1
La prima Mila era un cane. Un Bedlington Terrier. Sapere queste cose aiuta. Non sono per niente offesa dal fatto che mi abbiano dato il nome di un cane. Mi immagino la scena perfettamente. Mila, avrà detto mio padre, è un bel nome, no? Dimenticandosi dove l’aveva sentito. Poi mia madre si sarà ricordata del cane e gli avrà chiesto se ne era proprio sicuro e, non ricevendo risposta, avrà detto: Va bene, allora, Mila sia. E poi, guardando me avrà pensato: Mila, la mia Mila.
Io non ci credo, nella reincarnazione. Non è molto verosimile che io abbia ereditato l’anima del cane di mio nonno morto da un pezzo. Ma alcuni aspetti di questa vicenda mi fanno pensare. Sarà stata per pura coincidenza che Mila si è affacciata nella testa di mio padre proprio la mattina della mia nascita? Guardando la sua bambina, di un minuto, lui ha pensato a quel cane, Mila? Perché?
Ci stiamo preparando per un viaggio a New York, mio padre e io: andiamo a trovare un suo vecchio amico. Ma ieri è cambiato tutto. La moglie del suo amico ci ha telefonato per dirci che lui se n’era andato.
Andato? chiede Gil. Che diavolo intendi con “andato”?
Scomparso, risponde lei. Nessun messaggio. Niente.
Gil è confuso. Niente?
Venite lo stesso? chiede lei.
Mentre Gil rimane in silenzio per pensarci un istante, lei gli dice: Ti prego.
Certo, sì che veniamo, risponde Gil, e mette lentamente giù il telefono.
Tornerà a casa, dice Gil a Marieka. Si è solo preso un po’ di tempo per sé, per pensare. Lo sai com’è fatto.
Ma perché proprio adesso? Mia madre è perplessa. Adesso che andate voi? La scelta del momento è a dir poco… singolare.
Gil fa spallucce. Domani a quest’ora sarà tornato a casa. Ne sono sicuro.
Marieka emette un verso dubbioso ma da dove sono accucciata io non riesco a vederla in faccia. E Mila? chiede.
Ecco le poche cose che so: ci sono le vacanze di Pasqua e io non vado a scuola. Mia madre sarà in Olanda per lavoro tutta la settimana, e non posso restare a casa da sola. Mio padre ha la testa tra le nuvole, ed è meglio se non viaggia da solo, se ha qualcuno che lo aiuta a mantenersi sulla strada giusta. I biglietti sono stati comprati due mesi fa.
Ci andiamo comunque, tutti e due.
Mi piace stare con mio padre, facciamo una bella coppia io e lui.
Come la mia omonima, il cane Mila, sono molto perspicace, so sempre dove sono e che cosa sto facendo. Non mi perdo mai nei miei sogni, ho una determinazione da terrier. Se c’è qualcosa da captare, io la capto per prima.
Sono bravissima a risolvere gli enigmi.
Quando Marieka viene a dirmi che lei e Gil hanno deciso che partirò con lui, la mia valigia è quasi pronta. Sto già disponendo gli indizi nella mente, vagliando le possibilità, alla ricerca di una teoria.
Ho conosciuto l’amico di mio padre una volta, molto tempo fa, ma non me lo ricordo. Nella mia famiglia è una leggenda perché una volta ha salvato la vita di Gil. Senza Matthew non ci sarei stata io. Motivo per cui mi piacerebbe ringraziarlo, e non ne ho mai avuto l’occasione.
Sembra passato un secolo da quando siamo partiti da Londra. Ero una bambina allora.
E, tecnicamente, lo sono ancora.
