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«Sposata? In che senso, ti sei sposata?!»
Un annuncio del genere va dato nel giorno giusto: 14 febbraio, San Valentino. Naturalmente era necessario che ci fossimo tutte e tre: Marianna, Giulia e io, le amiche di sempre. Meglio se con dei bicchieri in mano, rilassate e piene di bollicine accanto al caminetto in un bar speakeasy, un luogo in puro stile proibizionista dove si entra con la parola d’ordine attraverso un’insospettabile porticina su Campo de’ Fiori. A quest’ora non è ancora affollato e ha una caratteristica che mi conquista sempre: le sedie di Van Gogh. Sì, proprio loro, quelle impagliate e con la struttura di legno colorato, che ogni volta mi riportano indietro all’emozione provata quando ho visto per la prima volta il famoso quadro con la sedia, a Londra. Queste non hanno il buco nella paglia, però.
«Cioè, vai via per un weekend e torni sposata? Ti sembra una cosa normale?» Marianna strabuzza gli occhi come solo lei sa fare. È la più scossa dalla novità e d’altra parte è ovvio, è l’unica di noi che l’esperienza del matrimonio l’ha già fatta, e non è stata certo positiva. Anche se il suo animo romantico di Toro regina della casa in realtà brama una seconda opportunità. Il Toro è un’istituzione e ogni anno non vede l’ora di tornare a cantare Bianco Natale tutti attorno a un caminetto.
«A volte nella vita bisogna avere coraggio» se ne esce Giulia, la Sagittario che ci crede sempre, anche oltre ogni ragionevolezza. «Non la sentite, la primavera che arriva?» Annusa platealmente l’aria e Marianna fa una smorfia disgustata.
«Io sento i guai che arrivano» commenta. Un po’ troppo negativa, però. Vedo il viso da folletto di Giulia rabbuiarsi e le metto una mano sul braccio.
«Dài, Mari, non fare così, certo è una sorpresa ma...» mi volto verso Giulia. «Ma tu raccontaci per bene questa storia. Non è che puoi buttare sul tavolo una notizia del genere come se niente fosse!»
La semplice fede d’oro che le brilla al dito attira il mio sguardo con una forza quasi ipnotica. Provo un istante, solo un istante di lancinante dolore, anche se sono contenta di vederla così radiosa e soprattutto mai e poi mai farei quello che ha fatto lei. Assieme a Paul, il suo eterno fidanzato irlandese che dopo decenni di tira e molla sembra aver scelto una volta per tutte di vivere a Roma e di vivere con Giulia, sabato scorso ha preso un aereo per Las Vegas. E in una settimana di follie, tra una mano di black jack e uno spettacolo di burlesque («aggiornamento professionale» ha detto Giulia, lei stessa performer), hanno pensato bene di prenotare una qualche cappella dell’amore e farsi sposare da un tizio vestito da Buffalo Bill.
«Ma non dovrebbe essere Elvis?» chiedo.
«E che ne so... A me ha fatto piacere che celebrasse Buffalo Bill, mi veniva in mente quella canzone di De Gregori» ride Giulia.
Intono la canzone, in pieno trip da chitarra attorno al fuoco. Il gruppo al tavolo di fianco si gira all’unanimità dalla nostra parte. Quattro uomini in giacca e cravatta che a giudicare dall’abbigliamento e dall’ora devono essere un gruppo di colleghi appena usciti da qualche ufficio. Sorridono, chiaramente pensano che siamo già ubriache alle sei del pomeriggio e l’idea è di loro gradimento. Uno di loro, il più carino, incrocia il mio sguardo e alza il bicchiere di vino rosso nella mia direzione in un gesto a metà tra il brindisi e l’omaggio alla mia voce intonata. Ricambio, con un tuffo al cuore: ha i capelli biondi, un po’ spettinati, come Massimo. Ma nessuna fossetta nel sorriso. La mia allegria si appanna un po’ mentre Marianna riprende a rimproverare Giulia, senza asprezza però.
