Domenica
«Naso.»
E mangiò la prima bacca di Goji.
«Naso.»
E mangiò la seconda bacca di Goji.
Aspettò, sospirò. Sperò.
«Naso.»
E mangiò la terza bacca di Goji.
Ce l’aveva fatta. Dopo tanti tentativi. Seimilacinquecentosettanta tentativi. Tre al giorno per sei anni. Tre volte i caffè macchiati del nipote.
Tolse le tre freccette dal naso di Tullio Stelvio Bacarozzi.
«Ce l’ho fatta.»
Si guardò in giro e non c’era nessuno. Neanche Clarabelle. «Ce l’ho fatta e sono solo. La storia a volte è così. Sei lì che aspetti e non arriva. Poi, il giorno che non c’è nessuno, neanche bussa alla porta e si palesa. È una bella sfiga, a pensarci.» Sandro sospirò ancora, e con lui Geronimo. «Ma anche a non pensarci.»
Con le tre freccette sul naso, una accanto all’altra in fila indiana, il presidente del Consiglio Tullio Stelvio Bacarozzi sembrava un clown. Le tre freccette non avevano cambiato lo stato delle cose.
Squillò il telefono di casa.
«Compagno, oggi si fa la rivoluzione.»
«Lo so, Vaiana. Adesso lo so.» E riagganciò.
Il cellulare non lo accese. Non lo avrebbe fatto prima di spedire l’articolo sulla partita della Dinamo Brodo. Clarabelle non si era mai spostata dalla sua coscia destra e lui, per non svegliarla, non aveva mai cambiato posizione. Il sacrificio, non privo di un qual certo stoicismo altruistico, lo costrinse alla zoppia per buona parte della mattinata. Guardò il cane sbuffare. Pareva una locomotiva in disuso, lanciata a bomba contro le ingiustizie.
«Sveglia, vecchia porca.»
Clarabelle fece finta di non sentire.
«Alchermes, vile bagascia.»
Clarabelle sentì benissimo.
Stevie zoppicò dalla camera alla cucina e versò delle crocchette all’alchermes, non ancora giganti, nella ciotola fucsia. Aggiunse acqua e un po’ di caffè. Clarabelle lo guardò facendogli garbatamente notare che il caffè non c’entrava niente con l’alchermes.
«Non discutere, zoccola. Oggi ti voglio vigile.»
Clarabelle non si mostrò granché convinta, ma questo non le impedì di spazzolare la massa informe in sette secondi e trentacinque decimi. Il suo record personale indoor.
Il telefono di casa squillò ancora. Sandro rispose, senza fretta.
«Che Lenin sia con te.»
Era Vaiana.
«Preferisco Gobetti.»
«Sei il solito riformista del cazzo.»
«E tu un massimalista che di Gramsci ha sempre capito poco.»
«Stavo pensando a una cosa.»
«Se volevi stupirmi, potevi fermarti a “pensando”.»
«Ti ho sentito sicuro, prima, al telefono. Hai letto il nostro futuro sui fondi del caffè?»
«Non lo bevo. Mi fa reazione con l’amlodipina.»
«Invece il vino, agli ipertesi e miocardici, fa bene.»
«Il vino mi piace. Il caffè, no. Da vecchi si tende a spacciare per salutismo il nostro gusto. Serve a rassicurare figli e nipoti.»
«Allora lo hai capito dalle bacche di jingle.»
«Goji. Che non sono rivoluzionarie, bensì antiossidanti.»
«E allora da cosa?»
«Da loro.»
Vaiana non parlò per alcuni secondi. Sandro temette un colpo apoplettico: sarebbe stato un peccato, proprio il giorno della rivoluzione.
«Non è possibile.»
«Fatico a crederci anch’io.»
«C’erano testimoni?»
«No.»
«Neanche Clarabella?»
«Clarabelle, con la “e”. E comunque no. Non c’era.»
«Quindi mi devo fidare di te.»
«Ti ho mai mentito, Vaiana?»
«Mai. A parte quando ti portasti a letto l’Erlinda, la moglie del Giavazzi, durante la rivoluzione di Praga.»