2
So molto poco dell’altra Mila. Apparteneva a mio nonno, quando era un ragazzo nel Lancashire e i cani come Mila servivano a cacciare i topi, non a fare compagnia. Ho trovato una foto impolverata di Mila in un album che mio padre ha conservato dalla sua infanzia. Dentro ci sono perlopiù persone che io non conosco. Nella foto il cane è accovacciato, come se si preparasse a balzare via, di corsa. Vorrei tanto sapere chi ha scattato la foto. Forse è mio nonno, un ragazzo così orgoglioso del suo cane cacciatopi da volerlo fotografare. Oggi in molti fanno le foto ai loro cani, ma allora? Il cane fissa dritto davanti a sé. Se era il suo cane, come mai non lo stava guardando negli occhi?
Questa foto mi riempie di nostalgia, una nostalgia profonda. Saudade, direbbe Gil. È una parola portoghese. La nostalgia di qualcosa di amato e perduto, perché non c’è più o perché è irraggiungibile.
Non so spiegare la tristezza che provo guardando questa foto. Il cane Mila è morto ottant’anni fa.
Tutti chiamano mio padre Gil. L’amico d’infanzia di Gil ha lasciato la casa in cui viveva con la moglie e il loro bambino. Nessuno sa dov’è andato o perché. La moglie di Matthew ha telefonato a Gil per sapere se avevamo cambiato i nostri piani. O se lui aveva saputo qualcosa.
No, niente. Finora.
Andremo all’aeroporto in treno, è importante che non dimentichiamo i passaporti. Marieka mi dice di fare molta attenzione e mi dà un bacio. Sorride e mi chiede se sono tranquilla e io annuisco, perché so che andrà tutto bene. Guarda Gil e dice: Prenditi cura di tuo padre. Lei sa che farò del mio meglio. Non sempre la competenza si giudica dall’età.
Le porte del treno si chiudono e noi la salutiamo con la mano. Mi siedo accanto a mio padre e sento il profumo della sua giacca. Sa di libri, inchiostro, vecchio caffè rimasto in fondo alla scrivania e lana, oltre a una leggera scia dell’acqua di colonia che Marieka gli regalava tempo fa; lui non la usa più da anni. Il profumo della sua pelle mi è troppo familiare perché io riesca a descriverlo. Mi sono stupita quando ho scoperto che non tutti riescono a riconoscere le persone dal loro odore. Marieka sostiene che questo fa di me un mezzo cane, come minimo.
Ho visto come i cani annusano le persone e gli altri cani che incontrano per strada o quando tornano da qualche posto. È come se volessero comporre un ritratto in base agli indizi che hanno: dove sei stato? C’erano gatti? Hai mangiato carne? Dunque, vediamo. Camino. Fango. Limoni.
Se io fossi un cane e sentissi l’odore di libri, caffè e inchiostro su una modesta giacca di lana, non sono sicura che penserei: Quest’uomo traduce libri. Però è proprio questo che fa Gil.
Mi sono sempre chiesta come mai gli uomini abbiano prodotto così tante lingue diverse. Complica le cose. Le rende interessanti, dice Gil.
Oggi stiamo andando in America, e lì non ci servirà una lingua diversa. Gil mi arruffa i capelli ma non fa davvero caso al fatto che io sono lì, seduta accanto a lui. È immerso in un libro tradotto da un suo collega. Ogni tanto annuisce.
Mia madre suona il violino in un’orchestra. Zing, zing, zing, dice, quando le tocca esercitarsi, e chiude la porta. Domani partirà per l’Olanda.
Stringo gli occhi e fisso un punto lontano. Sono scaltra, veloce e fedele. Sarei stata un ottimo cacciatore di topi.
Saudade. Chissà se Gil la sta provando adesso per il suo amico scomparso. Se è così, non lo lascia trapelare.
3
Marieka è svedese. La mamma di Gil era franco-portoghese. Mi ci vorrebbe un grafico per tenere traccia di tutte le nazionalità della mia famiglia, ma non importa. Gli incroci generano gente in gamba e sana, che non soffre di displasia congenita dell’anca o di demenza senile prematura.
I miei genitori avevano più di quarant’anni quando mi hanno avuto, ma io non li vedo vecchi, non più di quanto loro mi vedano giovane. Siamo noi e basta.
