
- 92 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Informazioni su questo libro
La libertà, per cui i popoli hanno combattuto guerre, sollevato rivolte, decapitato sovrani, è un fardello dal peso insopportabile. Gli uomini sono in grado di sostenerlo solo al prezzo della spensieratezza e della felicità: e perciò la Chiesa, di cui il Grande Inquisitore ? portavoce, ha posto divieti e prescrizioni, nel rispetto dei quali l'uomo può finalmente vivere felice. Cristo, miracolosamente tornato fra gli uomini della città di Siviglia, porta un sovversivo messaggio d'amore e libertà incondizionata: dalla Chiesa non può che essere arrestato, riconosciuto e inevitabilmente condannato.
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Informazioni
Print ISBN
9788817069274eBook ISBN
9788858660263IL GRANDE INQUISITORE
“Il Grande Inquisitore” è tratto dai Fratelli Karamazov (parte seconda, libro quinto, quinto capitolo), BUR Grandi classici 2010, traduzione di Pina Maiani e Laura Satta Boschian.
«Già, ma anche qui non si può fare a meno dell’introduzione, voglio dire di un’introduzione letteraria» e Ivàn si mise a ridere. «Ohimè, che razza di autore sono mai! Vedi, l’azione si svolge nel secolo sedicesimo, e a quel tempo (del resto, devi averlo studiato a scuola), a quel tempo, appunto, nelle produzioni poetiche si usava far discendere sulla terra le potenze celesti. Non parliamo di Dante. In Francia gli aspiranti giuristi, e anche i monaci nei monasteri, davano intere rappresentazioni nelle quali facevano venire in scena la Madonna, gli angeli, i santi, Cristo, e perfino Dio. Allora tutto ciò era molto ingenuo. In Notre Dame de Paris1 di Victor Hugo, per festeggiare la nascita del delfino francese al tempo di Luigi XI, viene offerta al popolo, nella sala del Municipio di Parigi, una rappresentazione edificante e gratuita dal titolo: Le bon jugement de la très sainte et gracicuse Vierge Marie, dove Maria in persona appare in scena e pronunzia il suo bon jugement. Anche da noi, anticamente, prima di Pietro, si davano ogni tanto a Mosca delle rappresentazioni drammatiche quasi uguali a quelle francesi, tratte specialmente dal Vecchio Testamento.2 Ma oltre alle rappresentazioni, circolavano allora per il mondo molti racconti e “poemetti”, nei quali agivano, all’occorrenza, i santi, gli angeli e tutte le potenze celesti. Nei nostri monasteri si preoccupavano anche di tradurre, trascrivere e addirittura comporre simili poemi, lo facevano perfino sotto i tartari! C’è, per esempio, un poemetto monastico (sicuramente tradotto dal greco): La Madre di Dio fra i dannati,3 che ha dei quadri di un’arditezza non inferiore a quella di Dante. Maria visita l’inferno, e la guida “fra i dannati” l’arcangelo Michele. Essa vede così i peccatori e le loro atroci sofferenze. Fra l’altro, c’è una schiera di peccatori in un lago bollente che è interessantissima: quelli di loro che affondano in questo lago, in modo tale da non poter più venire a galla, “Dio li dimentica per sempre”. È un’espressione di una forza e di una profondità straordinaria. Ed ecco che Maria, addolorata e piangente, cade in ginocchio davanti al trono di Dio e chiede misericordia per tutti quelli che sono all’inferno, per tutti quelli che ha visto, senza distinzione. Il suo dialogo con Dio è enormemente interessante. Essa implora, non si dà per vinta, e quando Dio le indica le mani e i piedi del Figlio di Lei trapassati dai chiodi, e le domanda: “Come posso perdonare i Suoi carnefici?”, Maria ordina a tutti i santi, a tutti i martiri, a tutti gli angeli e gli arcangeli di inginocchiarsi con Lei e di chiedere misericordia per tutti, indistintamente. Alla fine Ella ottiene da Dio che le sofferenze dei dannati cessino ogni anno dal Venerdì Santo alla Pentecoste, e