CAPITOLO TRE
«Arrivederci signorina Cowley.»
Morgaine prese la mano che l’assistente di volo le porgeva. «Arrivederci» rispose, e uscì dalla carlinga del piccolo Challanger di famiglia.
Il vento salato di Islay le fece svolazzare i capelli mentre trasportava i perenni cirri paffuti nel cielo blu di maggio. Due aerei erano parcheggiati poco distanti, la scaletta ancora appoggiata al portellone e gli ultimi passeggeri che stavano defluendo da quello più lontano. Lo sferragliare dei carrelli che trasportavano i bagagli si univa al rombo di un bimotore che rollava sulla pista, pronto a decollare; un altro piccolo aereo era in procinto di fermarsi alla fine dell’area di parcheggio.
Un traffico molto insolito per il piccolo aeroporto di Glenegedale, ma Morgaine non ne era così sorpresa. In quell’ultima settimana di maggio si svolgeva l’annuale Festival del malto e della musica e tutto ciò che era affittabile per dormire era prenotato già da mesi. I turisti da tutta Europa confluivano sull’isola per rendere omaggio ai whisky scozzesi fra i più famosi al mondo e ballare al suono di arpe celtiche e bodhrán.
Avevano fatto un viaggio tranquillo. Erano decollati da Gatwick in una bella mattina di sole che per fortuna li aveva seguiti fin lì, accogliendoli al loro sbarco dopo quelle due ore di volo.
Morgaine si sfregò le braccia. Persino la pelle le pizzicava per tutta l’adrenalina che le scorreva in corpo. Sfidare il padre non era proprio nelle sue corde, ma cosa doveva fare? Chinare ancora la testa? Lasciare che anche quella parte della sua vita fosse sottratta al suo controllo? Ovviamente no, visto che era lì con quel pezzo d’uomo a dire a se stessa che tutto sarebbe andato per il meglio, anche se lui non sembrava certo intenzionato a renderle la vita facile.
«Sono riuscito a liberarmi» le aveva detto il martedì sera. «Ma devo porle alcune condizioni prima di accettare.»
«Cioè?» Lei si era subito allarmata.
«Non sarò il suo lacchè. Se dobbiamo fingere di essere amanti mi comporterò come tale. Voglio voce in capitolo su tutto» aveva precisato.
«Sta scherzando? Chi è che paga qui? Sa quanti ne trovo come lei?»
«Ne dubito.» Di sicuro Lucas non peccava di scarsa autostima. «Comunque può sempre provarci» l’aveva sfidata.
Lui sapeva quanto fosse difficile, soprattutto trovare qualcuno raccomandato e in così poco tempo.
A Cindy aveva raccontato un sacco di balle sulla necessità di avere un uomo al fianco alla festa di suo padre, ma si fidava del suo giudizio, e lei aveva parlato molto bene del signor Roderick.
Cos’altro poteva fare? Morgaine aveva accettato con un po’ di mugugni e poi si erano accordati sui particolari.
Lui lavorava in una ditta che si occupava di sicurezza e si erano conosciuti a una festa dove le era stato alle costole tutta la sera come guardia del corpo. C’era un fondo di verità in tutta quella storia. Un amico di Lucas, un «collega», aveva una società di quel genere e ogni tanto gli chiedeva una mano.
Poi le aveva sparato la cifra. Non si vendeva certo facile quel presuntuoso. Per lo meno le aveva chiesto solo la metà in anticipo, il resto al rientro.
Era stata sulle spine tutto il tempo, ma quando si era presentato al gate, bello come quel sole di maggio, un po’ delle sue riserve erano svanite. C’era un limite per il cuore di una donna oltre il quale un uomo bello diventava doloroso? Be’, Lucas c’era davvero molto vicino.
Indossava dei jeans sbiaditi, infilati dentro un paio di stivaletti marroni a punta ricamati ai lati e due tacchi svasati a cui mancavano solo gli speroni. Sopra portava una camicia color carta da zucchero infilata dentro la cintura in cuoio lavorato, aperta fino a metà su una maglia aderente a nido d’ape che gli fasciava il torace muscoloso. Non era largo come certi modelli da copertine di romanzi rosa, ma si capiva che tutto ciò che Madre Natura gli aveva dato lo curava e conservava con attenzione.
