TERZA PARTE
Guardare agli altri
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Una compassione robusta
Quando il Dalai Lama incontrò il presidente Nelson Mandela, poco dopo la fine dell’apartheid, rimase estremamente colpito dalla sua assoluta mancanza di risentimento verso coloro che lo avevano confinato in prigione per un così lungo periodo.
La Truth and Reconciliation Commission sudafricana, invece, capeggiata dall’arcivescovo Desmond Tutu, un vecchio amico del Dalai Lama, raccolse migliaia di resoconti delle atrocità di ogni tipo perpetrate durante l’apartheid e la lotta per contrastarlo.
Solo in alcuni di questi crimini al responsabile veniva concessa l’amnistia. Tuttavia, i processi prevennero senza dubbio un’ondata di violenza vendicatrice. Lo sforzo compiuto da Mandela per dimostrare di non avere sete di vendetta contro le minoranze bianche che l’avevano fatta da padrone – né contro quanti le avevano combattute – contribuì enormemente a non creare derive violente.
Quando si parla di conflitti e forme di oppressione come quelle verificatesi sotto l’apartheid, «le ferite sono ovunque» afferma il Dalai Lama. Per questo motivo la presenza della Commissione è «molto, molto necessaria, e molto efficace nel processo di guarigione». Rivelare al mondo i crimini commessi da ambo le parti – abusi degli oppressori e crudeltà dei ribelli – rappresenta un modello di trasparenza che egli ammira tanto. Sua Santità auspica fortemente una simile apertura nei confronti di coloro che sono ritenuti responsabili dei misfatti. Potrebbe apparire strano a molti, me compreso, ma la forza che guida una simile scelta è la compassione.
Egli intende una forma più vigorosa della gentilezza anonima e anemica che ci insegnano alla scuola domenicale. L’ammissione delle proprie colpe è un’applicazione pratica della compassione nella sfera pubblica, così come un’efficace azione che raddrizza le ingiustizie di ogni tipo.
I suoi istinti sono in un certo senso affini a quelli dello scrittore attivista Upton Sinclair, oltre che alle scelte compiute da papa Francesco contro la corruzione e la collusione. Il Dalai Lama incita tutte le persone ad assumersi la propria responsabilità morale, in ogni campo della vita pubblica, perché, ritiene, c’è corruzione ovunque – in politica, in economia, nella religione e nella scienza –, ovunque si debbano affrontare questioni etiche.
Il disgusto per l’ingiustizia insieme al desiderio di esporre e riplasmare sistemi corrotti – che siano torpide azioni intraprese da banche e associazioni, da politici o guide religiose – sono una singolare applicazione della compassione, quella che meno mi sarei aspettato di trovare nella sua visione.
Abbiamo parlato di tre principi che esemplificano la trasformazione della compassione in azione: equità , per cui tutti hanno diritto allo stesso trattamento; trasparenza, ossia l’essere onesti e aperti, che dipende direttamente dal primo principio; e responsabilità , ovvero saper rispondere delle proprie azioni.
Senza una forza pronta a contrastarle, corruzione e ingiustizia continueranno a dilagare. Ma si può porre rimedio a ciò che si conosce. D’altro canto, la trasparenza non è sufficiente: si ha bisogno anche di responsabilità . I due aspetti sono interconnessi: non c’è responsabilità senza trasparenza, né trasparenza senza responsabilità .
La compassione implica l’azione
Il Dalai Lama si autodefinisce un «semplice monaco» e, nonostante i tour mondiali e il grande entourage che lo segue ovunque, conduce una vita spartana, scandita da un programma quotidiano ricco di impegni. Risiede in alloggi disadorni e dorme in una piccola stanza scarsamente ammobiliata, come si addice a un monaco. Nelle stagioni calde, predilige le infradito come quelle dei contadini indiani, e le sue magliette sono consunte per l’uso eccessivo.1
Su questo aspetto si sente particolarmente vicino a papa Francesco, che dorme in una semplice stanzetta trascurando il più sontuoso appartamento pontificio, si sposta su una berlina e preferisce il suo titolo più modesto, «vescovo di Roma», a quello di «Pontefice». Il Dalai Lama lo comprende perfettamente quando esorta la Chiesa a diventare più attiva nell’aiuto ai poveri e agli emarginati.
Quando il Papa incitò il clero a diventare un modello di austerità optando per uno stile di vita più semplice – la Chiesa «è povera, ed è per i poveri» – egli se ne compiacque al punto da scrivergli una lettera piena di ammirazione. I leader religiosi, infatti, secondo il Dalai Lama, dovrebbero seguire gli insegnamenti che professano scegliendo l’umiltà e la semplicità come abitudini di vita.