allora i peccatori dal fondo dell’inferno ringraziano il Signore e Gli gridano: “Hai giudicato giustamente, Signore”. Be’, anche il mio poemetto sarebbe stato dello stesso genere, se fosse uscito a quell’epoca. Io faccio venire in scena Lui. Veramente, Lui nel mio poema non dice nulla: appare soltanto, e se ne va. Sono passati già quindici secoli da quando promise di tornare in tutta la Sua Gloria, quindici secoli da quando il Suo profeta scrisse: “Verrò presto. Il giorno e l’ora non li conosce neanche il Figlio, ma solo il Padre mio celeste”:4 lo disse Lui quand’era ancora sulla terra. Ma l’umanità Lo aspetta con la stessa fede di prima e con la stessa tenerezza. Anzi, con una fede ancora più grande, poiché sono già passati quindici secoli da quando il cielo ha cessato di dare pegni agli uomini:
Credi a ciò che dice il cuore,
Pegni il cielo più non dà.5
Così, è rimasta solo la fede in quello che dice il cuore! È vero che a quell’epoca c’erano anche molti miracoli: c’erano dei santi che operavano guarigioni miracolose, e ad alcuni giusti, secondo le loro biografie, appariva la Regina dei Cieli in persona. Ma il diavolo non dorme, e l’umanità aveva già cominciato a dubitare della verità di questi miracoli. Proprio allora era apparsa nel nord, in Germania, una nuova terribile eresia. Un’enorme stella “simile a una fiaccola” (cioè alla Chiesa) “è caduta sulle sorgenti delle acque, ed esse sono diventate amare”.6 Questi eretici si misero a negare empiamente i miracoli. Ma allora la fede di quelli che erano rimasti fedeli diventò più ardente. Il pianto degli uomini sale a Lui come prima, e come prima Lo aspettano, Lo amano, sperano in Lui, bramano di soffrire e morire per Lui… Ed ecco, l’umanità aveva pregato per tanti secoli con fede e con ardore: “Signore, mostrati a noi”, per tanti secoli Lo aveva invocato, che Egli, nella Sua infinita misericordia, volle scendere fra loro. Già altre volte prima di allora era sceso sulla terra, aveva visitato dei giusti, dei martiri e dei santi anacoreti, come è scritto nelle loro Vite. Il nostro Tjutičev, che credeva profondamente nella verità delle proprie parole, ha scritto così:
Oppresso dal peso della croce,
Il Re del Cielo, in veste di schiavo,
Tutta quanta, o terra nativa,
Ti ha percorsa e benedetta.7
E che sia stato proprio così, è appunto quello che ti dirò. Ecco, dunque, che Egli volle mostrarsi almeno per un attimo al popolo, al popolo dolorante e tormentato, marcio dai peccati, ma che Lo ama con l’ingenuità di un bambino. L’azione del mio poema si svolge in Spagna, a Siviglia, nel periodo più terribile dell’Inquisizione, quando nel paese ogni giorno ardevano i roghi a gloria di Dio, e
Con grandiosi autodafé
Si bruciavano gli eretici.8
Oh, certo quella non era la venuta che Egli ci ha promesso alla fine dei tempi, in tutta la Sua gloria, e che sarà improvvisa, “come la folgore, che risplende da oriente fino a occidente”.9 No, Egli volle soltanto visitare i suoi figli per un istante, e proprio là dove, appunto, cominciavano a crepitare i roghi degli eretici. Nella Sua immensa misericordia, Egli passa ancora una volta fra gli uomini con quella stessa figura umana con la quale, per trentatré anni, aveva camminato in mezzo agli uomini quindici secoli prima. Egli scende sulle “strade roventi” della città meridionale, dove proprio il giorno avanti, in un “grandioso autodafé”, alla presenza del re, della corte, dei cavalieri, dei cardinali e delle più leggiadre dame di corte, davanti a tutto il popolo di Siviglia, il cardinale Grande Inquisitore aveva fatto bruciare in una volta sola quasi un centinaio di eretici ad maiorem gloriam Dei. Egli è apparso in silenzio, inavvertitamente, eppure, strano!, tutti Lo riconoscono. Questo potrebbe essere uno dei passi