«Quella era una causa di forza maggiore. Sapevo che sarebbe durata poco.»
«La rivoluzione o la tua tenuta erotica con l’Erlinda?»
«Entrambe. Mi aspettavo di più. Dai praghesi, ma pure dall’Erlinda.»
«Mi dicesti che non te l’eri portata a letto.»
«Era per non ferire la Fosca.»
«Io non ero la Fosca.»
«Ma non hai mai saputo tenere un segreto che fosse uno.»
«Aveva un bel culo, l’Erlinda.»
«Non ti ho mai mentito.»
«A parte per l’Erlinda.»
«A parte per l’Erlinda.»
Vaiana restò un altro po’ in silenzio.
«Sandro.»
«Dimmi.»
«Che effetto fa?»
«I tre centri? Bah. Ci si sente come se l’artrite ti avesse concesso un armistizio. Di breve durata, ma pur sempre gradito.»
«Intendo dire la faccia del Premier con le frecce sul naso.»
«È ridicolo.»
«Più del solito?»
Sandro ci pensò qualche istante.
«Non direi.»
«Mi mandi una foto su WhatsApp?»
«Non ho WhatsApp.»
«Cazzo, Sandro. Allora mandamela via email. Tu e tuo nipote siete comunque gli unici al mondo a non averlo.»
«Non ti senti un po’ scemo ad avere WhatsApp a ottantasette anni?»
«Per niente.»
«Ed è questo che ti salva, Vaiana: l’inconsapevolezza. Ti ha sempre salvato.»
«Era da un po’ che non mi facevi un complimento. Sicuro di stare bene?»
«Mai stato sicuro di nulla, però stamani Geronimo l’ho visto in forma. E anche gli altri.»
«Non è sano dare il nome agli stealth, Sandro.»
«Invece creare software per valutare la qualità delle “Lettere d’amore scritte alla cazzo in piena notte” è sano.»
«La mia è ricerca scientifica.»
«E la mia è sopravvivenza umana.»
«Uno a uno.»
Sandro addentò la quarta bacca di Goji del mattino, Vaiana il sesto cornetto.
«Comunque si chiamano stent. Gli stealth sono un’altra cosa.»
«Velivoli invisibili ai radar, lo so. Ogni tanto sbaglio le parole apposta. Mi diverte quando mi riprendi.»
«Sei un cretino.»
«Mi diverte anche quando mi offendi.»
«Vaiana, ti preferisco quando sei scontroso. Le tue sdolcinature non si intonano al personaggio. Torna in te, oggi c’è da fare la rivoluzione.»
«Sono un po’ nervoso.»
«Lo era anche Jan Palach nel ’69. Tranquillo.»
«Tranquillo il cazzo. Palach si diede fuoco e crepò tre giorni dopo.»
«Ora sì che ti riconosco.»
«Ci vediamo nel pomeriggio. Vengo un po’ prima e proviamo i settaggi.»
«D’accordo.»
«Allora viene anche Tyson Greganti?»
«Rayban Seganti. Anche questa l’hai sbagliata apposta?»
«No, è che ha proprio un nome di merda.»
Sandro sorrise e si mangiò la quinta bacca di Goji.
«Tuo nipote ci sarà?»
«No, ha la partita.»
«Roba da matti: qua si fa la storia e lui si dà al calcio.»
«Un cittadino perfetto.»
«Se non altro, stanotte non ha sognato nulla. Forse è in coma.»
«Forse. Ma prima o poi si sveglierà. Oggi, magari.»
«Magari.»
«Allora ci vediamo dopo.»
«La porta è aperta.»
«Anche perché, se la chiudi, ti crollano architrave e intonaco.»
«La vita è tutta un equilibrio sopra la follia.»
«Petrarca?»
«Vasco Rossi.»
Vaiana accusò il colpo.
Stevie ripensò alla lettera. A quest’ora i suoi sproloqui erano di sicuro già stati letti da Giacomino, che non osservava mai giorni di chiusura né di ferie, e tutti stavano ridendo di lui. Oppure li aveva letti solo Layla, che for...