paese che si vanta di essere il più democratico del mondo, soltanto chi è omosessuale sia in grado di comprendere e di tutelare gli interessi degli omosessuali. Si è nascosta così l’intenzione di spingere alla riduzione la popolazione mondiale e alla sua omologazione, un’intenzione che era stata accolta molto male quando era stata proposta e illustrata negli anni precedenti, a cominciare dalla Conferenza mondiale delle donne svoltasi a Pechino nel 1995. Allora erano stati soprattutto i rappresentanti della Chiesa cattolica ad opporsi a qualsiasi proposito di limitazione della popolazione, mentre oggi la Chiesa si esprime in modo diverso, o almeno ambiguo, a seconda delle diverse personalità dei Papi che ne sono a capo. Fra gli ultimi, Wojtyła, Ratzinger e Bergoglio, quello che ha negato in modo assoluto qualsiasi apertura nei confronti dei diritti delle donne nell’ambito della procreazione è stato Karol Wojtyła con la sua lettera-enciclica Mulieris Dignitatem. La sua passione per la Vergine Maria, tanto accecante da fargli affermare che le donne debbono vedere nella Madonna la propria rappresentante e l’esem­pio da imitare, ha indotto questo Papa a un totale distacco dalla realtà della vita femminile. È chiaro, infatti, che nessuna donna partorisce rimanendo vergine e che nessuna donna mette al mondo il Figlio di Dio.4

La società dei «diritti»

Il problema del sovraffollamento del pianeta è però soltanto un aspetto della decisione presa da Obama, forse l’aspetto più visibile, in quanto sono gli interessi del singolo individuo quelli che oggi predominano nella politica dei governanti, portando alla dissoluzione della società, dei legami di un popolo. La Carta dei diritti dell’uomo, elaborata dalla Massoneria francese subito dopo la Rivoluzione ed esaltata come una delle massime conquiste della civiltà europea, è di per sé uno strumento distruttivo dei gruppi, delle nazioni, degli Stati. Il fatto che sia stata abbracciata con straordinario entusiasmo dai politici d’Occidente, decisi a farla rispettare e applicarla con tutti i mezzi possibili, dovrebbe suscitare qualche sospetto nei poveri sudditi, eppure finora non è successo. Una società, infatti, non è costituita dalla somma di singoli individui e dei loro diritti, al contrario. Si tratta invece di un insieme complesso di persone che si riconoscono legate fra loro da doveri, doveri che possono superare, e se necessario superano, quelli del singolo individuo nell’interesse della collettività.
La nomina di un ambasciatore che tuteli nel mondo i diritti di coloro che non procreano non soltanto è la negazione del valore della «società» in quanto massima creazione della specie umana per vivere in gruppo, ma agli occhi di un antropologo appare come un gesto autoritario del presidente americano, tanto autoritario da aver subordinato, con un esplicito ricatto, gli aiuti umanitari promessi alla Nigeria, uno degli Stati più poveri del mondo, alla deliberazione di una legge da parte del governo di questo Paese che parifichi i diritti dei cosiddetti Lgbt a quelli degli eterosessuali. Sono imposizioni prive di qualsiasi giustificazione politica, basate sull’assunto che uno Stato possa dettare dei principi morali e che i principi morali degli Stati Uniti d’America siano gli unici giusti.
L’assolutizzazione dei «diritti»5 di coloro che non procreano, inoltre, non trova corrispondenza in nessun’altra parte del pianeta ed anzi si scontra con le norme tanto religiose quanto civili della maggior parte delle popolazioni. Di quelle cristiane, ovviamente, ma soprattutto di quelle musulmane, che sono presenti in piccoli e in grandi gruppi un po’ ovunque, da quasi tutta l’Africa all’India, dalla Russia al Medio Oriente, al Giappone, alla Cina. A chi si rivolgerà questo ambasciatore, dunque?