«Qualunque drink servano a Las Vegas» dice, «il cervello devi essertelo bevuto.»
«E soprattutto ci hai private di una bella cerimonia e di un’occasione per indossare abbacinanti cappelli» intervengo prima che parta con la sua morale. «Adesso chi glielo dice a Lulù?»
Lulù ha un magico negozio in cui si trovano delizie vintage e creazioni di brillanti designer ancora sconosciuti – che non lo rimangono mai a lungo – ed è la stilista ufficiale del gruppo. Sono sicura che pretenderà una cerimonia riparatrice, rigorosamente romana, per poter vestire lei la sposa e le sue damigelle.
«Lo so, lo so» Giulia alza le braccia in segno di resa e l’anello scintilla di nuovo sotto la luce dei lampadari provenzali in ferro battuto. «Ma non è stato solo un colpo di testa, sapete. C’era un motivo più importante per sposarsi così di fretta» aggiunge, serissima.
Ci guarda con un’espressione intensa che mi fa balzare il cuore in gola. È malata, penso. Adesso ci dice che le restano pochi mesi di vita. Mi sembra incredibile che mi venga in mente questa idea mentre il fuoco scoppietta nel camino e le luci fanno brillare i bicchieri, ma d’altra parte è così che succedono le cose, no? Mica te le aspetti mai. Mi assale la certezza che si tratti esattamente di questo, e in effetti come ho fatto a non notare che Giulia è un po’ pallida, nonostante la felicità che le illumina il viso? Chissà da quanto lo sa... Sono già smarrita nel mio film drammatico alla Fiori d’acciaio e il successivo annuncio di Giulia mi passa sopra come una folata di vento, lasciando solo la vaga sensazione di essermi persa qualcosa. Poi vedo Marianna che boccheggia, per la seconda volta in mezz’ora.
«Scusa, cos’hai detto?» chiedo a Giulia con tono partecipe, adatto a una tragedia.
«Paul e io vogliamo adottare un bambino» annuncia lei raggiante mentre noi la guardiamo con gli occhi spalancati.
Premo il pulsante di chiamata dell’ascensore e mi appoggio per un momento alla porta, invasa da una stanchezza che somiglia allo sconforto. Essere un segno d’acqua è una maledizione, assorbo le emozioni come una spugna e ne esco il più delle volte consumata. Un giorno l’entusiasmo ti travolge, poi cade una foglia e di colpo il vaso di Pandora ti si rovescia addosso e torni a sentirti nella fossa. “Lo Scorpione parte a razzo e finisce a cazzo” potrebbe essere l’epitaffio per la mia tomba.
Gli occhi pieni di stelle di Giulia mi sono entrati dentro assieme allo champagne che lei ha ordinato per festeggiare le strabilianti notizie. E assieme alla consapevolezza che la vita a volte galoppa avanti con degli scatti, e altre volte ti lascia indietro a mordere la polvere... Solo un paio di settimane fa mi sentivo sull’orlo di qualcosa di bello, forse, di importante, forse, e adesso? Ho fatto bene o male a prendere quell’aereo per la Sardegna? Quel che è certo è che da allora sono perseguitata da sogni erotici da cui non vorrei mai svegliarmi. Ma ogni mattina mi sveglio, in una vita da cui sembra sia svanita ogni traccia di Massimo La Notte.
Dopo il pranzo al vapore con Ludovica Ricci Barberini, non l’ho più rivisto. Ha provato a cercarmi ma mi sono sempre negata. Alla quarta proposta di uscita serale che rifiutavo adducendo impegni precedenti la risposta è stata un freddo: «Va bene, non è un problema». Il tono era quello di uno che ha capito l’antifona, sempre che ci fosse un’antifona da capire (e poi, che cosa diavolo è un’antifona?). Ormai di sicuro e probabilmente mi ha sostituita con qualcun’altra. Non lo sento da una settimana e mi sembra un anno.