I capelli castani striati di biondo erano legati in una coda lenta, un piccolo diamantino brillava sul lobo sinistro e, per completare il quadro, un paio di Ray Ban vintage dalla montatura dorata. Poteva già sentire suo padre digrignare i denti.
Il suo arrivo alla zona dei jet privati aveva fatto voltare più di una testa femminile. Camminava con quell’aria spavalda e sicura che sarebbe bastata da sola per farlo notare. Se poi aggiungevi quel fisico di tutto rispetto, i capelli lunghi accesi dai riflessi del sole, diventava la realizzazione del sogno di un bel numero di donne. Testa alta, porta-abiti su una spalla e borsone di cuoio nell’altra mano, pronto a conquistare il mondo con la sua arroganza.
Sull’aereo non avevano parlato molto. Lei aveva tentato di concentrarsi sull’ultimo romanzo giallo che aveva comprato, ma lo sguardo finiva sempre per caderle su quelle gambe muscolose allungate sopra il poggiapiedi o su quelle spalle atletiche che riempivano così bene la camicia.
Lui era rimasto a sfogliare una rivista di moto dove facevano bella mostra esemplari modificati e personalizzati nei modi più incredibili.
«Ti piace quel tipo di moto?» Non era riuscita a frenarsi. «Avevo sempre associato quegli oggetti a uomini pieni di pelle e borchie.»
«Uno dei miei sogni, uno dei tanti» le aveva risposto con un sorriso a trentadue denti, e la conversazione era finita lì anche perché lei non aveva avuto il coraggio di aggiungere niente.
Morgaine appoggiò il piede sull’asfalto mentre alle sue spalle giungeva il rumore metallico degli stivaletti che colpivano il primo gradino.
«Grazie mille, Andrew» gli sentì dire. «Ottimo volo. Ringrazi i piloti da parte mia.»
Che tipo! In quel poco tempo si era persino preoccupato di sapere il nome dell’assistente di volo. Lei non se lo ricordava neppure.
«Buongiorno, signorina Cowley.» Angus, il loro autista, nella sua divisa scura ben abbottonata, la accolse al bordo della pista, aprendo la portiera posteriore della macchina. «Fatto buon viaggio?»
«Ottimo.»
Mentre saliva sentì Lucas fischiare alle sue spalle. «Un Range da 500 cavalli. Cavoli! Questo sì che è un ferro di tutto rispetto.»
Lei si girò a guardarlo in tempo per vederlo tendere la mano all’autista.
«Buongiorno, sono Lucas Roderick.»
Angus gliela strinse con una certa riluttanza. «Buongiorno, signor Roderick. Sono Angus, il vostro autista.»
Lucas salì al suo fianco.
«Non c’è bisogno di essere socievoli con tutti» non riuscì a trattenersi Morgaine.
Lui si girò a guardarla ma le lenti verdi dei Ray Ban nascosero la sua espressione. Probabilmente non le sarebbe piaciuto quello che avrebbe visto.
«Cristo.» Imprecò lui a denti stretti. «Scommetto che non sai neanche i loro nomi.»
«Angus lavora con noi da anni.» Morgaine drizzò la schiena come se vi avessero infilato un righello.
«Appunto.» Lui scosse la testa, poi si girò in avanti e borbottò qualcosa che finiva in «…osa del cavolo.»
Morgaine preferì non indagare. Strinse le labbra e incrociò le braccia sul petto per guardare fuori dal finestrino. Come si permetteva quel gallese ancora sporco di polvere di carbone di giudicarla? In quel momento la sua idea non le sembrò più così luminosa.
La macchina si avviò senza uno scossone e uscì dall’aeroporto girando a sinistra sulla A846, la strada costiera che li avrebbe portati diretti fino a Cowley House, ribattezzata così da suo padre dopo la sentenza che aveva cambiato completamente la sua vita.
Donald Cowley aveva sempre amato quell’isola e lo scoprire di dover abbandonare per sempre la sua carriera di pianista gli aveva fatto prendere la decisione di comprare quell’immensa villa bianca davanti al Loch Indaal. Un rifugio, lontano da tutto e da tutti, per sfogare la propria rabbia… e rendere la vita di sua figlia un inferno.
Il paesaggio piatto del tratto di costa si snodava davanti a loro di fianco al mare calmo, increspato solo da piccoli sbuffi di schiuma che brillavano come strisce di stelle filanti argentate.