più belli del poema, il dire, cioè, come mai tutti Lo riconoscano. Il popolo è attratto verso di Lui da una forza irresistibile, Lo circonda, la folla aumenta sempre più intorno a Lui, Gli va dietro. Egli passa silenziosamente in mezzo a loro, con un dolce sorriso di pietà infinita. Nel Suo cuore arde il sole dell’Amore, dai Suoi occhi fluiscono i raggi della Luce, del Sapere e della Forza, e riversandosi sugli uomini fanno tremare d’amore anche i loro cuori. Egli tende loro le braccia, li benedice, e dal contatto con lui, anche solo con le Sue vesti, si sprigiona una forza salutare. Ecco che in mezzo alla folla un vecchio, cieco sin dall’infanzia, esclama: “Signore, risanami, e anch’io Ti vedrò!”, e allora è come se dai suoi occhi cadesse una scaglia, e il cieco Lo vede. Il popolo piange e bacia la terra dove Egli passa. I bambini gettano fiori davanti a Lui, cantano e gridano “Osanna!”. “È Lui, è Lui, ripetono tutti, dev’essere Lui, non può essere che Lui!” Egli si ferma sul sagrato della cattedrale di Siviglia proprio nel momento in cui portano nella chiesa, con grandi pianti, una piccola bara bianca da bambini, aperta: dentro c’è una fanciulla di sette anni, l’unica figlia di un cittadino illustre. La morticina è coperta di fiori. “Lui risusciterà la tua bambina!” grida la folla alla madre piangente. Il prete, che è uscito dalla cattedrale incontro alla bara, guarda con aria perplessa e aggrotta le sopracciglia. Ma ecco che risuona il grido della madre. La donna si getta ai Suoi piedi: “Se sei davvero Tu, risuscita la mia bambina!” grida la madre tendendo le braccia verso di Lui. Il corteo si ferma, la piccola bara viene deposta sul sagrato ai Suoi piedi. Lui la guarda con compassione, e le Sue labbra ancora una volta pronunziano sottovoce le parole: “Talitha kumi”, “e la fanciulla si alzò”.10 La bambina si solleva, si mette a sedere e si guarda intorno con gli occhi spalancati dalla meraviglia, sorridendo. In mano ha il mazzo di rose bianche col quale era distesa nella bara. La gente si agita, grida, singhiozza. Ed ecco che proprio in questo momento passa sulla piazza, davanti alla cattedrale, il cardinale Grande Inquisitore in persona. È un vecchio quasi novantenne, alto e diritto, col viso scarno e gli occhi infossati, che però mandano ancora una luce, come una scintilla di fuoco. Oh, egli non ha più la splendida veste cardinalizia di cui faceva pompa ieri davanti al popolo, quando si bruciavano i nemici della fede di Roma! No, in questo momento indossa soltanto il suo vecchio e rozzo saio monastico. Lo seguono a una certa distanza i suoi tetri aiutanti e schiavi, e la “sacra” guardia. Si ferma davanti alla folla e osserva da lontano. Ha visto tutto, ha visto deporre la bara ai Suoi piedi, ha visto risuscitare la bambina, e il suo viso si è abbuiato. Aggrotta le folte sopracciglia bianche, e il suo sguardo scintilla di una luce sinistra. Tende il dito e ordina alle guardie di impadronirsi di Lui. Ed ecco, è tanta la sua forza, e il popolo è talmente abituato a sottomettersi e ad ubbidirgli spaurito, che la folla subito si apre davanti alle guardie, e queste, nel silenzio di tomba che si è fatto di colpo, mettono le mani su di Lui e Lo portano via. Istantaneamente la folla, tutta come un sol uomo, piega la testa fino a terra davanti al vecchio Inquitore: egli benedice il popolo in silenzio, e continua la sua strada. Le guardie conducono il Prigioniero in un buio e angusto carcere a volta, nell’antico palazzo del Santo Uffizio, e Lo chiudono dentro. Passa il giorno, sopravviene la notte, la nera, calda, “soffocante” notte sivigliana. L’aria “odora di lauri e di lim...
Indice dei contenuti
- il perimetro della felicità
- Copyright
- L’esperienza della libertà
- IL GRANDE INQUISITORE
- Sommario