CAPITOLO CINQUE
Eccola, bella come una dea. Fa scorrere i suoi occhi sul listino e poi, con un movimento distratto, li riporta su di me. Li muove impercettibilmente e li fissa sulle mie labbra. Vi passo sopra la lingua d’istinto, come potessi gustare una parte di lei o catturare il suo sapore, mentre le sue pupille si dilatano. La sua voce ha un tono quasi incerto.
«Qualcosa di speciale.»
Inspiro e torno professionale.
«Ti consiglio le nostre monoporzioni. Sono tutte creazioni uniche, frutto della fantasia di mia sorella.»
Kristal chiude il listino e me lo porge, sfiorandomi la mano.
«Mi fido di te, Matt.»
Uno strano calore mi si propaga nel corpo. Mi entra sottopelle, mi penetra nelle ossa e diventa parte di me, della mia essenza. Non è un qualcosa cui ci si può opporre, è più forte di me e mi trova già arreso. È lei che mi fa quest’effetto. Tremo e mi sento più eccitato da questa cosa che dal sesso con Barbara. Mi congedo prima che si accorga che tutto questo calore ha trovato concentrazione in un punto ben preciso del mio corpo.
«Non te ne pentirai.»
Torno al banco ma non trovo nulla che la rappresenti. Nulla di ciò che è stato impersonalmente preparato per altri può essere abbastanza per lei. Devo comunque essere cauto. Le circostanze me lo impongono e, nel mio caso, hanno la forma di quel cerchietto dorato che Kristal porta all’anulare.
Prendo un bicchiere stretto e alto e, dopo aver messo la crema del miglior caffè sul fondo, vi faccio colare la mousse, guarnisco con riccioli di panna montata, una chiave di violino al cioccolato fondente e decoro il bordo con una striscia di zucchero di canna. La dolcezza dell’apparenza cela una parte corposa, il cui sapore rimane in bocca a lungo: così è lei, e io vorrei veramente scoprirla, avere la possibilità di conoscerla a fondo, toccarla e sentirla su di me.
Frena, Matt! Imbriglio i miei pensieri e la mia immaginazione e la servo. Mi chino volutamente un po’ più del lecito per poter sentire il suo profumo e percepire il suo calore, ma lei si irrigidisce. Mi ritraggo con delicatezza.
«Questo è qualcosa di speciale… come te.»
Sorride e le sue guance prendono colore: è adorabile, in questo momento. Vorrei prolungare il nostro momento, dirle qualcosa di divertente o di particolarmente affascinante, perché amo il suo sorriso, ma vengo distolto dallo squillo del mio cellulare. Mi scuso frettolosamente e, spostandomi nel retro, rispondo, forse con troppa enfasi.
«Ward, sono Lucas. Ho interrotto qualcosa?»
«No, scusami. Sono al lavoro e ci ho messo un po’ a recuperare il cellulare.»
«Ho visto la tua chiamata ora. Prima ero in riunione, ma se sei occupato ti chiamo più tardi.»
«Non ti preoccupare, ho dei collaboratori che mi possono benissimo sostituire per qualche minuto.»
«Che fai stasera?»
«Non ho programmi precisi.»
«Cena a casa mia? Niente di troppo formale. Solo un’occasione per parlare dei vecchi tempi e, perché no, di un possibile futuro di collaborazione.»
«Collaborazione?»
«Sì, ho un’idea. Voglio farti una proposta. Allora, ti aspetto?»
«Certo.»
«Ti mando un messaggio con l’indirizzo. Ci vediamo alle otto.»
«A stasera.»
Lucas è sempre stato così: determinato, sicuro, fisso sull’obiettivo senza fronzoli. Ha le stesse caratteristiche di un pescecane guidato dal fiuto del cacciatore. Io, al contrario, sono ancora alla ricerca di una sfumatura che mi definisca. Preso da queste considerazioni, torno in sala, ma trovo il suo posto vuoto. Avrei voluto salutarla e chiederle quando ci saremmo rivisti invece che affidarmi al destino ancora una volta. Una gomitata di Maya mi fa trasalire.
«Che c’è?»
«Matt, che devo fare con te? È appena uscita la ragazza che lavora nel negozio di fronte. Ti ha mangiato con gli occhi e ha tentato di attirare la tua attenzione in ogni modo.»
«Se non me ne sono accorto, ci sarà un perché.»
«Sì, o sei cieco o sei scemo. L’hai guardata bene? È uno schianto!»
«Maya! Perché non sei nata maschio? Sarebbe stato tutto più semplice!»
«Mi avresti raccontato tutto? Con chi sei stato ieri? È per quella che non vedi nessun’altra?»
«Ma quella chi? Non dire stupidaggini.»
«Puoi imbambolare la mamma, bello, non me. Esci anche stasera?»
«Sì, ma non con quella di ieri sera.»
«Lo vedi che c’è stata? Chi è? La conosco?»
«Non la conosco nemmeno io.»
Il mio tono esasperato non la commuove, né la frena.
«In che senso? Sei stato con una che nemmeno conosci?»
«Sei una zecca, Maya!»
Mi allontano per farla desistere e comincio a pensare a qualcosa da portare a casa di Lucas. Non posso certo presentarmi a mani vuote, e voglio essere originale. Così mi eclisso nel laboratorio. Ne esco quando è quasi l’ora di chiusura della cioccolateria. Sono soddisfatto e, grazie a degli stampini appositi e al nostro abbattitore di temperatura, osservo con orgoglio la scacchiera creata modellando quasi un paio di chili di cioccolato fondente e bianco. Il risultato è spettacolare! Lucas sarà uno squalo dell’editoria, ma io ci so fare nel mio campo!