E quando papa Francesco ha accettato le dimissioni di Tebartz-van Elst, il cosiddetto «vescovo spendaccione» che aveva investito quarantatré milioni di dollari nella sua residenza privata, trentamila dollari per realizzare una vasca da bagno e un milione di dollari per la costruzione di un giardino, il Dalai Lama gli ha fatto recapitare una nuova lettera di apprezzamento2 nella quale ha espresso tutta la sua solidarietà al Pontefice per la «forte presa di posizione, dettata da un vero insegnamento di Gesù Cristo».
Commentando l’azione del Papa nei confronti del prelato tedesco, punito per il suo stile di vita indulgente, il Dalai Lama disse: «Anche i religiosi posso essere corrotti». E in occasione di un discorso pubblico a Bangalore, in India, aggiunse: «La prospettiva di una classe religiosa priva di etica è catastrofica».3
Agire secondo compassione, spiega, non significa soltanto osservare la sofferenza, ma impegnarsi a raddrizzare i torti commessi, opporsi all’ingiustizia e proteggere i diritti altrui. Operare in questo modo, per quanto non violento, può risultare molto assertivo.
«Oggigiorno nel mondo si combatte, si inganna, si opprime» dice il Dalai Lama. «Ed ecco perché altruismo e compassione» sono valori ancora più importanti. «Tuttavia un atteggiamento compassionevole non è sufficiente. Bisogna agire.»4
Una rabbia costruttiva
Il Dalai Lama mi racconta un aneddoto su un operatore sociale che, a causa dell’eccessivo numero di casi di cui doveva occuparsi il suo gruppo, si lamentava di non riuscire ad aiutare davvero i suoi assistiti. Preoccupati per i bambini di cui avrebbero dovuto prendersi cura, gli operatori organizzarono una protesta, ottenendo così una riduzione del carico di lavoro. La persona che per prima aveva fatto presente il problema riferì che: «Con la rassegnazione non saremmo andati da nessuna parte»; era stata la rabbia iniziale a farli muovere.
Se ben dosata, quindi, questa può aiutarci a combattere l’ingiustizia. Sua Santità è consapevole dell’utilità di questo sentimento, se ben convogliato. L’indignazione morale può stimolare un’azione positiva.
Conoscendo la sua visione mi aspettavo che ne condannasse l’uso. Ma proprio come nel caso della calma, il Dalai Lama distingue vari tipi di rabbia.
Quando ci indigniamo di fronte a un’ingiustizia, dobbiamo fare attenzione agli aspetti positivi della sensazione: massima concentrazione, maggiore energia e grande determinazione, tutte caratteristiche che possono rendere più efficace la nostra reazione all’ingiustizia. Tuttavia, quando la rabbia prende il sopravvento e la concentrazione svanisce, l’energia si tramuta in agitazione e perdiamo il controllo di noi stessi.
Anche il modo in cui agiamo conta.
Generalmente il consiglio è di ostacolare le emozioni distruttive, compresa la rabbia. «Tolleranza significa esercitare il controllo sulla rabbia o sull’odio. Ma se una persona ci reca danno» e noi non reagiamo, «quella persona potrebbe approfittarsi ancora di più di noi e ne conseguirebbero ulteriori azioni negative. Pertanto, dobbiamo analizzare la situazione, capire se richieda o meno delle contromisure, quindi adottarle senza rabbia. Scopriremo infatti che l’azione è più efficace, se non motivata dalla rabbia. Se si pensa lucidamente, è più semplice centrare l’obiettivo!»5
Tuttavia, se non siamo capaci di tanta ragionevolezza però vogliamo difenderci da una minaccia reale – per esempio da qualcuno che vuole nuocere a noi o ai nostri cari –, serviamoci della rabbia con moderazione, non facciamoci muovere dal rancore. «Bisogna mantenere una mente calma, studiare la situazione, poi prendere contromisure. Se commettiamo un altro torto, non può che peggiorare ogni cosa. Quindi è necessario che le contromisure adeguate vengano adottate partendo da una base di compassione.»
La compassione non discrimina, è per tutti. Pertanto, «anche se le azioni di una certa persona sono distruttive», è bene tenere conto del suo benessere e, «per quanto possibile, porre fine al circolo vizioso».
Affinché la rabbia sia costruttiva bisogna mantenere un atteggiamento compassionevole verso l’altro, pur adoperandosi attivamente per contrastare le sue cattive azioni. Questo ci conduce a un’intuizione illuminante: è bene distinguere tra una persona e le sue azioni.
Opponiamoci al suo comportamento, ma amiamo la persona, e facciamo tutto il possibile per aiutarla a cambiare. Per odioso che sia quel modo di fare, «abbiate compassione di colui che agisce. La vera essenza del perdono è non sviluppare rabbia nei confronti dell’individuo, e al tempo stesso non accettare ciò che ha fatto».
Nelle lunghe ore trascorse a parlare dei vari metodi per gestire le emozioni, il Dalai Lama e Paul Ekman si sono trovati d’accordo su questa distinzione tra «atto» e «attore». Gli psicologi raccomandano tale manovra cognitiva per aiutare le persone a gestire emozioni forti come la rabbia.6
Un’altra ragione per adottare questa strategia mentale è la seguente: nel caso in cui vogliamo contrastare le azioni negative di qualcuno, dobbiamo tenere presente che saremmo più efficaci se a muoverci non fossero emozioni distruttive.