Morgaine abbassò un po’ il finestrino per annusare il forte odore di salsedine e di alghe cotte al sole, l’odore della sua infanzia, l’odore dei ricordi… una valanga di ricordi. Non sempre belli, anzi, quasi mai. I lunghissimi silenzi e le urla, le nottate al buio a stomaco vuoto e quella ignobile bacchetta di rattan sempre pronta ad alzarsi a ogni suo errore. Solo quelli legati a Missy, il suo cane, e i loro giochi sulla baia e nel bosco attorno a casa.
Adesso anche lei se n’era andata, come tante cose nella sua vita, ma almeno le aveva lasciato un ricordo indelebile che la aspettava alla villa.
Dopo qualche minuto arrivarono al cartello di Bowmore, la capitale amministrativa dell’isola.
Morgaine si sentì in dovere di fare un po’ da cicerone.
«Quella lì è la chiesa rotonda, costruita nella seconda metà del Settecento da un Campbell, la famiglia scozzese che governava sull’isola. La forma serviva, si dice, per evitare che il diavolo potesse nascondersi negli angoli.»
La macchina ci girò intorno e svoltarono a sinistra verso il mare. Lucas sembrava essersi rianimato e si guardava intorno.
«C’è un porto?» le chiese indicandole il mare in fondo a Main Street.
«Una cosa minuscola, buona solo per piccole imbarcazioni» gli rispose. «I traghetti attraccano a Port Ellen a sud o a Port Askaig a nord est da qui, sulla costa di fronte a Jura.»
Dopo pochissimo la macchina rallentò per poter girare sulla strada costiera.
«Lì a sinistra producono il Bowmore, uno degli whisky isolani più famosi.» Morgaine gli indicò una costruzione bianca con il marchio sulla facciata.
«Non l’ho mai assaggiato.» Lucas si sporse verso di lei per guardare meglio. Odorava di fresco con solo un leggero sentore di dopobarba che faceva venire voglia di strofinarci il naso. «Ho assaggiato il Laprohaig e il Lagavulin, ma questo mi manca» aggiunse. Poi ammiccò. «Vorrà dire che verremo a provarlo.»
Il tono seducente le mandò uno sfarfallio allo stomaco. «Non so…»
Lui tornò di colpo dal suo lato. «Fa parte degli accordi» scandì.
«Sono io quella che paga.» Ma con chi credeva di parlare?
«Posso sempre fare l’autostop e tornare all’aeroporto. Con il traffico che c’è un volo di rientro lo trovo di sicuro» rispose lui.
Morgaine ingoiò il fastidio. «Se la metti così… lo faremo rientrare negli… accordi.» E incrociò le braccia voltando il viso verso il panorama.
«Bene!» rispose Lucas, marcando la parola.
La macchina proseguì il suo viaggio verso est e poco dopo si lasciarono alle spalle Bowmore e il paesaggio piatto del primo tratto di strada, sostituito da pascoli e boschetti di alberi ad alto fusto.
La strada faceva una curva a destra e, in fondo alla baia che stavano costeggiando, si vedeva una lunga costruzione bianca.
«Quella è la villa.» Morgaine non poté evitare una nota di eccitazione, era l’unica casa che conosceva.
La curiosità vinse sull’irritazione e Lucas si sporse di nuovo verso di lei dandole un altro assaggio del suo profumo. Per un attimo Morgaine chiuse gli occhi. E se un uomo come lui fosse stato davvero suo? Forse avrebbero battibeccato tutto il tempo, ma le sarebbe bastato infilare le dita in quei capelli per dimenticarsi anche il suo nome. Povera illusa! Uomini così potevano volere solo i suoi soldi, come tutti gli altri. Almeno per Lucas sapeva esattamente quanti.
I prati a pascolo e i cespugli fioriti si susseguirono per alcune miglia fino a che non entrarono a Bridgeland.
«Questa è tutta la civiltà che c’è vicino a casa» gli disse, indicandogli l’hotel a destra e la piazzetta sulla sinistra dove c’era un piccolo supermercato.
«L’ideale per stare tranquilli» rispose lui con un sorrisetto.
Poco più avanti svoltarono a sinistra nella strada che portava a Cowley House.
Morgaine indicò una s...