1
Rimettere insieme i pezzi
Oggi
New York
Appartamento di Cassandra Taylor
In Giappone esiste una tecnica chiamata kintsugi, che consiste nel riparare preziosi vasi di ceramica con l’oro. Le crepe restano visibili, ma proprio per questo il risultato è ancora più bello.
È un concetto che mi ha sempre affascinato. Troppo spesso nascondiamo le nostre cicatrici, come se persino la minima incrinatura rivelasse una debolezza. Identifichiamo le cicatrici con gli errori, e gli errori con la vergogna. E la perfezione diventa impossibile.
La filosofia del kintsugi sostiene l’esatto opposto: Dalla tragedia può nascere la bellezza. Guardate le meravigliose crepe prodotte dall’esperienza.
Immobile nell’ingresso di casa mia, con gli occhi fissi sulla porta a cui l’uomo che amavo ha appena bussato, mi viene in mente che, per quanto il kintsugi sia un principio nobile, c’è un dato di fatto immodificabile: una cosa rotta resta una cosa rotta, e nessuna tecnica potrà rimetterne insieme i cocci fino a farla tornare intatta.
A giudicare dalla stupenda e-mail di stamattina in cui ha messo a nudo la sua anima e mi ha dichiarato il suo amore, credo che Ethan voglia «ripararmi». Buffo, considerando che è stato lui a mandarmi in mille pezzi.
Sei convinta che ti abbia lasciato perché non ti amavo, però ti sbagli. Ti ho amato dal primo momento in cui ho posato gli occhi su di te.
Passavo il tempo a ripetermi che meritavo di essere abbandonato da tutti e non mi sono mai fermato a riflettere che invece meritavo te. Non riuscivo a capire che, se avessi smesso per cinque minuti di comportarmi da imbecille insicuro, forse, ma solo forse, avrei potuto averti accanto per sempre. Io ti voglio accanto a me, Cassie.
Tu hai bisogno di me proprio come io di te.
L’uno senza l’altra siamo inutili, e c’è voluto tanto tempo perché me ne rendessi conto.
Bussa di nuovo, più forte questa volta. So che devo aprire.
Ha ragione: senza di lui sono inutile. È sempre stato così. Ma cosa ho da offrirgli, a parte il guscio vuoto della donna di cui si è innamorato?
Non essere testarda come lo ero io, non permettere alle tue insicurezze di vincere. Noi dobbiamo vincere. Se pensi che innamorarti di nuovo di me sia troppo rischioso, che le probabilità siano contro di te, lascia che ti dica una cosa: io sono una certezza. Non potrei smettere di amarti nemmeno se ci provassi.
Peccato che, come ha dimostrato più volte, amarmi non gli impedisca di abbandonarmi.
Ho ancora paura che tu possa ferirmi? Sì. Magari ne ho quanto te.
Ma adesso sono abbastanza coraggioso da credere che valga la pena rischiare.
Permettimi di aiutarti a ritrovare il coraggio.
Coraggio… È da tanto che non uso questa parola per riferirmi a me stessa.
Il telefono vibra. Un messaggio.
Ciao, sono davanti alla tua porta. Ci sei?
Lungo la mia schiena, agitazione e timore fanno a gara per chi arriverà prima a paralizzarmi il cervello.
Dopo aver letto la sua e-mail, avevo sentito l’immediato bisogno di vederlo. Ora che però è qui, non so cosa fare. Avanzo nell’ingresso come in sogno, come se gli ultimi tre anni fossero stati solo un incubo e adesso stessi per svegliarmi. Il tempo pare scorrere lentissimo. Ogni secondo è importante.
Mi stringo la vestaglia e respiro a fondo per calmarmi. Abbasso la maniglia con dita tremanti e mi sforzo di non trattenere il fiato quando apro e vedo Ethan, con il telefono in mano. Stupendo e stanco. Nervoso, quasi quanto me.
«Ciao» dice dolcemente.
«Sei qui.»
Annuisce.
«Come…? Cioè, ti avevo appena scritto. Eri già qui sotto?»
«Ehm… sì, be’, da un po’. Non riuscivo a dormire. Pensavo a tante cose. A te.» Osserva il cellulare e lo rimette in tasca. «Volevo essere nei paraggi, nel caso…» Sorride e scuote la testa. «Volevo esserci.»
La sua giacca è a terra accanto a una tazza di caffè da asporto.
«Ethan, da quanto sei qui?»
«Te l’ho detto, da un…»
«Da quanto esattamente?»
Abbozza un sorriso per mascherare l’emozione. «Da qualche ora, ma…» Si fissa i piedi e scuote di nuovo il capo. «Mi sembra di aver cercato il coraggio di bussare per tre anni. Credo che fosse questo il senso dell’e-mail.» Alza lo sguardo e per la prima volta dopo tanto tempo scorgo la paura nei suoi occhi. «La domanda, però, è: mi lascerai entrare?»
Mi rendo conto solo in quel momento che stringo lo stipite con la mano destra, mentre con la sinistra tengo la porta. Occupo tutto lo spazio, come se inconsciamente volessi sbarrargli la strada.
Ethan si avvicina con molta cautela, e d’un tratto il mondo intorno sembra svanire. «Hai letto la mia e-mail, vero?»
«Sì.»
«E ti è stata utile?»
Non so cosa rispondere. Si aspetta una dichiarazione? Qualcosa che ricambi i suoi mille «ti amo»? «Ethan, è… bellissima.»
A quanto pare era ciò che voleva sentirsi dire, perché il suo viso si illumina.