Il fatto che l’amico di Gil se ne sia andato di casa proprio quando noi stavamo andando a trovarlo è difficile da comprendere. La polizia non crede che sia stato ucciso o rapito. Riesco a figurarmi Gil che vaga fuori di casa e per un po’ si dimentica di tornare, ma il legame che ha con me e con Marieka lo riporterebbe da noi. Forse i legami di Matthew sono meno stretti.
Nonostante siano migliori amici, Gil e Matthew non si vedono da otto anni. Il che rende piuttosto bizzarra la tempistica della sua sparizione. Come minimo scortese.
Non vedo l’ora di incontrare sua moglie e di cominciare a capire che cos’è successo. Forse è per questo che Gil ha deciso di portarmi con sé. L’ho già detto che sono brava a risolvere i misteri?
Non c’è bisogno di un ulteriore controllo dei passaporti; sono chiusi nella tasca interna della mia borsa, al sicuro, pronti per essere mostrati al check-in. Gil ha messo giù il libro e sta fissando qualcosa che ha dentro la testa.
Secondo te Matthew dov’è andato? gli chiedo.
Ci mette qualche secondo a rispondermi. Sospira e mi appoggia una mano sul ginocchio. Non lo so, tesoro.
Secondo te lo ritroveremo?
Pensieroso, mi dice: Matthew era un vagabondo, anche da piccolo.
Aspetto di sentire che cos’altro dirà del suo amico, ma non aggiunge niente. Sta ancora parlando dentro la sua testa. Intere frasi gli scorrono davanti agli occhi. Io non riesco a leggerle.
Che cosa? gli chiedo.
Che cosa cosa? Ma sorride.
Che cosa stai pensando?
Niente di importante. Penso alla mia infanzia. Conoscevo Matthew come me stesso. Se penso a lui, lo vedo sempre come un ragazzo, nonostante ormai sia vecchiotto.
Ha la tua stessa età, dico, un po’ offesa.
Sì. Ride, e mi stringe a sé.
Questa è la storia del passato di Gil: lui e Matthew hanno ventidue anni, arrivano in Francia in autostop, nel rimorchio di un camion, praticamente senza soldi. Dalla Francia vanno in Svizzera, per scalare il Lauteraarhorn. Dei due, Matthew è il vero scalatore. Va tutto secondo i programmi finché, il secondo giorno, la temperatura comincia ad alzarsi. Clima da valanghe. Guardano la neve e il ghiaccio cadere fragorosamente intorno a loro. Verso sera scende la foschia, che avvolge le montagne come un manto. Cercano un riparo, sperando che il tempo migliori. Intorno a mezzanotte si alza il vento e la pioggia diventa neve.
Ho cercato di immaginarmi questa scena centinaia di volte. Il primo problema, l’assideramento; il secondo, l’altitudine. Nel cuore della notte, nel buio, nel freddo, nel vento e nella neve, Matthew nota i primi segni di malessere nell’amico e insiste perché scendano. Gil si rifiuta. Il tempo passa. Con la testa che gli scoppia, stordito, irragionevole, Gil urla e spinge via Matthew. Quando alla fine crolla, stremato dallo sforzo e da quell’aria leggerissima, vuole solo sedersi e dormire nella neve. Morire.
Nelle successive undici ore, Matthew gli parla, lo persuade, lo trascina, lo porta giù dalla montagna. Continua a ripetere a Gil che non deve stendersi sulla neve. Che deve andare avanti, a tutti i costi.
Arrivano giù sani e salvi, Gil giura che non scalerà mai più.
E Matthew?
Per lui era un grande amore, dice Gil.
Ti ha salvato la vita.
Gil annuisce.
Ci zittiamo e io penso: Eppure.
Eppure. Se non fosse stato per Matthew non ci sarebbe stato bisogno di salvare la vita di Gil.
Chi ama il rischio e chi è messo a rischio.
Quando penso alla piega che sta prendendo questo nostro viaggio, mi chiedo se non ci sia un progetto di compensazione cosmica a cui siamo stati richiamati, ...