DANTE ALIGHIERI
DANTE ALIGHIERI
Poichè ovviamente nei lettori dell’antologia si presuppone familiarità con la Divina Commedia, le pagine qui offerte valgono come una presentazione delle opere elette minori (e minori di fatto, ma unicamente rispetto al livello supremo della Commedia), e in qualche misura consentono di giudicare quello che Dante sarebbe nella nostra storia letteraria se non avesse scritto il poema. Ciò equivale, anche, secondo la cronologia stimata più probabile dal compilatore (non si mancherà mai d’avvertire che in materia dantesca tutte le proposizioni enunciabili, dalle semplicemente opinabili alle francamente assurde, sono state avanzate, sicché l’adozione di qualsiasi tesi rischia sempre di sembrare polemica, anche fuori d’intenzione), a valutare i risultati della carriera di Dante – ciò che diminuisce l’artificiosità d’un Dante SENZA la Commedia – PRIMA della Commedia. Premessa è l’ipotesi, ora ragionevolmente diffusa, che la Commedia sia stata composta a partire dall’interruzione del Convivio, cioè dal 1307 all’incirca. Non anteriori al poema verrebbero allora ad essere solo alcune delle opere latine, ossia la Monarchia (in cui secondo la lezione di tutti i codici è menzionato il Paradiso), l’essenziale delle Epistole, le Egloghe (corrispondenza in versi allegoricamente bucolici col maestro di grammatica Giovanni del Virgilio che avrebbe voluto onorar Dante in Bologna – corrispondenza contro la cui autenticità sono stati levati dubbî degni di meditazione, e che comunque attesta una cultura e un gusto curiosamente preumanistici) e finalmente la lezione di cosmologia (di autenticità ormai corroborata da Francesco Mazzoni) intitolata Quaestio de aqua et terra. Opere, queste citate, di varia e in qualche caso cospicua importanza, ma non da compararsi alle Rime, alla Vita Nuova, al Convivio, al De vulgari, nessuna delle quali si annulla nella Commedia. La risposta alla domanda circa il significato di Dante senza Commedia è che si tratterebbe comunque d’una personalità di scrittore e critico di determinante rilievo, ricchissima, come nessuna fino al Rinascimento, di stimoli espressivi e di temi mentali, anche se nel complesso prevalentemente intellettuale e meno suscettibile di grandiosa eco popolare.
È nelle Rime che il versatile sperimentalismo di Dante si fa più evidente: Rime, non Canzoniere, come infatti non lo si chiama quasi più, mancando al loro insieme una statica organicità. Lasciando stare i versi «siculo-toscani» (per cui si può sempre sospettare confusione con un altro Dante, quello da Maiano) e le canzoncine melodiche (e certo per musica) della prima giovinezza, Dante si segnala anzitutto come lirico stilnovista, assai vicino al suo amico e vero maestro Guido Cavalcanti; entro questa maniera egli compie una svolta con le da lui stesso chiamate «nove rime», e per tale punto di stile, in cui gli si porta qualche volta vicinissimo Cino da Pistoia, egli appare l’antenato più prossimo della poesia petrarchesca, e perciò in definitiva responsabile anche di questa decisiva cifra letteraria, non solo italiana. Nell’ultimo decennio del secolo Dante peraltro oltrepassa tali posizioni in due direzioni distinte: per un verso estendendo la raffinatezza formale delle canzoni alla materia etica (nelle cosiddette canzoni morali), rivaleggiando insieme con l’occitanico Giraut de Borneil e col Guittone «convertito», mirando cioè a riuscire un Giraut italiano e un Fra Guittone moderno, più alti di quei modelli; per l’altro riscoprendo in via diretta il supremo livello stilistico del trobar clus provenzale, quello di Arnaut Daniel, e ispirandoglisi per un modo di poesia, la poesia «petrosa», che identifica l’ostacolo formale del linguaggio ermetico con l’ostacolo tematico-psicologico d’una passione difficoltosa. Ma queste due innovazioni che sopraggiungono dietro allo stilnovismo dantesco non sono le uniche, poiché press’a poco in coincidenza con le ultime rime della Vita Nuova, di cui le dette innovazioni accentuano il tono «tragico», ossia la massima ambizione stilistica inerente alle canzoni, sono elaborati testi di tonalità opposta o «comica», di cui è veicolo il sonetto nella sua accezione più realistica: la tenzone scambiata con Forese Donati e, se si accetta che il suo autore Durante sia l’Alighieri, l’ampio Fiore. La composizione di movimenti così divergenti e apparentemente eterogenei, se non contraddittori, come il simbolismo e melodismo stilnovistico, il formalismo didattico e quello puro, il realismo o formalismo caricaturale, si cercherebbe vanamente entro il perimetro delle Rime, essendo destinata a verificarsi nella Commedia, della quale con storiografia retrospettiva essi potranno apparire segni premonitori.
La radicale differenza tra lo Stil Novo e la poesia precedente (in largo senso, «siciliana») è che questa, in quanto poesia d’amore, è puramente rituale, legata a una convenzione tematica e non a un’occasione storica, mentre lo Stil Novo deriva le sue situazioni dall’esperienza: salvo che l’esperienza dall’individuo umano è sùbito trasportata all’uomo in generale. S’instaura per tal modo un doppio registro, in virtù del quale l’io è insieme il soggetto delimitato d’un’azione e l’uomo universalmente considerato (per esempio, e in particolare, l’amante di sempre); inoltre i fatti interni, spirituali, sono rappresentati come movimenti in un processo di personificazione. Tale simbolismo rende ardua al lettore moderno la comprensione delle poesie stilnovistiche e in genere delle scritture in cui la figurazione surroga quella che secondo il nostro costume sarebbe analisi psicologica: il simbolismo, ovvio alla mentalità medievale per la componente platonica della cultura cristiana, è uno schermo perenne, che è stato recuperato all’intelligenza diretta e all’esegesi riflessa solo da una corrente del Romanticismo e specialmente delle scuole postromantiche. Se gli oggetti sono se stessi e altra cosa, anche i fatti sono se stessi e altra cosa: in quest’ultimo caso subentra però l’esempio dell’esegesi biblica, la quale per secoli si era industriata a distinguere dal senso letterale, sempre consistente (la Bibbia è in primo luogo un libro storico), altri sensi «allegorici» o «mistici» (la tradizione seguita da Dante, oltre a quello propriamente allegorico, ne riconosce, almeno a intermittenza, uno «morale» e uno «anagogico» o relativo ai Novissimi, al destino ultimo dell’uomo). Siamo sulla strada che conduce alla polisemia della Commedia; ma per il momento il passaggio dal simbolismo degli oggetti a quello degli eventi è il passaggio dalle poesie della Vita Nuova, con i loro enunciati relativamente contratti, alla prosa della Vita Nuova, in cui la verità si allinea narrativamente, storicamente. La Vita Nuova collega le sue due componenti non semplicemente impiantandosi come prosimetrum al modo, soprattutto, di Boezio, ma offrendosi, cosa che va assai più in là ed è tanto più peregrina, come un romanzo accompagnato da un commento. Per tal modo, quello che è, se non proprio la prima narrazione, certo il primo romanzo in volgare di sì, sulla falsariga, com’è stato giustamente oss...