«Ti è piaciuta?»
«Tantissimo. Hai davvero scritto quei “ti amo”… lettera per lettera?» Mi si chiude la gola nel pronunciare la parola che comincia per A.
«Sì.»
«Quanto ci hai messo?»
«Non ci ho fatto caso. Volevo solo che lo sapessi.»
Non dovremmo avere questa conversazione nell’ingresso, tuttavia, se lo lascio entrare, quel briciolo di forza che mi resta svanirà.
«E dunque?» Avanza di un passo. «Io so quello che voglio, immagino sia abbastanza chiaro…» Adesso è così vicino che i suoi piedi quasi toccano i miei. «Tu, invece?»
Mi irrigidisco. Ethan rappresenta tante cose per me. È stato il mio primo vero amico. Il primo amore. Il primo amante. Mi ha fatto conoscere un piacere di cui ignoravo l’esistenza, e un dolore che credevo insopportabile.
«Cassie…» Mi sfiora una mano, il polso e poi il braccio, dandomi i brividi. «Tu cosa vuoi?»
Voglio lui, eppure è sbagliato. Ho bisogno di lui, ma detesto l’idea.
«Non lo so» sussurro.
«Io invece sì» risponde, avvicinandosi di più. «Fammi entrare. Ti giuro che questa volta sono qui per restare.»
2
Maledetta vulnerabilità
Sei anni prima
Grove Institute, Westchester
Mi sveglio e mi stiracchio, un po’ indolenzita. Ci metto qualche secondo a ricordare il motivo.
Ah, già, ho fatto sesso. Sesso incredibile, appassionato, da far tremare i muscoli. Con Ethan.
Sorrido: ho perso la verginità con Ethan Holt.
Oh, che sensazioni…
Immagini della notte appena trascorsa mi invadono la mente e avverto un formicolio dappertutto.
Di sicuro adesso sembrerò diversa. Perché mi sento diversa. Radiosa. Mi si è spalancato un mondo che non vedo l’ora di esplorare. Con lui.
Sospiro di felicità e allungo un braccio. Ma non c’è nessuno accanto a me. Apro gli occhi.
«Ethan?»
Mi alzo e lo cerco ovunque. L’appartamento è vuoto.
Torno in camera e mi siedo sul letto. Il groviglio di lenzuola profuma ancora di lui.
Controllo il telefono: nessun messaggio. Guardo per terra, nel caso sia caduto un bigliettino pieno di parole d’amore o di scuse. Niente.
Perfetto.
Sono abbastanza sicura che non sia un buon segno quando un ragazzo ti lascia sola nel cuore della notte.
Più tardi, aspetto l’inizio del corso avanzato di recitazione, dondolando nervosamente le gambe.
Holt è in ritardo. Strano, di solito è puntuale.
Ancora non riesco a credere che se ne sia andato come niente fosse. Insomma, se vai a letto con una ragazza per la prima volta, poi le mandi almeno un messaggio, no? E magari le dai anche un colpo di telefono. Ciao, grazie per aver perso la verginità con me. È stato bello.
So che per lui è difficile aprirsi, ma non si rende conto che non è l’unico ad aver bisogno di rassicurazioni?
Arriva Erika e cerco di scacciare Ethan dalla mente.
«Signore e signori, bentornati. Spero che vi siate riposati durante le vacanze.» Si leva un mormorio di assenso, e lei sorride. «Bene, perché nelle prossime settimane vi metterò alla prova come non ho mai fatto finora. Nel corso di questo semestre lavoreremo sulle maschere, una delle forme teatrali più antiche e complesse.»
La porta si apre, Holt entra e va a sedersi. Sembra stanco.
«Grazie di esserti unito a noi» commenta Erika, accigliata.
«Prego» risponde lui con un cenno del capo.
«Posso fare qualcosa per te? Magari regalarti un orologio?»
Holt abbassa gli occhi. «Scusa per il ritardo.»
Erika gli lancia uno sguardo di rimprovero e riprende a parlare: «Come dicevo, il lavoro sulle maschere è molto difficile e richiede all’attore una sincerità e un’apertura totali. Questa forma d’arte non ha pietà con chi ha blocchi emotivi o insicurezze, perciò preparatevi ad affrontare dei durissimi momenti di introspezione».
Holt mi osserva di sfuggita, mi rivolge un sorriso tirato e si gira di nuovo.
Erika raggiunge la cattedra e afferra uno scatolone pieno di maschere, che poi dispone sul pavimento. «Ognuna rappresenta un’emozione specifica. Prendetevi qualche minuto per scegliere quella che vi attira di più.»
Gli altri si avvicinano, chiacchierando e ridendo. Ethan si alza e resta in disparte, in attesa che la confusione si plachi. Mi metto di fianco a lui.
«Ciao.»
«Ciao.» Non mi guarda.
«Te ne sei andato, stamattina.»
Infila le mani in tasca e stringe i denti.
«Sei arrabbiato con me? Lo so, avevi detto che era meglio aspettare e io ho insistito, però…»
«No» mi interrompe. «Non sono arrabbiato con te. Ero solo… Avevo delle cose da fare e non volevo svegliarti. È tutto a posto.»
Sono parole rassicuranti, eppure non mi sento affatto sollevata. «Quindi… ti è piaciuto? Io…»
Si china verso di me e sulle sue labbra compare un mezzo sorriso. «Cassie, solo tu puoi parlare di sesso nel bel mezzo di una lezione. Possiamo discuterne dopo senza tutta questa gente intorno?»
«Sì, certo. Assoluta...