Il punto di vista del bambino

Se ci fermiamo un momento a riflettere, però, nulla appare oggi più coerente del fatto che la fine della civiltà occidentale si sia realizzata contemporaneamente al rivelarsi degli aspetti più orridi della storia del bambino. Dal rapimento per espiantarne gli organi o per farne insospettabili corrieri della droga6 alle migliaia di aborti ad ogni stadio della loro presenza di vita nell’utero materno;7 dalla costrizione, pedagogica e reale, a tutte le perversioni sessuali (la teoria del gender)8 fino all’insegnamento delle ideologie dell’odio, sia quelle per distruggere se stessi (un quattordicenne ha «chiesto» l’eutanasia), sia quelle per distruggere gli altri distruggendo se stessi (bambini e bambine, forniti di esplosivo alla cintura, che uccidono il nemico facendosi «saltare in aria»). Tutto questo è sotto i nostri occhi, ma sembra che nessuno se ne accorga o se ne stupisca, o tanto meno ne soffra. Se qualche voce si leva (molto debolmente) da parte della Chiesa cattolica, per richiamare i governanti d’Occidente al rispetto della libertà intellettuale e morale dei bambini, è come se non esistesse: sparisce subito nell’immenso mare dell’informazione quotidiana. E, in ogni caso, è volutamente fuori bersaglio, dato che la Chiesa e le associazioni cattoliche non accusano mai le organizzazioni internazionali, come l’Oms e l’Unione europea, che sono invece i diretti mandanti di questi ordini cui i singoli Stati obbediscono.
Il nostro intento, quindi, è quello di raccontare, lungo il percorso che faremo in questo libro, la realtà della storia del bambino, fornendo nel limite del possibile i dati dei diversi contesti geografici, temporali e culturali. Metteremo a confronto le analogie e le differenze tra i costumi e i comportamenti dei vari popoli che nei tempi passati coinvolgevano, o che ancora oggi coinvolgono per qualche motivo, la vita dei bambini e delle bambine, il significato e il «valore» religioso, sociale, economico che è stato loro attribuito e da cui è dipeso il più delle volte il loro destino. Lo faremo sforzandoci il più possibile di metterci dal punto di vista del bambino. È questa peraltro l’essenza del metodo antropologico. Come ha insegnato uno dei padri dell’antropologia, Franz Boas, prima di poter narrare in modo obiettivo una «storia», di un popolo o di un individuo, è indispensabile conoscere e capire come l’ha percepita e come l’ha vissuta il soggetto. Dobbiamo cercare di metterci «dal punto di vista dell’indigeno». Boas aveva come sua formazione scientifica quella del geografo e se n’è servito ampiamente nella prima ricerca sistematica che ha realizzato presso gli eschimesi, studiando i numerosissimi termini che essi adoperano per definire la neve, la sua consistenza, il suo colore, la sua «realtà», come ambiente e strumento indispensabile alla loro vita. Partire dalla conoscenza che gli eschimesi hanno della neve, quindi, significa per l’antropologo avere un primo ma essenziale indizio sul «punto di vista dell’indigeno».9
Come è possibile, però, iniziare dal punto di vista dell’indigeno-neonato? È ciò che mi sono chiesta e che mi sono sforzata di mettere in atto guardando all’agire degli adulti, sentendolo sul mio corpo per trasferirlo su quello del neonato, cercando di percepirlo con gli occhi, con l’istinto, con l’intuito, con la sensibilità, con l’intelligenza del bambino. Ho tentato con tutte le mie forze di ascoltare il suo pianto come linguaggio. Il neonato non ha mai potuto dire nulla, ma la sofferenza, il dolore, la paura, soprattutto l’incapacità e l’impossibilità di reagire li ha sentiti in forma acutissima, fin dall’ute­ro materno,10 come nessun adulto può sentirli.
È indispensabile però avvertire i lettori che la storia del bambino, tutto ciò che ha accompagnato, in ogni luogo e in og...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Capitolo 1. Un matrimonio sterile
  5. Capitolo 2. L’odio di natura
  6. Capitolo 3. Globalizzazione omosessuale
  7. Capitolo 4. Puerofagia
  8. Capitolo 5. Arrivano gli Dei
  9. Capitolo 6. Scompaiono?
  10. Capitolo 7. Bisogna uccidere
  11. Capitolo 8. La lunga durata
  12. Capitolo 9. Abbigliamento e tortura
  13. Capitolo 10. Lo sguardo di Gesù sui bambini
  14. Capitolo 11. Gli adulti raccontano la propria infanzia
  15. Capitolo 12. L’Abbandono e la musica
  16. Capitolo 13. Per un’antropologia della musica
  17. Capitolo 14. Galleria di musicisti rappresentati con molti capelli (dal Cinquecento al Novecento)
  18. Bibliografia
  19. Indice