Ho il tempo di fare un salto a casa per una doccia veloce. Mi vesto sportivo: jeans slavati, t-shirt grigia e giacca nera. Lucas ha sottolineato più volte l’informalità della cosa e io ne sono sollevato. Vorrei rilassarmi davvero, passando del tempo in buona compagnia. Con questa predisposizione d’animo arrivo all’indirizzo indicatomi e d’istinto mi parte un fischio d’ammirazione. La casa è molto grande e circondata da un giardino enorme punteggiato da aiuole fiorite e siepi scolpite. Un pesante cancello di ferro battuto si apre lento davanti alla mia auto, che poi guido lungo il viale d’ingresso, ammirando le piante maestose che lo contornano. I punti luce sono distribuiti ad arte, esaltando ogni particolare, e io ne sono letteralmente conquistato. Mi fermo davanti al portoncino d’ingresso e vedo Lucas venirmi incontro sorridente.
«Ce l’hai fatta, finalmente!»
Afferro la mano che mi porge e la stringo calorosamente.
«Complimenti! Casa grandiosa!»
«Oh, sì, è vero. Il merito è di mia moglie. È lei che si occupa di tutto. Vieni che te la presento!»
Lo seguo tentando di ignorare quel senso di leggera ansia che mi sta attanagliando lo stomaco. Ma non è niente rispetto a quello che mi cade addosso quando la vedo. La moglie di Lucas è proprio Kristal!
Chiudo la bocca e serro la mandibola per la rabbia contro un destino che si sta prendendo gioco di me, mentre lei sgrana gli occhi e mi porge la mano gentilmente. Lucas procede alle presentazioni di rito e Kristal non nega di conoscermi.
«Matt gestisce la cioccolateria all’angolo con la Kennedy Avenue, Lucas. È un paradiso, quel posto!»
Mi sento ancorato al pavimento, pesante come un macigno, però mi sforzo di sorridere. Lucas, invece, lo fa apertamente e mi invita a seguirlo in sala da pranzo. Mi fermo sulla soglia e per la prima volta la guardo veramente. Ha le gote arrossate e tiene lo sguardo basso.
«Prego, prima le signore.»
Kristal risponde a voce bassa e mi precede nella grande sala. Mi invita ad accomodarmi e mi ringrazia per la scacchiera, sinceramente colpita, ma ancora non mi guarda. Che succede, Kristal? Non abbiamo nulla da nascondere; non abbiamo fatto niente, io e te. Non ancora, purtroppo. Non ancora, forse. Non le sono indifferente e vorrei saperne di più, ma lei si chiude in una specie di guscio e non mi dà spiragli d’intuizione.
La cena scivola pigra, cullata dai miei pensieri e dal comportamento schivo di lei, sempre defilata, volutamente in disparte. Lucas, invece, è coinvolgente, pieno di energia e idee, un vulcano in attività. Parla in continuazione, chiede, ascolta con interesse e mi elargisce generose pacche sulla spalla, come ha sempre fatto. Ogni tanto guarda la moglie e il suo sguardo si intenerisce, ma poi sembra spegnersi. L’impressione è che non dimostrino entusiasmo per le medesime cose. Lucas è incontenibile e cerco di dargli l’attenzione che, in fin dei conti, penso meriti.
«… così questo campo è veramente ricco di opportunità, capisci?»
«Che tipo di possibilità?»
«Penso che la distribuzione capillare del prodotto non solo nei luoghi solitamente atti a tale scopo, come le librerie o i grandi ipermercati, ma anche in quelli più insoliti, possa incrementare di molto le vendite al dettaglio.»
«Okay, ma io che c’entro in tutto questo?»
«Come che c’entri? Gestisci un locale, no?»
«Sì, ma è una cioccolateria.»
«Ecco l’abbinamento che non ti aspetti! Ascolta, passa da me in ufficio domani o appena puoi, ne parleremo concretamente con cifre alla mano. Ora ti chiedo solo di valutare la possibilità di questa evoluzione per il tuo locale.»
«L’idea è veramente nuova e mi affascina. Credo che la vaglierò seriamente. Passo da te appena posso.»
Lucas sorride soddisfatto e propone un brindisi, cui Kristal partecipa quasi costretta. Non voglio crearle problemi, né darle fastidio, ma desidero guardarla e starle vicino come mi è permesso. La conversazione però prende, non certo su mia iniziativa, una direzione che avrei sinceramente voluto evitare.
«Com’è andata poi con la bionda, ieri sera? Sembrava impaziente di averti tutto per sé.» Rischio di strozzarmi con il vino mentre Kristal sgrana gli occhi ancora una volta.
«Bene.»
Rispondo conciso, sperando si capisca che non voglio continuare a sondare quel terreno, ma è un’illusione che dura poco.
«Oh, non ti preoccupare. Mia moglie sa del nostro siparietto e tu non devi vergognarti, no?»
Il mio imbarazzo cresce a tal punto da farmi incespicare con le parole, mentre vedo Kristal irrigidirsi sempre di più. Sembra che si stia trattenendo. Forse, pur essendo a conoscenza dello spettacolino, non le ha fatto piacere che il marito vi abbia preso parte. O forse c’è dell’altro. Lucas mi incalza imperterrito.
«Dai, sono curioso. Sembrava molto carica, ed era molto bella. Te li ha lasciati lei quei segni sul collo?»
Ammutolisco e porto d’istinto la mano sul collo, mentre lui scoppia in una fragorosa risata. Il rumore della sedia di Kristal che striscia rabbiosa sul pavimento mi fa scattare in piedi. È arrabbiata. Ha la bocca contratta, le braccia stese lungo il corpo in una postura rigida, le mani chius...