Ed è la sera di San Valentino, il Sole è in Acquario, Venere è in Scorpione, anche se «Style Bazaar» mi correggerebbe: in Capricorno! Ma è il mio destino ad avere costantemente Venere in Scorpione, il cuore in orbita attorno al pianeta dell’amore tormentato. Sono sono un po’ brilla e allegra per le chiacchiere con le amiche e mi piacerebbe avere qualcuno con cui proseguire la nottata. Ma Giulia aveva in programma, inutile dirlo, una cena romantica con suo marito – com’è strano associare questa parola alla mia scapestrata amica! – mentre per Marianna è tradizionalmente una delle serate più occupate dell’anno: il capiente Kangoo giallo del suo catering a domicilio recapiterà, a non meno di dieci indirizzi diversi, manicaretti da gustare a lume di candela.
E Francesca starà in casa a consolarsi con un bagno caldo all’essenza di lavanda e un grande classico da San Valentino. Magari Breve incontro, per restare in tema.
Le porte dell’ascensore si aprono e la prima cosa che vedo è un’enorme palla verde proprio davanti alla porta di casa mia.
2
Un cactus. Mi ha mandato un cactus.
Perlomeno non ne ha scelto uno di forma fallica: è tondo, con dei bellissimi fiori gialli e arancione che sembrano fatti di cartapesta e attaccati con una goccia di colla a questa palla spinosa. Siamo una di fronte all’altro, io sul divano e lui per terra nel suo vaso, e ho l’impressione che mi osservi con una certa spavalderia. Cerco di ricambiare guardandolo male, ma il problema è che la sua forma tondeggiante mi mette allegria. Non riesco a evitare di sorridere, anche mentre leggo il biglietto che lo accompagna: “Solo chi ha davvero sete può entrarci nel cuore. Chi ha paura delle spine non ci arriverà mai. A presto, Massimo. P.S.: Cactus, simbolo di perseveranza. Anche volendo, è molto difficile che tu riesca a ucciderlo”.
Come sempre Massimo La Notte riesce a farmi passare, se non dalla parte del torto, quantomeno da quella dell’incertezza, e soprattutto a buttare la palla nel mio campo. Letteralmente, la palla, in questo caso. Ora cosa faccio? Non dare segni di vita sarebbe da vera cafona, oltre che da vigliacca. Gli mando una mail? Un freddo biglietto?
Francesca, non hai più quattordici anni: fai la persona adulta e chiamalo. Trovo il suo numero in rubrica e clicco con forza sufficiente a fare un buco nello schermo. Suona un paio di volte e poi la comunicazione è interrotta. Che fa, mi riattacca? Sto per lanciare il telefono dalla finestra quando mi arriva il suo messaggio: “Riunione di redazione, ti richiamo, un bacio”.
Ma certo, «Style Bazaar» esce di martedì, starà chiudendo il numero. O magari invece stanno preparando quello del prossimo giugno, o che ne so. Il fatto che nonostante la comunicazione affrettata si sia preso cinque secondi per aggiungere il bacio finale accende una scintilla di gioia, la sento appiccare il suo piccolo incendio nel mio plesso solare, aggredendo il nocciolo di gelo che mi si è insediato nel cuore in questi ultimi giorni. Se non fosse per quelle spine proibitive, abbraccerei il cactus.
Il suono del campanello mi distoglie dal mio stato contemplativo: chi può essere alle otto e mezzo della sera di San Valentino?
Attraverso lo spioncino vedo una ragazza con i capelli biondo platino, avvolta in un cappotto animalier lungo fino ai piedi. Anche il viso minuto e triangolare ricorda una giraffa, a ben vedere, seppure graziosa. Sarà la solita attivista di Greenpeace porta a porta? Non ho mai cuore di lasciar bussare invano questa gente, cerco sempre di congedarli in fretta ma con una parola gentile. A parte il momento del mese in cui mi trasformo in una belva assetata di sangue: purtroppo se mi beccano in quei tre giorni ormonali nessuno può salvarli. Per fortuna di Lady Giraffa, stasera sono in pace con il mondo e in più il suo intervento mi ha salvata dalla tentazione del petting con un cactus.