Questo mi riporta alla mente una mia personale «nemesi»: un tizio mi aveva coinvolto in un’attività che oggi mi sta dando problemi. Ogni volta che penso a lui, sento spesso montare dentro di me l’agitazione e la rabbia, ma se ho eseguito i miei esercizi di meditazione quotidiana, riesco a ponderare più serenamente e lucidamente le manovre legali necessarie a chiamarmene fuori. Sono in grado, cioè, di separare l’attore dall’atto.
La forza dell’altruismo
Il Dalai Lama era solo un ragazzino quando sentì parlare per la prima volta del Mahatma Gandhi, e fu a lui che si ispirò. Nonostante non si siano mai incontrati, lo ha sempre reputato il suo «mentore personale».
Molti aspetti della sua vita riflettono quella di Gandhi, a partire dalla lotta di quest’ultimo per sconfiggere le forze negative della natura umana e sviluppare appieno il potenziale di quelle positive. Si pensi inoltre alla semplicità che contraddistingue il suo stile di vita o all’attenzione verso i problemi dei poveri e degli oppressi.
Come il Mahatma, Sua Santità si impegna a coltivare la non violenza e la compassione nella pratica giornaliera, «non perché sia qualcosa di santo o sacro, ma perché se ne trae un beneficio concreto».7
Egli, inoltre, attribuisce grande valore al fatto che Gandhi insistesse molto sull’importanza della trasparenza e dell’onestà . «La sua pratica della non violenza si basava totalmente sul potere della verità .» Potere che si manifesta per esempio in presenza di ostacoli o difficoltà . A quel punto, «la propria posizione deve essere sincera, onesta e autentica, l’atteggiamento altruistico. Con la forza dell’altruismo non c’è ragione di sentirsi scoraggiati. Se invece ci comportiamo ipocritamente o affermiamo una cosa che non rispecchia le nostre azioni, il nostro essere interiore si indebolisce e rischiamo di non avere la forza di affrontare le sfide che ci aspettano».8
Essere davvero onesti ci permette di dire ad alta voce ciò che crediamo essere vero. La trasparenza nella vita pubblica vuol dire vedere cosa c’è sotto lo strato esteriore delle cose. «In superficie generalmente le persone cercano di comportarsi bene, di dare una buona impressione e di sembrare equilibrate. Ma sotto, la verità può essere ben diversa» dice il Dalai Lama. «La trasparenza agisce come deterrente per gli impulsi negativi.»9
Egli esorta chi lavora nella comunicazione ad avere «il naso lungo», a fiutare non solo ciò che si vede all’apparenza delle notizie, ma anche quanto vi si nasconde in profondità . E quindi li invita a non riportare solo storie sensazionali, ma a dare spazio pure a ciò che si muove sullo sfondo, senza pregiudizi. «Nei Paesi liberi, almeno, i media hanno un ruolo fondamentale e possono fare la differenza. Diversa è la situazione in quelle nazioni in cui vige una pesante censura, un problema a tutt’oggi molto grave.»
Non va inoltre dimenticato il divario crescente tra ricchi e poveri, «del tutto immorale!» secondo il Dalai Lama. Che ha avuto modo di constatare con i propri occhi, durante le visite in Africa e Sudamerica, la disperazione dei meno abbienti e che ha denunciato il ruolo attivo della corruzione. «La corruzione è come un cancro» commenta. Contribuisce sia a creare povertà sia a mantenerla nel tempo; troppo spesso i fondi raccolti per aiutare i poveri finiscono nelle tasche dei ricchi.
Il suo invito, quindi, è a combattere la corruzione ovunque la si trovi nella società , in quanto portatrice di egoismo e quindi di indifferenza per il benessere altrui. Secondo la sua visione, il problema nasce nelle istituzioni moderne, che esaltano il denaro anziché i principi morali.
L’assunto di fondo è che «finché si hanno denaro e potere, va tutto bene». Uomini d’affari e leader politici sono il prodotto di tale sistema, e ragionano in questi termini.
Un esempio di ciò che egli intende per corruzione sono i Giochi del Commonwealth del 2010, tenutisi in India e fortemente criticati dai media del Paese per tutta una serie di problemi, dal denaro intascato dai committenti agli sfratti di massa, dalle pericolose condizioni di lavoro allo sfruttamento della manodopera infantile. La domanda che chiunque si poneva era: perché un Paese con un livello di povertà così alta deve spendere così tanto per ospitare un evento sportivo?
«Si verificano tanti scandali simili in India» sostiene il Dalai Lama. «C’è troppa noncuranza. Servirebbe un governo di polso, una leadership onesta e trasparente. Solo così il Paese potrà cambiare, trasformarsi.»
Ho ripensato a questo commento di rec...