«Mi spiace, io...» comincio già mentre apro.
«Buon San Valentino!» trilla lei, e spalanca il cappotto.
Sotto indossa un completo in pizzo e pelle nera – corsetto con reggicalze e tanga – di quelli che quando li vedi nelle vetrine con le amiche ti fermi e ridi, anche se con un segreto desiderio di avere tanto coraggio da indossarne uno, almeno una volta nella vita. Lei l’ha avuto, e se ne sta rapidamente pentendo.
Non so chi di noi due abbia l’espressione più sorpresa, quello che è certo è che lei si sta colorando di viola melanzana.
«Ehm... Sbagliato porta?» chiedo mentre mi colpisce l’illuminazione. «Cercavi Lorenzo, vero?»
«Non abita qui?» chiede. Ha una voce tintinnante, tra i capelli e l’aria svampita mi ricorda un sacco Marilyn Monroe. Versione un po’ giraffa, ma con lo stesso candore sexy.
«Abita di fronte» scuoto la testa. Il mio vicino di casa Acquario dall’intensa vita mondana va e viene a qualunque ora, ma non lo avevo mai visto accompagnato. A giudicare dall’abbigliamento, questa potrebbe essere una delle sue molte “trombamiche” – tra cui si annovera la sottoscritta... A meno che non sia qualcosa di più serio? Dopotutto è la sera di San Valentino.
«Hai un appuntamento?» mi sento chiedere, in modalità “segretaria del dentista”. So che è ridicolo, però al pensiero che Lorenzo sia fuori, o dentro, ma con un’altra, mi sanguina il cuore per questa creatura.
«Sì, in realtà tra più di un’ora, per cena...» risponde con l’espressione un po’ mortificata di chi tra poco si chiederà perché si trova sul pianerottolo, in mutande, a dare spiegazioni alla vicina del suo ragazzo. «Ho pensato di fargli una sorpresa prima che uscisse.»
Rifletto rapidamente. Magari Lorenzo si sta solo facendo la doccia e si sta solo preparando per la serata. Magari. Ma se invece di andare a prenderla le ha dato appuntamento direttamente al ristorante forse era per tenersi libero il preserale... Con un gesto fulmineo afferro il polso di Marilyn e la tiro in casa.
«Vieni dentro, a startene lì così ti prendi una polmonite» dico. In casa mia, tra il riscaldamento centralizzato e i termosifoni di ghisa, c’è la stessa temperatura che ti avvolge tra le fiamme dell’inferno, potrebbe starsene anche nuda. Non che sia vestita. «Lorenzo... ehm, mi aveva chiesto di passare da lui a quest’ora per dargli un... un pacchetto che hanno consegnato mentre era fuori. Magari controllo se è in casa, eh? Aspettami qui.»
Suono due volte. Tre. Nessuna risposta. Che sia fuori? Magari intendeva andare a cena senza passare da casa a cambiarsi... Al quarto scampanellio, però, sento i suoi passi e la voce irritata: «Ma che diavolo c’è?».
Mi apre con i capelli bagnati e un asciugamano intorno ai fianchi, l’abbigliamento ideale per il suo fisico perfetto, liscio, muscoloso, da giovane fauno.
«Francesca!» I suoi occhi piccoli e vivaci, dal taglio un po’ orientale, mi fissano come se fossi un miraggio. Non del tutto gradito, però. «C’è... qualche problema?»
Mi blocco. In fondo chi sono io per intromettermi negli affari sentimentali di Lorenzo, vicino social ed ecosostenibile a cui mi legano a stento un paio di serate soddisfacenti ma senza strascichi?
«Lorenzo» chiedo alla fine, «sei solo in casa?»
Esita un istante soltanto e con quei lampi di intuizione che mi colgono di tanto in tanto – ma mai in tempo per sal...